In sala dal 7 novembre, il film vincitore della Palma d'oro 2024 è una commedia a rotta di collo ma anche il complesso ritratto di una giovane sex worker: a partire dal film di Sean Baker, esploriamo come il cinema ha affrontato la vita delle lavoratrici del sesso.
Quello di sex worker, recita l'adagio, è il mestiere più vecchio del mondo, e forse anche in virtù di questa "anzianità" è anche uno di quelli a cui si sono incrostati più pregiudizi e moralismi nel corso dei secoli. Che siano eroine tragiche, condannate a un fato infelice per amor di moralismo; o figurine bidimensionali e approssimative, colorate e scollacciate il giusto; o, ancora, che siano destinate a una romantica "redenzione" con chi le sottrae alla vergogna, anche sullo schermo le lavoratrici del sesso hanno spesso avuto una rappresentazione poco realistica, in odore di stigma e plasmata su esigenze narrative rassicuranti per lo spettatore, che ribadiscono lo status quo sociale condannando alla perdizione, o redimendo in senso normativo, chi fa del proprio corpo il proprio strumento di lavoro. La vede diversamente, e lo sta dimostrando con la sua filmografia, il regista statunitense Sean Baker, vincitore con Anora (ne abbiamo parlato nella newsletter n. 138; su Film Tv in edicola lo abbiamo intervistato) della Palma d'oro 2024: la protagonista del film è una giovane donna newyorkese che lavora come lap dancer e come escort, e che in questa acuta, struggente ed esilarante commedia drammatica ribalta le premesse da "Cenerentola urbana" di Pretty Woman dimostrando che non ha bisogno di alcun ricchissimo principe azzurro per essere "salvata". Sin da Starlet, al centro l'amicizia improbabile tra un'anziana signora e una giovane attrice di film porno, Baker ha esplorato il mondo dei sex worker conoscendoli da vicino, navigando le loro routine e le loro abitudini, conoscendone personalmente parecchi prima di trasformare in storie le loro vite; così è stato per le donne transgender di Tangerine, odissea losangelina di una prostituta appena uscita dal carcere; per Un sogno chiamato Florida, dove una madre single mantiene sé e la figlioletta ricevendo clienti in un motel a due passi da DisneyWorld; per Red Rocket, protagonista un ex pornodivo male in arnese; e ora per Anora, lavoro più stratificato e cinefilo, ma sempre incentrato sull'idea di dissipare lo stigma intorno al lavoro dei sex worker raffigurandoli con umana empatia.
Abbiamo messo insieme una sintetica lista di film e serie tv che, nel corso dei decenni, hanno provato a fare lo stesso, restituendo alle lavoratrici del sesso una dignità anche narrativa, al di là delle semplificazioni romantiche (quindi niente Pretty Woman e Irma la dolce, per quanto abitati da personaggi e interpretazioni tutt'ora di culto) e delle satire caricaturali (un buon esempio recente è la sfrenata Bella Baxter di Povere creature!, che amando «il sesso e i soldi» decide, nel suo percorso di emancipazione femminista, di tentare la carriera in un bordello parigino, sperimentando la diversità del piacere e dello sfruttamento con una sfilata di uomini dai variegati desideri).
Shanghai Express (1932) di Josef von Sternberg
Direttamente dall'era pre-Code, ovvero gli anni antecedenti l'entrata in vigore del censorio Codice Hays che vietava contenuti non «moralmente accettabili» nei film, ecco Marlene Dietrich e Anna May Wong in versione escort di lusso sul treno Shanghai-Pechino, "costiere" che esercitano tra una città e l'altra. Gli altri passeggeri le guardano dall'alto in basso, non così il regista, che trasforma le due magnifiche dive in eroine della narrazione, glamour e impavide; il film fu il maggiore incasso dell'anno negli Usa.
La strada della vergogna (1956) di Kenji Mizoguchi
L'ultimo film del regista nipponico è incentrato sulle vite di quattro donne in una casa di tolleranza del quartiere a luci rosse di Tokyo: un dramma sobrio sulla dignità e la vitalità delle prostitute, raccontate non solo come vittime dell'avidità e della manipolazione degli uomini (come in parte avveniva nel precedente La vita di O-Haru - Donna galante). L'impatto considerevole del film avrebbe, secondo alcuni, favorito l'approvazione di una legge anti-prostituzione in Giappone, varata pochi mesi dopo l'uscita in sala.
Disponibile su Plex.
Le notti di Cabiria (1957) di Federico Fellini
Tra i film favoriti di Sean Baker, lo ha citato esplicitamente come fonte di ispirazione per Anora, insieme al di poco successivo Adua e le compagne di Antonio Pietrangeli, e l'odissea notturna e tragicomica della prostituta romana Cabiria è innegabilmente uno dei punti di riferimento per la rappresentazione schietta ed empatica del lavoro sessuale sullo schermo. Incarnata da una impareggiabile Giulietta Masina, quello di Cabiria è tra i più vivaci e struggenti personaggi della filmografia felliniana, scritto (a più mani insieme a Ennio Flaiano, Tullio Pinelli e Pier Paolo Pasolini) e diretto con sguardo partecipe e mai retorico.
