Singolare, femminile ♀ #151: Dove volano le poiane
È la stagione cinematografica della commedia lesbica, sexy, scorretta, felicemente a cavallo dei generi: con Love Lies Bleeding in sala e i recenti Bottoms e Drive-Away Dolls si delinea un'era ludica e sfrenata per la rappresentazione dell'amore saffico sullo schermo, finalmente non relegato solo ai micro budget o al finale tragico obbligatorio.
Love Lies Bleeding, l'opera seconda di Rose Glass, è ancora in sala: vi consigliamo di andare a vederlo su grande schermo, perché è un film in cui le dimensioni contano. Presentato al Sundance e poi alla Berlinale 2024 (ve ne abbiamo parlato sul n. 127 della newsletter), è una commedia nera, sexy, sboccata, violenta, che cavalca con gioiosa furia fra il thriller e il fantasy, come in un Thelma & Louise dell'epoca Marvel, tenendo salda al centro la love story sensuale tra la culturista interpretata da Katy O'Brian e la frustrata impiegata di palestra incarnata da un'inedita Kristen Stewart. Una gloriosa commedia lesbica, che giunge sui nostri schermi a breve distanza dall'uscita di altri due titoli riconducibili al filone: Drive-Away Dolls di Ethan Coen e Bottoms di Emma Seligman (da noi direttamente su Prime Video, ve ne abbiamo parlato nel n. 117 della newsletter). Tutti e tre sono stati creati da autrici appartenenti alla comunità LGBT+ (Drive-Away Dolls è stato co-scritto e co-prodotto dalla moglie e montatrice di Coen, Tricia Cooke, dichiaratamente queer: come lei e Coen hanno spiegato in più interviste, tra cui quella apparsa su Film Tv che trovate anche nel n. 131 della newsletter, il loro matrimonio è da oltre vent'anni aperto e anticonvenzionale, avendo entrambi partner diversi); tutti e tre hanno al centro una coppia di giovani donne apertamente lesbiche, dal carattere più che spigoloso (se non moralmente riprovevole: mentono, rubano, piazzano esplosivi, ingannano il prossimo per ottenere sesso), che vivono il proprio desiderio e la propria sessualità con voracità; tutti e tre giocano esplicitamente coi generi (noir, road movie, thriller, high school movie, rom com, e via elencando) per dar vita a prodotti felicemente caotici, elettrizzati da un'energia non riconducibile a etichette predefinite.
In ognuno dei tre film le premesse narrative vengono deragliate verso traiettorie imprendibili e satiriche: la storia d'amore saffico di Love Lies Bleeding sfocia in un thriller grottesco quando le protagoniste si prendono la propria rivincita contro i maschi violenti che le minacciano; in Bottoms un «club di autodifesa» inventato a bella posta per rimorchiare diventa il grimaldello di una faida letale tra le ragazze e gli atleti della scuola; in Drive-Away Dolls un road trip tra amiche si trasforma in fuga criminale quando le ragazze si ritrovano per le mani la valigetta sbagliata. E tutti e tre i film hanno in comune l'appropriazione, da parte delle protagoniste, di simboli e strumenti del potere tradizionalmente maschile: in Love Lies Bleeding le pistole del tiro a segno e i muscoli guizzanti del body building; in Bottoms il Fight Club dove darsele di santa ragione e le bombe fatte in casa; in Drive-Away Dolls (attenzione: spoiler! Stiamo per rivelare un dettaglio di trama fondamentale quindi non leggete se non avete ancora visto il film e preferite la sorpresa) è direttamente il membro maschile, replicato dai preziosissimi dildo, plasmati sul pene di celebrità e politici, che le protagoniste hanno accidentalmente trafugato.
A fare da fil rouge tra questi titoli c'è anche l'idea della ripresa del controllo del corpo femminile, che può essere gonfiato a dismisura dagli steroidi fino a diventare quello di una gigantessa; può imparare a picchiare e a incassare i colpi; può appropriarsi di un fallo per espandere gli orizzonti del proprio piacere: probabilmente non è un caso che giungano sui nostri schermi in un momento storico in cui la lotta per i diritti riproduttivi delle donne, per mantenere la libertà di scegliere cosa fare del proprio corpo, è un argomento tristemente attuale da un lato e dall'altro dell'Oceano, con molteplici governi impegnati a limitare l'accesso a un'interruzione di gravidanza legale e sicura. In questo senso, questo trittico di scorribande lesbo, con le loro protagoniste arrapate, spensierate, che infrangono le regole fino al limite del criminale, sono anche film politici, e molto più rilevanti di quanto l'etichetta "commedia lesbica" possa far credere.
