Singolare, femminile ♀ #130: Le disegnano così
A tu per tu con Mariuccia Ciotta, grande critica cinematografica e autrice del programma televisivo I mille volti di Eva, un percorso sull'immagine femminile nel cinema firmato nel 1978 e invisibile per quasi mezzo secolo: lo riprogramma Fuori orario, su Rai3, la notte del 24 marzo.
Assente dal piccolo schermo dalla data della sua prima messa in onda, alla fine dell'estate del 1978, I mille volti di Eva torna finalmente visibile grazie al bel palinsesto allestito da Fuori orario in occasione dell'8 marzo, ma in corso fino alla metà di aprile; sotto il contenitore F for femmine si vedranno lunghi, corti e frammenti d'autrice, da Cléo dalle 5 alle 7 di Agnès Varda a Il giorno della pace di Liliana Cavani. Dopo le prime puntate trasmesse il 17 marzo (e visibili su RaiPlay fino al 26/3), domenica 24 sarà il turno di altri episodi di I mille volti di Eva, un programma scritto da Mariuccia Ciotta e diretto da Rosalia Polizzi, che indagava la figura femminile nella storia del cinema dalle origini agli anni 70, tramite la forza di icone come le dive del muto, Rita Hayworth, Marilyn Monroe e molte altre.
Abbiamo incontrato Mariuccia Ciotta, storica firma del "Manifesto", oltre che di "Film Tv", e fresca di pubblicazione, a quattro mani con Roberto Silvestri, di Spettri di Clint - L'America del mito nell'opera di Eastwood (Baldini+Castoldi), per parlare con lei di questa galleria di donne, di come nacque il progetto, e dell'accoglienza ricevuta all'epoca, in una chiacchierata che ci ha portate a osservare il femminismo sugli schermi di ieri e di oggi.
Il 24 marzo vanno in onda (e poi su RaiPlay) le ultime puntate di I mille volti di Eva, tua creatura finora introvabile: è stata trasmessa una sola volta.
In questi quasi 46 anni la Rai non l'ha più replicata, fino a ora, grazie a Fuori orario; ho sempre cercato di recuperare le cinque puntate, ma non è stato possibile perché erano in pellicola e la Rai non voleva riversarle in digitale. Il programma è andato in onda dal 30 agosto 1978 e per tutti i mercoledì di settembre, e analizzava le immagini femminili nel cinema.
Come è nato il progetto?
All'epoca c'era una magnifica struttura di Rai2 diretta da Massimo Fichera, socialista che aveva fatto di Rai2 un un canale innovativo e spregiudicato rispetto a Rai1; nel '78 non c'era ancora Rai3, che inizia a trasmettere nel dicembre '79. Quindi I mille volti di Eva è andato in onda in presenza di due uniche reti - quelle private non c'erano - e la grande soddisfazione è che ogni puntata faceva 10 milioni di ascolti, facilitata certo dal fatto che non c'era niente tranne Rai1, ma anche rispetto agli ascolti dell'epoca era considerato molto alto. La Struttura 5 era capeggiata da Tilde Capomazza, incaricata da Fichera di programmare una serie di interventi filmati sulle donne; lo spazio che lei curava si chiamava Si dice donna, inaugurato nel ’77. In quel periodo Fichera era molto aperto, non solo verso le donne ma verso chiunque volesse proporre qualcosa di innovativo, una stagione durata troppo poco. Annabella Miscuglio insieme a Rony Daopoulo aveva prodotto una serie di cose (alcune andate in onda su Fuori orario l'8 marzo) molto interessanti; nel loro documentario AAA Offresi hanno avuto il coraggio di filmare una prostituta coi clienti, il film poi è stato sequestrato ma era molto emozionante e sconvolgente, l'unica copia esistente giace da 50 anni nelle sale del tribunale. Ecco, questa struttura allora aveva il coraggio di produrre una cosa del genere, che toccava la prostituzione in maniera non moralista bensì di partecipazione dal vivo, e questi erano i miei compagni di lavoro.
Come hai lavorato insieme alla regista Rosalia Polizzi sui materiali?
