Sono disponibili su Prime Video, da qualche settimana, le prime tre stagioni di Veronica Mars, la serie con una giovane Kristen Bell nei panni dell’eponima (anti)eroina investigatrice in erba. Uno show di culto, dalla storia produttiva travagliata, capace di ibridare teen drama e noir, lotta di classe e coming of age, scrittura ironica e temi complessi.
Veronica Mars non è certo la prima investigatrice del piccolo schermo, e la serie che porta il suo nome ha progenitrici illustri e ispirazioni dichiarate. «Nancy Drew» la chiama Logan in uno dei primi episodi, esplicitando subito quella che, soprattutto a un pubblico anglosassone, appare una parentela lampante, quasi lo show fosse un “remake mascherato”: Nancy Drew è l’eroina di una prolifica serie di romanzi gialli per ragazzi, pubblicati in Usa fin dagli anni 30, in Italia dagli anni 70 (prima da Mondadori, oggi da Piemme), firmati con lo pseudonimo Carolyn Keene (nome di penna di una moltitudine di autori e autrici). Nancy Drew è un’investigatrice adolescente, capelli rossi e apparentemente molte vite, piena di risorse e d’iniziativa, e con la tendenza a sciogliere misteri spesso in modo più efficiente rispetto alle tradizionali forze dell’ordine.
Veronica ha i capelli biondi, come una sua evidente “sorella maggiore seriale”, Buffy Summers: la tessitura di similitudini tra le due (personaggi e serie) è fitta, e probabilmente senza la forza scardinante della Buffy di Joss Whedon non sarebbe esistita la Veronica Mars di Rob Thomas. In comune, oltre al colore della chioma e alla corporatura minuta, hanno il contesto, le modalità e la struttura delle serie di cui sono protagoniste: teen drama per ambientazione, con i corridoi di un liceo a fare da set principale, ma ibridato ad altri generi (l’horror per Buffy e il noir per Veronica Mars), uno spirito di commedia che scorre potente nei dialoghi veloci trapuntati di riferimenti pop, un lungo arco narrativo orizzontale che si sviluppa e dipana lungo tutta una stagione, mentre i singoli episodi poggiano su una solida struttura verticale da “mostro/caso della settimana”. E poi, naturalmente, e più di tutto, l’anima metaforica di entrambe: se in Buffy l’ammazzavampiri sono i mostri e i demoni a farsi personificazione dell’orrore che è crescere (mutazioni corporee, e umori e ormoni incontrollabili compresi) e il temibile microcosmo scolastico corrisponde letteralmente alla Bocca dell’inferno, in Veronica Mars sono i misteri, le ipocrisie, gli imbrogli, le menzogne, i delitti, le ingiustizie a costituire le tappe di un romanzo di formazione che è soprattutto una definitiva, e traumatica, perdita dell’innocenza, un’evoluzione che lascia cicatrici pressoché impossibili da rimarginare.
«BEST. SHOW. EVER.» la definì Whedon all’epoca, partecipando poi alla seconda stagione con un cameo, e certificando così pubblicamente Veronica come la prima – e, all’epoca, unica – erede di Buffy: la serie sull’ammazzavampiri si era conclusa nel maggio 2003, dopo sette stagioni, quella sull’investigatrice in erba comincia poco più di un anno dopo, nell’autunno del 2004, trovando nel nutritissimo fandom della cacciatrice un pubblico naturale, ansioso di colmare il vuoto (a maggio 2004 si era chiuso anche lo spinoff di Buffy, Angel). Veronica, dicevamo, non è certo la prima investigatrice del piccolo schermo, ma, proprio come la collega interpretata da Sarah Michelle Geller, con le sue avventure dà forma a un continuo ribaltamento della formula e delle aspettative, è la “vittima designata” che si tramuta ogni volta in «the thing that monsters have nightmares about», “la cosa di cui i mostri hanno paura”. È la final girl che si scopre predatrice, la dead girl predestinata che invece di morire pretende giustizia. In Veronica Mars il concetto si fa letterale, e la duplicazione evidente, perché una dead girl c’è davvero, ed è all’origine di tutto: l’assassinio di Lilly Kane, la migliore amica di Veronica (interpretata da un’Amanda Seyfried agli esordi), avvenuto un anno prima del momento in cui inizia la serie, è la premessa dell’intero show, il suo punto d’origine, l’evento cataclismatico che contraddistingue il passato di tutti i personaggi, e che ne determina i destini.
