Singolare, femminile ♀ #064: Scuola di sopravvivenza
Confezione ultra pop, colori pastello, humour nero, anima camp: da Schegge di follia al recentissimo Do Revenge, passando per Ragazze a Beverly Hills, Cruel Intentions, Mean Girls e Assassination Nation, il sottofilone delle teen black comedy nasconde istinti corrosivi sotto la superficie leggera e variopinta, regalando cult generazionali e indimenticabili (anti)eroine.
«… E così tutti capiranno che questa scuola si è autodistrutta non perché abbandonata dalla società, ma perché la scuola è la società!». Così monologava il “ribelle senza causa” J.D. – iniziali non casuali – interpretato da Christian Slater in Heathers, distribuito in Italia col titolo Schegge di follia. Un teen movie «pensato per essere diretto da Stanley Kubrick», nelle dichiarazioni del suo stesso ambiziosissimo sceneggiatore (Daniel Waters, fratello del Mark Waters che 15 anni dopo dirigerà Mean Girls), e un oggetto più che mai anomalo nel 1988 in cui viene distribuito – e in cui decisamente floppa, anche perché nessuno sa bene come promuoverlo, a che target indirizzarlo. Arrivato sui grandi schermi appena quattro anni dopo la nascita “ufficiale” della teen comedy moderna firmata John Hughes – con Sixteen Candles – Un compleanno da ricordare e Breakfast Club –, Heathers è il capostipite di un sottofilone che sembra subito ribellarsi a quel rassicurante quadro eternormativo, bianco e borghese. Se Hughes parla agli adolescenti mettendosi finalmente all’altezza del loro sguardo, canonizzando in archetipi e cliché narrativi un universo cinematografico che corrisponde alla loro realtà, Heathers dei teenager cattura la furia e l’angoscia, il senso d’insoddisfazione, l’ansia di fuga da una claustrofobica ipocrisia omologante di cui le scuole superiori sono solo la prova generale per la vita futura. Heathers sarebbe Allison, il personaggio di Ally Sheedy in Breakfast Club, la ragazza stramba e disperatamente affezionata al proprio “cuore giovane”, se alla fine del film, invece di sottoporsi al makeover che la trasforma in roseo e assimilato “cigno”, avesse continuato a camminare fiera nei propri abiti scuri da “brutto (e arrabbiato) anatroccolo”.
Heathers satireggia il genere cui appartiene, fin dal titolo: le Heather, al plurale, sono la clique (la “gang”, la “cricca”, la “compagnia”… è difficile trovare un equivalente in italiano che riassuma il preciso significato dell’originale: un gruppo di giovani pari fortemente connotato da scelte di stile, comunitarie e identitarie, e a tratti dominato da dinamiche settarie) al centro del film, le quattro ragazze più popolari della scuola, tre delle quali si chiamano, appunto, Heather (la quarta è la nostra protagonista, la Veronica interpretata da una meravigliosa Winona Ryder, che “non è come le altre” fin dal nome). Folti capelli permanentati, blazer dalle spalline imbottite e gonne a pieghe indossati come una divisa, le Heather sono le prime vere mean girl identificate come tali, coagulate attorno a una queen bee (o queen bitch) che sta al vertice proprio perché è la più crudele di tutte: in questo caso, all’inizio del film, Heather Chandler, una ragazza «appena al secondo anno» di cui «tutti vogliono essere amici oppure portarsi a letto», specializzata in bullismo psicologico per divertimento e/o noia, grazie al quale mantiene saldo il controllo all’apice della piramide sociale. Da lei discendono moltissime discepole, alcune delle quali immediate icone, come la Cher Horowitz interpretata da Alicia Silverstone in Clueless (Ragazze a Beverly Hills in italiano), la Regina George di Rachel McAdams nel già citato Mean Girls, la Kathryn Marteuil/Sarah Michelle Gellar di Cruel Intentions, la Blair Woldorf/Leighton Meester di Gossip Girl… Le ultime, in ordine di tempo, sono le Drea e Eleanor (Camila Mendes e Maya Hawke) di Do Revenge, teen black comedy da poco distribuita su Netflix, diretta da Jennifer Kaytin Robinson (già autrice della serie Sweet/Vicious, su toni e temi simili, e della rom com Someone Great) e a sua volta summa e omaggio alla tradizione ormai pluridecennale del filone (esemplificata dal cameo di Sarah Michelle Gellar, che interpreta l’unico personaggio adulto presente nel film).