Polizzi era una regista argentina molto spregiudicata e molto fuori dai canoni del femminismo ufficiale dell'epoca, noi due eravamo molto in sintonia sul taglio da dare a questo lavoro e l'idea era percorrere la storia del cinema a partire dal muto e arrivare fino ai giorni nostri dell'epoca, per tracciare un'immagine della donna che costituiva un modello, riguardava il mito e il divismo. Era incentrato sulla forza della donna nel cinema, una forza di mito, noi ci siamo divertite moltissimo a farla: avevo pochissimo spazio per i testi perché Rosalia giustamente non voleva sovrapporre la voce fuoricampo sulle scene dei film, questo è stato un limite, era complicato sintetizzare tra un'immagine e l'altra. Le immagini erano bellissime ma sono andate in onda in bianco e nero, le parti su Marilyn Monroe erano splendide, con colori bellissimi, ma la tv era in bianco e nero.
Come è stato accolto il programma alla sua messa in onda nel 1978?
È stato molto criticato. In particolare una rivista che si chiama "Donna Woman Femme", co-fondata sempre da Tilde Capomazza, pubblicò un dialogo tra me e Polizzi e due redattrici intorno a I mille volti di Eva ed è successa una cosa che ancora adesso mi stupisce: la capostruttura prima ammette notevole successo e larga eco mediatica, ma poi dice che il programma doveva essere di un altro tipo, e che il fatto che sia piaciuto a molti uomini la preoccupa molto. Anche da altre fonti mi si rimproverava di non aver documentato la strumentalizzazione della donna del cinema; all'epoca sulla scorta della teoria di Laura Mulvey sul male gaze c'era l'idea che le donne fossero oggetti del desiderio del maschio, prive di sguardo, e io in quanto femminista avrei dovuto denunciare questo tipo di trattamento. Io però non ero per niente d'accordo: io trovo che anche quando il cinema è arrivato al delirio misogino del noir, c'era nelle immagini la potenza della donna come mostro, capace di cambiare immaginario; io non la vedevo come una vittima ma al contrario, era una donna che spaventava gli uomini, che tornavano dalla guerra e rivolevano i loro posti di lavoro.
Questo scandaglio dei vari stereotipi femminili è al centro anche di Bambole perverse, il tuo libro con Roberto Silvestri, pubblicato da La nave di Teseo.
Bambole perverse è per certi versi un po' un seguito a I mille volti di Eva, anch'esso incentrato soprattutto sul cinema hollywoodiano. In I mille volti di Eva non stavo tracciando una storia della donna nel cinema universale, ma trattavo le figure soprattutto a Hollywood, un po' anche in Italia e Francia, e alcuni giornali di sinistra all'epoca mi hanno attaccata anche per questo, per esempio "l'Unità" scrisse che nel programma mancavano le attrici sovietiche. C'era un grande anti americanismo allora, e l'idea che i prodotti americani fossero di scarsa qualità.
Torniamo alla tua idea di donna sullo schermo come forza mitica.
La sigla iniziale era una donna nuda vista di spalle, seguita da immagini di grande glamour femminile: il mio taglio era politico, le immagini scelte, che Rosalia selezionava, erano immagini molto forti, di una donna che esprimeva potenza, bellezza, forza, non era una donna sottomessa. Anche quando parlavo degli anni 50, il periodo del ritorno a casa delle donne, della ragazza che cerca marito, giocavo sul fatto che, per esempio, Marilyn Monroe smascherava proprio questo meccanismo, quando dice che per le donne essere belle è come per gli uomini essere ricchi; o quando dice "sono intelligente, ma agli uomini non piace quindi non lo faccio vedere": erano stereotipi presentati e poi immediatamente smontati, perché il cinema questo fa, tiene conto della capacità di rompere gli stereotipi nati nella società, rimette in discussione questi ruoli. Naturalmente non voglio dire che il programma non fosse criticabile, probabilmente mancano delle cose, era molto arbitrario per condensare il tutto in poche puntate, ma il punto è come e perché è stato criticato.
Secondo te come mai non è mai più stato messo in onda?
Solo ora, rivedendo queste critiche molto feroci, ho pensato che Tilde lo abbia fermato; l'unico che mi ha sostenuta è stato Stefano Benni, che mi ha intervistata, e Beniamino Placido. Forse anche il fatto di essere in bianco e nero può essere uno dei motivi, in una tv che andava verso la programmazione a colori. Ma sicuramente le reazioni hanno contato molto, non soltanto dal coté femminista, ma anche parte della sinistra che lo considerava troppo filo americano, troppo spregiudicato su questi personaggi femminili.
Certo, fa sorridere amaro che rispetto all'ideologia rigorosa di allora, oggi molto di tutto questo è sdoganato.