E Veronica è per molti aspetti una creatura di Lilly Kane, una sua emanazione, quasi un fantasma vendicativo uscito dalla tomba per perseguitare chi resta. Come vediamo nei moltissimi flashback che punteggiano tutta la prima stagione, le due ragazze erano sì migliori amiche, ma avevano caratteri contrapposti – esuberante e sfrontata Lilly, timida e riservata Veronica – e appartenevano a due classi sociali distanti – Lilly è la figlia dell’uomo più ricco della città, un miliardario che ha “inventato” la tecnologia streaming, Veronica è d’estrazione più modesta, suo padre è lo sceriffo in una città in cui la legge tende a cedere il passo ai soldi. La Veronica del passato, illuminata dalla luce azzurra e “smarmellata” che contraddistingue i flashback, è ingenua e tendenzialmente passiva, è Lilly a trascinarla, a consigliarla, a spronarla, ed è grazie alla sua amicizia – e alla relazione con il fratello di lei, Duncan – che viene accettata nell’ambita cerchia dei ragazzi ricchi e popolari, e delle potenti famiglie di Neptune, California. La Veronica del dopo, cioè la protagonista dello show che porta il suo nome, è intenzionalmente un’altra: tosta, scaltra, intelligente, sarcastica, inventiva, determinata, pronta ad agire in ogni circostanza, ma anche cinica, disillusa, incapace di fidarsi di chicchessia.
«Chi ha ucciso Lilly Kane?» è la domanda che spinge ossessivamente la narrazione della prima annata, ricalcata platealmente sul mistero più celebre della storia della tv: «Chi ha ucciso Laura Palmer?». Lilly non è solo l’ennesima dead girl utilizzata come espediente d’innesco di così tanti show (anche e soprattutto delle infinite variazioni di puntata di molti procedurali polizieschi), ma, come la Laura di Twin Peaks, è il motore dell’intera vicenda, simbolo e sintomo incancellabile del marcio che corrode una comunità sotto l’apparenza lucida e immacolata della superficie. L’uccisione di Laura/Lilly, il cadavere che ritorna vivo (in Twin Peaks nei sogni di Cooper e nella cugina-“doppione” Maddy, in Veronica Mars nei sogni e nelle allucinazioni di molti personaggi, non a caso con la testa fracassata come in un horror) è lo strappo irrefrenabile e via via più profondo che rivela un intrico di ipocrisie, corruzione, crimini e violenze. Nella Neptune, California, immaginata dall’autore di Veronica Mars Rob Thomas il “peccato originale” è esplicitato fin dalle prime battute: qui «tutti sono miliardari o lavorano per i miliardari», è «una città senza classe media», e allora la scuola, oltre a essere il territorio d’elezione del teen drama (inevitabilmente anche con i suoi intrecci amorosi), è anche l’unico luogo in cui il conflitto sociale può giocarsi sul serio, l’unico posto in cui il mondo dei ricchi e quello dei loro domestici può effettivamente sfiorarsi, toccarsi, collidere. Lo scontro è incarnato da due personaggi che sono di volta in volta nemici o alleati di Veronica, il ricco bullo Logan Echolls (che diventerà per lei anche un inaspettato interesse sentimentale), figlio di una famosissima star del cinema, e Eli “Weevil” Navarro, giovanissimo capo della gang di motociclisti locale, la cui nonna fa la domestica proprio per gli Echolls. Ma quasi ogni caso di puntata – e, nella seconda stagione, il mistero principale dell’annata: un incidente provocato allo scuolabus uccide diversi studenti meno abbienti, mentre i ricchi stavano tutti in limousine – riconduce a una disparità di classe, e le indagini di Veronica si scontrano spesso con un sistema fallato alla base, in cui la discriminazione è integrata negli ingranaggi: tutte le figure d’autorità – lo sceriffo Lamb, il preside Clemmons – sono nemiche e inaffidabili, piegandosi ogni volta alla legge del più forte.