Eppure, proprio in quell'etichetta sta quello che ci fa sperare in una nuova possibile era per la rappresentazione del lesbismo sullo schermo: un'era che finalmente metta fine alla lunghissima tradizione delle poiane. Doveroso inciso per chi non si fosse mai imbattuto nel termine: la cosiddetta "sindrome della poiana" è il modo in cui si indica la diffusa consuetudine a far finire in tragedia le love story saffiche al cinema, solitamente con la morte di una delle amanti (se non entrambe). Il nome viene dal finale di Lost and Delirious, da noi L'altra metà dell'amore di Léa Pool, in cui la protagonista Piper Perabo (attenzione: spoiler, di nuovo!), innamorata ferita e tradita, si lancia dal tetto della scuola insieme al rapace che aveva salvato e adottato, una poiana appunto. Se analizziamo il cinema degli ultimi dieci anni, per esempio, si nota una certa quantità di drammi lesbici di alto profilo e con cast di richiamo: da La vita di Adele di Kechiche a Carol di Todd Haynes, da Disobedience di Sebastián Lelio a La favorita di Lanthimos, fino ad arrivare all’affollata stagione 2019-2020, con il capolavoro Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma, Ammonite - Sopra un'onda del mare di Francis Lee e Il mondo che verrà di Mona Fastvold, una sovrapposizione che si è perfino meritata uno sketch apposito del Saturday Night Live, dedicato appunto al Lesbian Period Drama. Molti di questi titoli hanno infatti in comune l'atmosfera cupa e opprimente del film in costume, la storia d'amore vissuta in doloroso segreto, l'impossibilità di fare coming out, e un finale inesorabilmente tragico che prevede la separazione se non la morte.
La storia del cinema queer, d'altronde, è ricca di piccoli grandi cult dal tono leggero e di commedia, ma confinati nel regno dei microbudget e delle visioni underground (da The Watermelon Woman a But I’m a Cheerleader, alias - sic - Gonne al bivio; ne abbiamo parlato anche nella newsletter n. 108); quando però il cinema mainstream o quello dei grandi festival si apre alle narrazioni di amore lesbico, si può star certi che si finirà nella sindrome della poiana. Eppure, suggerisce pragmaticamente Tricia Cooke, che aveva il soggetto di Drive-Away Dolls in canna da molti anni, «è importante che esistano più commedie queer, perché anche la comunità queer vuole mangiarsi i popcorn e divertirsi al cinema».
Emma Seligman ha sottolineato un fattore rilevante per questa piccola nuova onda: «I film queer sono sempre stati considerati di culto, perché non erano rivolti al pubblico mainstream, quindi la comunità doveva andare a scovarseli, a volte a distanza di anni. Ora siamo in un'epoca di cult istantanei, perché anche se non funzionano benissimo al box office, il pubblico per cui questi film sono intesi li troverà subito, semplicemente per merito dei social media». Quello che sta accadendo con il trittico di commedie lesbiche che prendiamo in considerazione è dunque un'intersezione tra fattori che finora raramente si erano sommati: sono prodotti pensati da e per la comunità queer; sono realizzati con un budget consistente; hanno almeno una star di grido nel cast (Kristen Stewart, mai così brava, in Love Lies Bleeding; la stella di The Bear Ayo Edebiri in Bottoms; la sempre più lanciata Margaret Qualley in Drive-Away Dolls); non mettono a tema il coming out o la sofferenza della vita nel closet; sono commedie, anche romantiche, coronate (all'incirca) da lieto fine.