Vero, come è successo con molti altri tipi di film, penso all'animazione giapponese che veniva demonizzata, o a Clint Eastwood, che noi siamo stati i primi a difendere ma venivamo attaccati per questo; adesso va bene tutto.
Quando hai citato la misoginia del noir mi è venuto in mente che, a proposito di luoghi comuni, proprio quei film avevano una forte impronta femminile: a dare forma alle perfide femme fatale c'erano sceneggiatrici, e costumiste, tra le altre; proprio loro hanno contribuito a fare della dark lady un'immagine di donna molto forte.
Certo, e lo stesso vale per l'inizio del cinema, muto dove le sceneggiatrici scrivono praticamente tutti i testi, sono tutte donne, comprese quelle di Cecil B. DeMille. Proprio dalle dark lady è nato un po' il senso delle puntate, nello scoprire che il massimo della misoginia nata negli anni 40 comunicava in realtà una potenza che segna l'immaginario. Le mie critiche americane di riferimento erano Marjorie Rosen e Molly Haskell, che analizzavano tutta l'immagine della donna, anche rispetto al tema delle figure femminili come vittime dello sguardo maschile.
Negli ultimi mesi ci sono stati molti ritratti femminili potenti sul grande schermo, penso a quelli proposte da Lanthimos, a Justine Triet, a Paola Cortellesi; ce n'è qualcuno che ti ha colpita?
Devo dire che io trovo Povere creature! uno dei film più anti donna che io abbia visto. Bella passa per donna emancipata, ma come fa un uomo a pensare che l'unica cosa che interessa alla donna è scopare? Per giunta attraverso la prostituzione. Emma Stone è straordinaria e i costumi bellissimi, ma trovo il film bruttissimo, e ce ne sono ancora parecchi di film che reputo misogini, firmati da uomini che hanno dei problemi con le donne.
Poi, certo, io penso che anche se in un film viene espresso un atteggiamento contro le donne non vuol dire che non sia un buon film; bisogna prendere atto che lo sguardo del film è di esclusione, o magari di costruzione di una donna che è la proiezione di un autore uomo. Lanthimos pensa che una donna debba essere come lui, come gli uomini, col medesimo desiderio di rapporto sessuale, trasmettendo l'idea che più le donne diventano come gli uomini più sono libere, ma la libertà sessuale vista dagli uomini non è la stessa cosa della libertà sessuale vista dalle donne. Mi sembra rischioso interpretare come "liberazione" il fatto che le donne cerchino di fare esattamente le stesse cose che fanno gli uomini.
È un punto di vista interessante, a cui non avevo pensato. È vero che il film è molto fallocentrico; eccezion fatta per una breve parentesi saffica, vediamo Bella Baxter cercare ossessivamente il membro maschile, anche nel bordello che diventa una sorta di vetrina di tutti i tipi possibili di uomo e di fallo. Però a me sembra che il punto centrale sia il piacere: un piacere che è liberatorio perché improduttivo, ed egoistico, e che lei scopre a partire dal suo corpo, e dal suo organo genitale di donna.
È vero, quando lei scopre la sessualità e inizia a masturbarsi c'è una liberazione, come nella fase della scoperta del sesso infantile, la scoperta del piacere libero. Però il sesso che pratica successivamente è più una sorta di ginnastica, a un certo punto non prova nemmeno piacere, respinge un orribile uomo e non la vedi godere. Ancora oggi ci sono film che prendono distanza, che disegnano le donne in questo modo, e quando una donna è più potente degli uomini può fare paura: io i femminicidi li leggo così, come una reazione di uomini che hanno perso la loro identità, che non sono più niente perché si sentono distrutti dal fatto che la donna ora si possa identificare coi canoni maschili.
Cosa ne hai pensato, invece, della Barbie di Greta Gerwig?
A me interessava molto il fatto che la bambola Barbie era considerata un modello di bellezza quasi anoressica a cui tutte le donne dovevano assomigliare, ma mi ricordo di aver scritto che il passaggio, negli anni 60, tra il bambolotto e la Barbie corrispondeva al passaggio tra essere madri e essere se stesse. La Barbie è una proiezione di sé, non una madre che coccola il neonato, dopodiché siccome era bionda e bella è stata un po' colpevolizzata, anche se poi è diventata di tutti i colori e di tutti i tipi. Il film in effetti racconta questa emancipazione nell'incipit, quando le bimbe buttano i bambolotti. Quello che però non è stato considerato è che non deve essere un aut aut, una può essere madre ma anche fare l'avvocata e l'astronauta; del film Barbie mi ha colpito che Gerwig e Baumbach vengono dal mumblecore e infatti il film è ultra parlato, psicologico, è un film super pop ma con dentro questo contenuto di interpretazione psicologica che appesantisce molto. Secondo me però è interessante, non chiude tanto la questione, la lascia aperta, però almeno apre a delle discussioni e pone dei problemi.