È un noir, un hard boiled a tutti gli effetti, Veronica Mars, innaffiato dal sole della California, come tanti illustri predecessori, in una fotografia contrastata che si scioglie spesso in acido. Fin dalla prima scena (non quella del pilot presente su Prime Video che, purtroppo, è la versione rimontata dal network senza l’incipit originario), Veronica è inquadrata come un disilluso detective d’altri tempi, mentre fa la posta fuori da un motel a una coppia di amanti per poter agguantare una foto incriminante, facendo risuonare in voce off il monologo dei suoi pensieri, commentando amaramente l’ineluttabile mediocrità delle azioni e relazioni umane. La struttura narrativa a doppio binario, orizzontale e verticale (identificata da Jason Mittell nel suo Complex Tv come uno degli esempi più fulgidi della scrittura seriale complessa d’inizio millennio), riesce a tracciare perfettamente il quadro e il percorso della nostra eroina: da un lato gli indizi sull’omicidio di Lilly e poi sull’incidente dello scuolabus che mette insieme un episodio dopo l’altro rivelano in una tappezzeria sempre più intricata il disegno di un mondo irrimediabilmente spezzato, come nel noir più puro; dall’altro i piccoli o grandi gialli di puntata che Veronica risolve, spesso ottenendo giustizia anche in modi non convenzionali (ricordiamo che le autorità ufficiali non sono quasi mai dalla sua parte), sono il suo modo di provare ad aggiustare, testardamente, un pezzettino alla volta, quest’universo corrotto e probabilmente insalvabile.
Abbiamo detto che Veronica Mars non è la prima investigatrice del piccolo schermo, ma come tipologia di personaggio, nel 2004 in cui appare, è decisamente unica e fuori dalle convenzioni: sia perché, appunto, è un’adolescente – e non un’adolescente qualunque, ma una che viene costantemente bullizzata dai compagni, e non solo – e, proprio come tale, deve superare ostacoli ben più insormontabili delle sue controparti adulte; ma soprattutto perché – e questo diventa via via più chiaro proseguendo con la visione – è, perfettamente in linea con la tradizione noir, un’antieroina a tutti gli effetti, un personaggio tutt’altro che integro o immacolato, ma anzi ricco di lati oscuri. Non è certo immediato accostare Veronica ai tanti difficult men che popolano lo schermo già in quegli anni, particolarmente nelle serie prestigiose da tv via cavo (di cui Veronica Mars, un teen drama delle bistrattate reti UPN e poi CW, è per molti versi l’opposto). Come un’erede di Robin Hood, nelle sue indagini (non solo) scolastiche aiuta i compagni più deboli contro lo strapotere degli “zeronove” (così vengono chiamati i ragazzi che abitano nella parte di città col codice postale giusto) e di adulti compiacenti. Ha sempre la battuta pronta, quasi sempre un’idea vincente per incastrare lo stronzo di turno, è tendenzialmente la persona più intelligente in ogni stanza. Un altro aspetto mai abbastanza celebrato è il modo in cui viene messa in scena la tecnologia, che è onnipresente ma profondamente realistica: Veronica si rivela una grande esperta a riguardo (anche se per lavori più complessi e vicini all’hackeraggio si rivolgerà alla compagna, poi amica, Mac), ma tutto ciò che fa è replicabile nella realtà, con strumenti digitali e tecnologici quasi sempre a portata di mano di uno qualsiasi studente d’inizio millennio (fanno eccezione ovviamente i database e i siti cui la ragazza ha accesso grazie alla professione da investigatore privato del padre), in un periodo in cui internet inizia già a influenzare pesantemente la vita quotidiana (e Neptune è una chiara cittadina da Silicon Valley), ma ancora non esistono gli smartphone o i social network.