Questa è la mia vita (1962) di Jean-Luc Godard
La parabola discendente della prostituta Nana, interpretata dalla sublime Anna Karina, ha un punto di partenza cronachistico: Godard prende spunto dall'inchiesta giornalistica Dove va la prostituzione? pubblicata da Marcel Sacotte nel 1959, e da lì preleva interi brani del film, puntellando i 12 quadri della storia di Nana con il realismo necessario per dipingere il lavoro sessuale come, appunto, un lavoro. Un'operazione che nasceva dall'intento di fare col mondo della prostituzione la medesima operazione fatta da Bresson in Diario di un ladro: uno sguardo anticonvenzionale e anti-narrativo su un mondo marginale.
Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles (1975) di Chantal Akerman
Eletto dal sondaggio di "Sight and Sound" del 2022 come miglior film della storia del cinema, l'imprescindibile lavoro di Akerman è un fluviale manifesto femminista che ci conduce per tre ore e mezza nell'esasperante routine di una donna, vedova e madre di un ragazzo, suturando insieme, all'inverso del vecchio detto di Hitchcock, solo le "parti noiose della vita": la reiterazione dei gesti quotidiani, dal preparare la colazione al prostituirsi con clienti che riceve a domicilio, è ripresa senza artifici, in lunghi piani fissi, con un rigore stilistico che riproduce le gabbie sociali della condizione femminile. Disponibile su RaiPlay.
Le professioniste del peccato (1986) di Lizzie Borden
Lo stigma, a volte, sta perfino nella traduzione italiana dei titoli (non è l'unico, in questa carrellata): erano in originale solo, emblematicamente, Working Girls le lavoratrici del sesso ritratte da Borden, già autrice del cult del cinema queer Born in Flames. Girato a bassissimo budget nel giro di un mese nel loft della regista, che insieme alle attrici si è documentata frequentando vere case di tolleranza (ogni personaggio maschile è ispirato ai racconti su veri clienti di sex worker), è il tentativo riuscito di raccontare la prostituzione attraverso il female gaze, senza giudizi morali né infiltrazioni romantiche: un mestiere con aspetti tediosi e clienti impossibili, come molti altri mestieri.
Diario di una squillo per bene (2007-2011) creata da Lucy Prebble
Scanzonata e inevitabilmente erede di Sex and the City, la serie britannica con protagonista Billie Piper nei panni della escort londinese Belle prendeva le mosse dal blog - poi un libro - autobiografico pubblicato sotto il nome d'arte di Belle de Jour. Dietro il nome, come rivelato nel 2009, c'era la scienziata Brooke Magnanti, che all'inizio degli anni zero si era pagata gli studi di dottorato in epidemiologia anche facendo, appunto, la sex worker. Il suo pseudonimo è un ovvio omaggio alla Bella di giorno di Luis Bunuel, ovvero Catherine Deneuve prostituta per piacere e non per sostentamento. Restando sul piccolo schermo, con simile spirito ludico e ironico, c'è anche Bonding, che esplora il mondo dei sex worker BDSM. Disponibile su Prime Video e TIMVision.
The Girlfriend Experience (2009) di Steven Soderbergh
Quella che Anora offre inizialmente al suo facoltoso cliente Ivan nel film di Baker - ma in fondo pure quella per cui Richard Gere pagava Julia Roberts in Pretty Woman - è la cosiddetta "girlfriend experience", ossia una prestazione di servizi non solo sessuali, ma che comprendono anche la sfera sociale e affettiva del cliente, ricreando un'intimità che simuli quella di una relazione al di fuori dello scambio economico. È quello che elargisce Chelsea, la sex worker interpretata dalla celeberrima pornodiva Sasha Grey, in quello che è soprattutto un ritratto della società americana davanti al baratro della crisi del 2008; dal film (disponibile su Prime Video, TIMVision e Infinity) è gemmata anche una serie tv antologica, diretta da Lodge Kerrigan, Amy Seimetz e Anja Marquardt.
L'Apollonide - Souvenirs dalla casa chiusa (2011) di Bertrand Bonello
Una casa chiusa di lusso nella Parigi all'alba del 1900 è il set in cui si intrecciano le vite quotidiane di sex worker dell'epoca, tra paura e piacere, dolore e desiderio, nello scorrere languido dei giorni. Un film corale, tutto al femminile, che fa delle prostitute in corsetto non meri oggetti ma attivi soggetti.