Dal punto di vista, invece, del piccolo schermo italiano, cosa pensi della sua evoluzione o involuzione, nei 46 anni trascorsi da I mille volti di Eva?
Basta pensare a questo nuovo "codice Fazzolari" proposto da Fratelli d'Italia per le ospitate in tv, che dice più o meno "basta coi panzoni, bisogna mandare nei programmi belle donne giovani", e ovviamente non conta nulla cosa ci sia nel loro cervello. Io penso che non siamo mai usciti dal berlusconismo, quella generazione sta al governo, continuano a riproporre questa idea che le donne debbano essere di bell'aspetto. A maggior ragione è prezioso lo spazio di Fuori orario, ormai unico spazio dentro la televisione che fa ancora cose in piena libertà, per fortuna; ti fanno venire in mente che bisognerebbe riflettere, parlare di più anziché dare per scontato che sia tutto superato. In alcune cose in politica, in cultura o nel cinema mi sembra che siano venuti meno i fondamentali, cose che sono diritti, che sono frutto di lotta politica e dovrebbero essere date per acquisite, invece non lo sono affatto. ILARIA FEOLE
A proposito di icone del femminile sullo schermo: la Rita Hayworth di La signora di Shanghai è il perfetto esempio della potenza della dark lady di cui parla Mariuccia Ciotta, e vi riproponiamo un ritratto dell’immortale attrice pubblicato su Film Tv n. 42/2018 in occasione del centenario della nascita.
Lovely Rita
Il 17 ottobre del 1918 nacque a Brooklyn Margarita Carmen Cansino, figlia di Eduardo Cansino, un danzatore originario dell’Andalusia emigrato in America, che lavorava alle Ziegfeld Follies e aveva sposato una partner, la ballerina Volga Hayworth. Era quasi inevitabile che Margarita venisse avviata alla danza fin da piccola: «Avevo tre anni e mezzo quando cominciai a prendere lezioni. Esercizi, esercizi, esercizi, questa fu la mia infanzia» ha raccontato. A otto anni era già apparsa in un cortometraggio e ne aveva 12 quando il padre (che nel frattempo si era trasferito con la famiglia a Hollywood, convinto che il ballo avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel cinema) decise di formare con lei i Dancing Cansinos, un duo che si esibiva nei teatri e nei club. Qui un dirigente della Fox la notò e la scritturò, aggiustandole il nome in Rita Cansino. Rita aveva 16 anni, i capelli neri, la figura sinuosa e la Fox, che progettava di lanciarla come la nuova Dolores del Río, le riservava minuscole particine “esotiche”, da egiziana, argentina, russa, gitana. Fu Harry Cohn, il capo della Columbia, ad accorgersi del suo potenziale e, insieme a un contratto di sette anni, le fece cambiare nome e immagine: chioma rossa, una radicale sfoltita alle sopracciglia e all’attaccatura dei capelli e l’adozione del cognome materno. Nacque così, nel 1937, Rita Hayworth: una rapida successione di piccoli ruoli nella serie B della Columbia, una parte più importante in Avventurieri dell’aria di Hawks, i primi noir e musical da protagonista e la prima copertina di “Life” nel 1940. A questo punto fu “prestata” alla MGM per la parte di deuteragonista in Sangue e arena, diretto da Rouben Mamoulian e interpretato da Tyrone Power e Linda Darnell: lei è Doña Sol, la ricca femme fatale che fa perdere la testa al famoso torero. Il destino della star Rita Hayworth era segnato. Infatti, anche se subito dopo fu agile e vitalissima protagonista di una serie di musical Columbia, danzò con Fred Astaire (che una volta ha confessato che fu proprio lei la sua partner ideale) in L’inarrivabile felicità e Non sei mai stata così bella, e con Gene Kelly in Fascino, l’immagine di donna fatale si era incollata alla sua bellezza e ai suoi capelli, al suo corpo e alla sua maniera sfrontata e sotterraneamente fragile di affrontare la vita e gli ombrosi partner. «Date la colpa a Mame» dice la canzone: datele la colpa del