È immediato identificare dunque Veronica come un’eroina senza macchia e senza paura, perché la narrazione ci situa intenzionalmente sempre dal suo punto di vista, e perché naturalmente godiamo alla fine di quasi ogni puntata nel vederla riparare in qualche modo a ingiustizie plateali, dimostrandosi ben più sveglia del prepotente di turno (e, soprattutto in quel periodo, il suo è un ruolo che ai personaggi femminili è ancora quasi sempre negato). Eppure, mentre facciamo più approfonditamente la sua conoscenza e la osserviamo immergersi nei lati oscuri di Neptune e nelle indagini sulla morte di Lilly, emerge lentamente anche il lato oscuro di Veronica, la sua sostanza di persona profondamente danneggiata, comprensibilmente segnata da traumi dolorosi (all’omicidio della migliore amica, nel prologo della serie, si aggiungono l’abbandono inspiegabile della madre e uno stupro avvenuto dopo essere stata inconsapevolmente drogata a una festa). «You get tough, and you get even» (“diventi forte, e poi ti vendichi”) è il consiglio che, già nell’ottavo episodio della prima stagione (e Veronica Mars è ancora una “serie d’altri tempi”, da 22 puntate ad annata, una misura cui oggi siamo decisamente disabituati, ma che qui si adegua alla perfezione alla struttura dello show) Veronica dà alla compagna Meg, bullizzata dall’intera scuola nonostante (o forse proprio per) il suo buon carattere. «Sulla prima parte avevi ragione» le dirà Meg alla fine «ma non sono sicurissima sulla seconda». Sono parecchie le decisioni discutibili che Veronica prende, e molte le persone che ferisce lungo la sua strada verso la verità. Ad appena 17 anni (quando comincia la serie), il suo cinismo («life sucks until you die», “la vita fa schifo, e poi muori” è una delle frasi più celebri dell’episodio pilota, risposta sconsolata a una professoressa che la interroga su Alexander Pope) sembra sempre meno una posa da ribellismo giovanile e sempre più un indurimento caratteriale, un nichilismo molto precoce per i suoi anni. L’incapacità di Veronica di fidarsi davvero di qualcuno, e perfino di immaginare azioni senza secondi fini da parte di chi la circonda, va di pari passo con la sua tendenza a “usare” gli altri per ottenere le informazioni che cerca (perfino l’amicizia con Wallace, in questo senso, assume di tanto in tanto connotazioni ambigue).
Ma non è solo la contestualizzazione delle azioni di Veronica – d’altra parte, per quanti torti riesca a raddrizzare in ogni episodio, c’è sempre qualche dettaglio a confermarle l’enormità della corruzione di fondo – a farne comunque un personaggio per cui è bello e inevitabile parteggiare nonostante tutto. C’è, fortissima, una luce che perfora il buio per tutte le stagioni, e che chi ha visto la serie ricorda invariabilmente con affetto: la relazione tra Veronica e suo padre Keith Mars è uno dei rapporti familiari più autentici e calorosi del piccolo schermo, scritta con intelligenza e ironia, e interpretata con grande convinzione da Bell e da Enrico Colantoni. L’ex sceriffo Mars, cacciato dalle famiglie potenti di Neptune dopo che ha osato accusare Jake Kane dell’omicidio della figlia, tira avanti come (ottimo) investigatore privato, spesso togliendo le castagne dal fuoco dell’incompetente nuovo sceriffo: la sua parabola nel mondo adulto rispecchia quella di Veronica in quello adolescenziale-scolastico (rinsaldando il parallelismo), mentre la collaborazione anche professionale tra i due (Veronica aiuta il padre nelle indagini, soprattutto quando riguardano qualche suo compagno) è costruita non solo sull’affetto ma anche sul rispetto e la stima reciproca, e nonostante ovviamente Keith sia protettivo nei confronti della figlia è evidente che la consideri una sua pari. A differenza di Veronica, però, è paradossalmente proprio il più maturo ed esperto Keith ad aver conservato una specie di speranza nell’umanità, a saper equilibrare pragmatismo e idealismo, rappresentando così il centro morale dello show: «The hero is the one who stays», “l’eroe è colui che resta”, semplifica Veronica mettendolo in opposizione alla madre fuggita, ma anche esplicitando quanto riuscire a conservare se stessi in una battaglia di compromessi quotidiani è ben più faticoso che compiere grandi gesti eroici.