Giusto sottolineare che questo trend, esploso con i tre film presi in considerazione tra 2023 e 2024, ha avuto delle avvisaglie rilevanti: ad aprire la strada sono stati titoli come Booksmart ovvero La rivincita delle sfigate di Olivia Wilde (2019) e Happiest Season alias Non ti presento i miei di Clea DuVall, sempre con Kristen Stewart (2020, e almeno nell'ultimo biennio ci siamo emancipati dalle traduzioni di titolo italiano demenziali a cui le commedie lesbiche sembrano essere abbonate). Un altro titolo cruciale in questa fase è stato il controverso Tár di Todd Field, ritratto spietato di una donna di potere lesbica narcisista, accentratrice e abusante; perché se il famoso biennio 2019-2020, l'era del Lesbian Period Drama, era stato etichettato dalla programmer Andrea Torres come «l'era delle lesbiche sante», quello a cui finalmente ci avviciniamo è una rappresentazione della comunità più libera sia dai lacci dello sguardo eteronormato sia da quelli del politicamente corretto. Le coppie di protagoniste di Love Lies Bleeding, Bottoms e Drive-Away Dolls sono tutt'altro che sante: possono essere scorrette, avide, guidate da bassi istinti, incapaci di dirimere tra bene e male. Insomma, persone normali, problematiche e difettose come se ne trovano appartenenti a qualsiasi orientamento sessuale. E questa è una faccenda importante, che la studiosa di cinema Clara Bradbury-Rance, autrice di Lesbian Cinema After Queer Theory, riassume così: «Quand'è che si raggiunge la sensazione che le lesbiche siano state sufficientemente rappresentate da poter rappresentare anche la loro cattiveria, la loro tossicità, la loro irritazione?». Questi film sono liberi di raccontare ogni aspetto, di far uscire la rappresentazione queer dal ghetto del Tema e del Messaggio; non è poco, ma speriamo sia solo l'inizio. ILARIA FEOLE
Tra i titoli che hanno cominciato una piccola rivoluzione della commedia lesbica abbiamo citato anche la rom com natalizia Non ti presento i miei: vi riproponiamo la recensione apparsa su Film Tv n. 51/2020.
Non ti presento i miei
Se la commedia è un genere intrinsecamente conservatore, la commedia romantica lo è il doppio: per una questione di sostanza - l’unico obiettivo possibile sembra un felice matrimonio - e di forma - qualsiasi frattura ribelle sarà inevitabilmente ricondotta nei ranghi del lieto fine. Il secondo film da regista dell’attrice DuVall s’infila così in un’impresa meno liscia di quanto la sua superficie patinata mostri a prima vista: appropriarsi del più eteronormativo tra i filoni narrativi per consegnarlo a una coppia lesbica. Nello specifico, a Abby (Stewart, straordinariamente a proprio agio nel disagio cui è sottoposto il suo personaggio) e Harper (Mackenzie Davis, ottima in un ruolo davvero ingrato): la prima è invitata a trascorrere le vacanze di Natale a casa della seconda, ma solo poco prima di arrivare scopre che l’amata non ha mai fatto coming out con la propria famiglia e che entrambe dovranno fingersi etero. Se la trama suona derivativa di un altro migliaio di equivoci familiarsentimentali, basta la scelta, ancora considerata “sovversiva”, di due protagoniste gay ad aprire prospettive inedite, anche e soprattutto per le contraddizioni che accende: i collaudati gag da Ti presento i miei scolorano spesso nell’angoscia di una condizione autenticamente dolorosa (per entrambe le parti in causa, anche se il film guarda, per quasi tutto il tempo, dal punto di vista di Abby) e lo stress della perfetta performance natalizia - davanti alle aspettative della propria famiglia o del mondo intero - tocca corde universali. Non tutto va a segno e la programmatica adesione ai cliché da rom com qualche volta è stridente: eppure anche questo c’interroga sulla dimensione delle nostre ipocrisie. ALICE CUCCHETTI
Prosegue online fino al 3 ottobre l’edizione 2024 del bolognese Some Prefer Cake, festival internazionale di cinema lesbico: in streaming sulla pagina dedicata di OpenDDB molti titoli tra corti e lunghi, tra cui Life Is Not a Competition but I’m Winning di Julia Fuhr Mann, Old Lesbians di Meghan McDonough, House of Whoreship di Molly Bates.
Parte invece domani, 26 settembre, il 38°MIX - Festival Internazionale di cinema LGBTQ+ e cultura queer, fino al 29 settembre al Piccolo teatro di Milano, con 43 titoli (tra cui il vincitore del Teddy Award alla Berlinale 2024, Teaches of Peaches di Philipp Fussenegger e Judy Landkammer, dedicato all’artista e icona femminista Peaches, e il vincitore del Bergamo Film Meeting 2024, Levante di Lillah Halla) di cui 34 in anteprima nazionale, e poi video musicali, spettacoli teatrali, talk e una mostra, il tutto all’insegna dello slogan di quest’anno ossia #NoShame.
Lo scorso 20 settembre la grande Sophia Loren, icona assoluta del cinema italiano, ha compiuto 90 anni: dopo la messa in onda su Rai1 è disponibile su RaiPlay il documentario Sophia! di Marco Spagnoli, che celebra la vita e la carriera di una diva unica.