terremoto di San Francisco, dell’incendio di Chicago, della grande tempesta di neve di New York, è stata lei la vera causa delle peggiori catastrofi abbattutesi sugli Stati Uniti. La canta Gilda, fasciata in nero, mentre si sfila i lunghi guanti sulla pista da ballo (e sembra che abbia fatto uno striptease completo). Gilda, la cattiva ragazza del film di Vidor del 1946, la bomba sexy che tutti gli uomini vogliono e che amano male, quella la cui immagine finì, con disperazione dell’attrice, appiccicata sulla bomba atomica sganciata sull’atollo Bikini nello stesso anno del film. E, dopo Gilda, la sigaraia Carmen; Salomè nella danza dei sette veli che costò la testa a Giovanni Battista; la cantante e ballerina di night di Trinidad; la prostituta Sadie Thompson di Maugham, incastrata su un’isola tra bacchettoni benpensanti in Pioggia; l’avventuriera senza passaporto che si aggira tra le isole dei Caraibi in Fuoco nella stiva; la ricca vedova dell’alta società di San Francisco che da giovane faceva la spogliarellista di Pal Joey. Sempre bellezze pericolose, sempre ragazze o ex ragazze che la vita ha maltrattato e che hanno tentato, alla loro maniera, di barcamenarsi, sempre con innamorati o ex amanti che ritornano, senza aver capito niente (a Glenn Ford, il partner di Gilda, il personaggio dell’uomo che si dibatte tra odio e amore per questa donna è toccato ben quattro volte, tra sonori ceffoni e baci appassionati). Su tutte, naturalmente, l’apoteosi della dark lady, cucita su di lei dal secondo dei suoi cinque mariti, il genio che la vide sullo schermo e decise che l’avrebbe sposata: Orson Welles, che nel 1947, quando già stavano per divorziare, la trasformò nella pericolosa Elsa Bannister, capelli corti biondo platino, un ricco marito avvocato, il fascino ammaliante, misterioso e istintivo di una sirena. La signora di Shanghai, oltre che un capolavoro noir (e la storia, sottotraccia, di un grande amore finito), è la sintesi dell’immagine schermica dell’attrice. Non era cattiva, solo che tutti, persino Welles, la disegnavano così - come dice Jessica Rabbit, costruita sull’immagine di Gilda. «Tutti gli uomini che ho conosciuto, la sera andavano a letto con Gilda e la mattina si svegliavano con Rita» si rammaricava. E la ragazza che sapeva far volare il corpo nella danza, l’attrice brillante, la compagna dinamica restò nascosta (e tutto sommato dimenticata) sotto il fascino talvolta mortale dei personaggi più celebri, rivelandosi a tratti, in un sorriso improvviso e luminoso, in un ironico inarcare di sopracciglia, nella sfrontata amarezza con cui attraversava la vita. EMANUELA MARTINI
Proprio il 24 marzo, giorno della messa in onda di I mille volti di Eva, accendete Rai3 già alle 13 per Numero 3, Sara Gama, omaggio al capitano storico della nazionale italiana di calcio femminile. Il documentario di Martina Proietti e Giuseppe Rolli è prodotto da Rai Documentari per la regia di Fedora Sasso; potete vederlo anche su RaiPlay.
Una “vecchia conoscenza” di questa newsletter è sulla ribalta a Milano: Miranda July (cui abbiamo dedicato il n. 15) è protagonista con New Society della sua prima personale, all’Osservatorio della Fondazione Prada (galleria Vittorio Emanuele) fino al 14 ottobre. Un’ottima occasione per ripercorrere la carriera di un’artista poliedrica: siamo state alla presentazione della mostra e ve ne riparleremo presto.
Come vi avevamo annunciato, Singolare femminile diventa anche un corso in presenza: quattro lezioni, ogni mercoledì dal 3 al 24 aprile, presso la libreria Alaska di Milano (via Gian Rinaldo Carli 39): 3/4 Lo sguardo delle donne (Alice Cucchetti); 10/4 Il mostro è la fanciulla (Ilaria Feole), 17/4 Giovani in fiamme - il cinema di Céline Sciamma, 24/4 Case di bambola: da Sofia Coppola a Greta Gerwig (Alice Cucchetti). Info e iscrizioni qui.