Come la sua protagonista, anche Veronica Mars è stata spesso sottovalutata, e proprio per la sua caratterizzazione adolescenziale, che a prima vista nasconde i temi adulti e complessi (anche il racconto della violenza sessuale come sistemica, e della difficoltà delle vittime, soprattutto se giovani donne, a essere credute, nel 2004 non era certo all’ordine del giorno, anzi) sotto la struttura da “teen drama californiano” mescolata al “giallo della settimana”. La terza stagione (che ora trovate insieme alle prime due su Prime Video) è un pasticcio che snatura profondamente sia la struttura sia alcuni temi della serie (ancora una volta, è il tema dello stupro a esser rivelatorio in questo senso, trattato qui con una superficialità molto lontana dall’attenzione delle prime due stagioni): la serie era passata dalla defunta rete UPN alla neonata CW, i produttori avevano imposto un restyling estetico della protagonista (!) e la fine dei misteri stagionali in favore di archi gialli più brevi (e macchiettistici). Eppure, l’impatto lasciato da Veronica nella cultura pop è stato sufficiente a guadagnarle un fandom che ha anticipato molte tendenze della serialità a venire, partecipando attivamente a una campagna di crowdfunding che nel 2014 ha portato alla realizzazione di un film conclusivo, mentre nel 2019 è stata la piattaforma Hulu a produrre una stagione revival riunendo quasi tutto il cast. E proprio come Buffy, anche Veronica ha molte discendenti, dalla supereroica Jessica Jones alla protagonista di iZombie (show scritto dagli stessi autori di Veronica Mars, con cui ha molte somiglianze), dalle antieroine di Killing Eve fino alla recentissima Natasha Lyonne di Poker Face (su cui ritorneremo). Insomma, ha molte vite: non escludiamo di poter dire ancora, prima o poi, «the bitch is back». ALICE CUCCHETTI
Nel 2019, 12 anni dopo la conclusione della terza stagione, e cinque anni dopo la realizzazione di un film in parte finanziato via crowdfunding, Veronica Mars è tornata per una quarta (e, al momento, ultima) stagione revival, realizzata dalla piattaforma Hulu. Con quasi tutto il cast originale, i personaggi ormai adulti, e un solo mistero lungo otto episodi: vi riproponiamo la recensione, pubblicata su Film Tv n. 16/2020.