Giovane e bella (2013) di François Ozon
C'è chi l'amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione; la Jeune et jolie di Ozon né l'uno né l'altro: lei lo fa per passione, ma soprattutto per cesellare nella sua carne, tramite il piacere e lo sguardo altrui, un'identità che ancora non conosce (un po’ come la succitata Bella di giorno di Bunuel, che esplorava la sua femminilità repressa concedendosi alle altrui fantasie). Un coming of age provocatorio e magnetico, su un'adolescente alle soglie della vita adulta, che diventa sex worker non per ribellione, ma per scoprire di sé quello che nessuno può dirle. Disponibile su Nexo+.
The Deuce (2017-2019) creata da David Simon e George Pelecanos
Deuce è il soprannome volgare della 42ª strada, fulcro della vita a luci rosse di New York: la serie, magistrale come tutti i lavori di Simon, è uno spaccato corale che mette in scena l'esplosione della golden age del porno, tra gli anni 70 e gli 80 (la stessa di un altro capolavoro sul tema, Boogie Nights di Paul Thomas Anderson), e la misoginia che permea il mondo del cinema per adulti come le strade, dove i pimp afroamericani trattano le sex worker come carne da macello. Il personaggio di Maggie Gyllenhaal, prostituta che arrotonda come attrice porno, e che trova la propria strada dietro la macchina da presa di film incentrati sul desiderio femminile, è la bussola della serie, una saga urbana dal piglio realistico e storicamente accurato. Disponibile su Sky e NOW.
Kokomo City (2023) di D. Smith
Quattro sex worker transgender afroamericane, tra New York e Atlanta, si raccontano davanti all'obiettivo di D. Smith, cantautrice e produttrice trans qui al suo debutto come regista: un coro senza filtri, un flusso di coscienza collettivo che pretende per i corpi e per le esperienze della comunità transgender uno sguardo capace di accogliere contraddizioni e paradossi, reclamando spazio per le loro voci. Disponibile su MUBI.
ILARIA FEOLE
Molti chilometri a sud della notte newyorkese di Anora, c’era Un sogno chiamato Florida: vi riproponiamo la recensione del primo film di Sean Baker a essere distribuito in Italia su grande schermo, pubblicata su Film Tv n. 12/2018.
Un sogno chiamato Florida
Il chiosco delle arance è a forma di arancia, quello dei gelati di cono gelato, quello dei souvenir ha per insegna un’enorme testa di mago barbuto. Moonee abita in un posto lilla che si chiama Magic Castle, e lei - che, come tutti i bimbi, vede tesori preziosi nella plastica e nel glitter - è la regina dispotica di un regno steso ai lati di via dei Sette nani. Cioè il cortile sul retro del Walt Disney World, lo spazio di nessuno che accumula gli avanzi e il ciarpame del Sogno americano nella sua versione gommosa e industriale: il Magic Castle è un motel malconcio che da trappola per turisti si è trasformato in pseudo-casa popolare per chi può vivere solo a 35 dollari a notte, una settimana alla volta; un microcosmo tenuto insieme dalla pazienza dolente del manager Bobby. «L’uomo dietro questa porta viene arrestato spesso», «La donna in questa stanza parla con Gesù»: Moonee offre con grazia un tour del suo palazzo, poi vomita parolacce e corre con la sua gang di piccole canaglie a combinar disastri. Dopo il successo indie di Tangerine, Baker lascia la videocamera dell’iPhone per la pellicola: fulgidi campi lunghi e cromie iper sature trovano lo sguardo avventuroso di Moonee dentro riprese neorealistiche, pedinamenti ad altezza di bambino, fotografia limpida e lirica di una desolazione, partecipe ed empatica ma non edulcorata, ché allo zucchero ci pensa già la geografia sfatta e variopinta di questo Sogno sfondato di cartapesta. E, letterale come i suoi luoghi, diretto come i suoi protagonisti (a parte Dafoe, non professionisti), riesce nel miracoloso intento di conservare la propria innocenza, fino alla fine. ALICE CUCCHETTI
Molte cineaste tra le nomination degli EFA 2024, gli European Film Award ossia gli Oscar europei: tra le altre, nella cinquina per migliore regista ci sono la nostra Maura Delpero per Vermiglio e Andrea Arnold per Bird; Coralie Fargeat è candidata tra gli sceneggiatori per The Substance, e tra le nuove scoperte ci sono Hoard di Luca Carmoon (già alla Settimana della critica 2023) e Toxic di Saulė Bliuvaitė, Pardo d’oro a Locarno 2024.
Dal 6 al 12 a novembre è in programma a Roma la settima edizione di Euro Balkan Film Festival, con un focus sul cinema al femminile: il 12/11 si terrà la tavola rotonda Il mondo delle donne, con le registe Luana Bajrami, Vanja Juranić, Cristina Comencini e la sceneggiatrice e programmatrice Elma Tataragić.
La sempre magnifica Keri Russell, icona del piccolo schermo, è tornata protagonista con la seconda stagione di The Diplomat su Netflix: il critico televisivo Alan Sepinwall l’ha intervistata su “Rolling Stone”.