Veronica Mars - Stagione 4
Nulla è cambiato a Neptune, California. Nella cittadina «senza classe media» affacciata sulla spiaggia, tra i milionari dell’high tech e del cinema e la classe proletaria al loro servizio continua a serpeggiare il crimine, e una giovane detective bionda indaga insieme al padre; qualche volta raddrizza torti, qualche altra dà una mano ai ricchi a procacciarsi remunerativi divorzi, invariabilmente chiosa con un’appropriata battuta di sferzante sarcasmo. Cinque anni dopo il film realizzato in parte grazie a crowdfunding, la revival mania della serialità contemporanea non poteva non raggiungere anche Veronica Mars, prodotto di culto già provvisto di un fandom attivo e combattivo, ancora avido di nuove avventure noir nonostante dalla prima puntata, nel 2004, siano passati ben tre lustri. Naturalmente, attorno, sono cambiati il mondo e la tv: il revival è targato Hulu, una piattaforma streaming, e se tutto il vecchio cast re-indossa i ruoli di un tempo con evidente gioia e straordinaria facilità, se i dialoghi ironici, veloci e densi di citazioni pop ritrovano il ritmo d’allora (potendo, preferite la versione originale), se la fotografia un po’ smarmellata ai limiti dell’acido torna a restituire una California vagamente distorta con tanto marcio sotto l’eterno sole, è la struttura dello show ex generalista a dover mutare, in una stagione di soli otto episodi pensata per il binge watching (negli Usa le puntate sono state pubblicate tutte insieme). C’è, come sempre, un grosso e terribile mistero di stagione: qualcuno orchestra letali attacchi terroristici sul lungomare durante l’affollatissimo spring break, le vacanze di primavera economicamente cruciali per il turismo della città e per la sopravvivenza della già precaria classe media di Neptune. Ma non c’è spazio per i mini-gialli che costituivano lo scheletro verticale dei singoli episodi: invece, si moltiplicano i piani d’indagine e l’introduzione di nuovi personaggi, con il gruppetto online di detective autodidatti a far da commento ironico all’ossessione moderna per il true crime, e la sveglissima teenager Matty come doppio e specchio della Veronica adulta (ma almeno una linea narrativa, quella degli scagnozzi messicani, è del tutto superflua). Nulla è cambiato, a Neptune, ma non è vero: Logan sta domando i propri demoni grazie a una proficua terapia, papà Keith invecchia e apparentemente perde colpi, Wallace è sposato con figli e insegna al vecchio liceo, Leo è diventato un agente FBI, perfino quell’irrimediabile cretino di Dick Casablancas si è trasformato in una star del cinema. L’unica sempre uguale a se stessa è proprio Veronica, e guardarla dipanare il nuovo caso ci costringe a prendere atto della verità: nel pieno dei suoi 30 anni è ancora imprigionata in un’infinita adolescenza, traumatizzata dal passato e incapace di fidarsi di chicchessia, dipendente da iniezioni di adrenalinica nostalgia. Come noi, con la nostra anestetizzante fissazione collettiva per serie e film di decenni fa: non è facile, ma è ora - ci dice questa quarta inattesa stagione - di andare avanti, su nuove strade.
ALICE CUCCHETTI
A proposito della permanenza e dell’evoluzione della figura della dead girl nella serialità contemporanea, proprio questa settimana è uscito su Link – Idee per la tv un denso approfondimento firmato da Manuela Stacca. Per i curiosi e i completisti di Veronica Mars, su YouTube si può vedere l’incipit della stagione-reboot mai realizzata dopo la cancellazione nel 2007, in cui una Veronica ventenne lavora per l’FBI.
A Milano è in corso fino al 26 marzo il FESCAAL – Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina, mentre su MyMovies One è disponibile una mini rassegna intitolata Cinema e donne in Sudamerica, con lavori di Lucrecia Martel e Carina Sama, e su MUBI due lavori restaurati della regista cubana Sara Gomez. Si è concluso invece lo scorso weekend Sguardi Altrove Film Festival: tra le vincitrici, Benedetta Argentieri con The Matchmaker e Isabella Ragonese con il suo debutto alla regia Rosa – Il canto delle sirene.
Su Arte.tv sono disponibili gratuitamente i cortometraggi, firmati da registe, premiati al festival Et pourtant elles tournent dalla giuria presieduta dalla fumettista Pénélope Bagieu (Indomite). Nella nostra rubrica online, su filmtv.it, abbiamo segnalato Oh Boy, diretto da Cannele Favier-Benito e Alice Tubert.
Singolare femminile la prossima settimana è in pausa: ci rivediamo con il numero 89 quella seguente, ovvero il 5 aprile. Ciao!