Sottovalutato a molteplici livelli – perché “teen”, perché “comedy”, perché spessissimo “di cassetta”, perché frequentemente formulaico, perché all’apparenza concentrato su argomenti frivoli e toni leggeri – il genere della commedia adolescenziale sa rivelarsi territorio perfetto per una decostruzione satirica della contemporaneità, anche grazie ai suoi stessi stereotipi e cliché (il “parco personaggi” predefinito, i momenti chiave-riti di passaggio come il prom, il makeover o l’ammissione al college…). Non a caso è spesso adattamento contemporaneo di grandi classici della letteratura, a volte più “adeguato” di una trasposizione tradizionale (Clueless è un’ottima versione di Emma di Jane Austen, Cruel Intentions è Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos ambientato tra l’élite di Manhattan…). I connotati “black comedy” riguardano in prevalenza una narrazione femminile (mentre ai maschi è dedicata la “raunchy comedy”, più esplicita, sboccata, “fisica”), proprio perché indagare le gerarchie delle clique e della popolarità significa analizzare strutture di potere dal punto di vista di chi potere non ne ha, o ne ha meno di quel che vorrebbe. Lo spiega con nonchalance proprio Drea, in Do Revenge, architettando l’eponima vendetta insieme a Eleanor: è molto più facile “distruggere” una ragazza, perché ogni sua conquista è precaria e costantemente dipendente dalla validazione altrui. «I nostri corpi, i nostri pensieri, le nostre scelte: sono tutti controllati dalla vergogna» dice. E d’altra parte, già la Kathryn di Cruel Intentions denunciava con frustrazione l’insopportabile doppio standard cui le toccava adeguarsi: il “fratellastro” Sebastian poteva accrescere la propria fama di donnaiolo spezzando cuori e dedicandosi a una vita di eccessi, mentre lei era obbligata a fingersi virtuosa, casta e immacolata per conservare il proprio ruolo apicale.
Kathryn è la villain/femme fatale di Cruel Intentions, e come da copione finisce sconfitta: ma è il film stesso a darle implicitamente ragione, punendola per il peccato mortale dell’ipocrisia, mentre a Sebastian, prima della fine tragica, è concesso un trasformativo arco di redenzione. Non è un caso che gli esempi migliori di teen black comedy abbiano un’antagonista indimenticabile e in un certo senso amata più dell’eroina: la terribile Regina George di Mean Girls è un altro esempio, e in questo caso la sceneggiatura di Tina Fey si preoccupa di regalarle un happy end (ma non prima di averla scaraventata sotto un autobus…) riconoscendole il diritto alla rabbia – quella rabbia così spesso negata alle ragazze e alle donne, educate a “comportarsi bene”, a “sorridere”, a non perdere mai il controllo – da sublimare però nello sport anziché nel bullismo. Meglio ancora, le migliori teen comedy sono quelle in cui i ruoli di villain ed eroina, carnefice e vittima si scambiano e si rincorrono (e anche in questo caso Do Revenge aderisce al canone, ma forse gli esempi più iperbolici si trovano nelle serie teen di Ryan Murphy Popular e Glee): proprio perché, per rubare le parole al sopracitato J.D., la scuola è la società, le trappole in cui le giovani protagoniste s’infilano dipendono molto più da una struttura truccata a loro sfavore che dal loro carattere. Il titolo Mean Girls si riferisce solo apparentemente al gruppetto di “Plastic” capitanato da Regina George: in realtà ogni personaggio femminile si rivela, a un certo punto della storia, una “ragazza cattiva”. Di più. Quello che attraversa la protagonista Cady (interpretata da Lindsay Lohan), prima ancora che un classico romanzo di formazione, è un percorso di educazione alla presunta “civiltà”: cresciuta all’estero con i genitori che le hanno sempre impartito un’istruzione casalinga, si trova per la prima volta, adolescente, a dover imparare i riti della scuola e del vivere collettivo. Solo che, davanti ai suoi (e ai nostri) occhi, si rivelano per quello che sono: la wilderness più caotica e selvaggia, l’impulsività animalesca e l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione che ribollono, appena sotto una superficie di rassicurante ipocrisia. Così, la “formazione” di Cady corrisponde a imparare la falsità, il narcisismo, l’egoismo che il contesto le presenta come indispensabili per non farsi “mangiare” dalle altre belve.
È nello squilibrio di potere – i giovani ne hanno molto meno degli adulti, le ragazze molto meno dei ragazzi, gli “sfigati” infinitamente meno dei “popolari”, i poveri quasi niente in confronto ai ricchi – che prolifera l’arte della manipolazione di cui le queen bee/bitch – ma anche chiunque ambisca a prenderne il posto, eroina compresa – sono maestre. Il microcosmo della high school è davvero la planimetria, ridotta e semplificata, del mondo reale, uno spazio “ristretto” in cui tutti i conflitti s’incontrano, a un passo dalla miccia: anche per questo l’ormai “obbligatoria” sequenza di presentazione delle varie clique è tanto necessaria ed efficace, un pratico vademecum delle relazioni di potere che regolano il mondo liceale. Che è, allo stesso tempo, riproduzione in scala dell’esterno e suo riflesso accentuato, aumentato. È l’età delicatissima in cui ognuno di noi forma la propria identità, e lo fa soprattutto attraverso lo sguardo e il giudizio altrui, siano quelli degli insegnanti da cui dipende il futuro accademico, o quelli dei pari, cui è legata la consapevolezza di sé e del proprio posto nel mondo. È anche l’età in cui è più semplice e “naturale”, per il gruppo dei pari, fare branco, e quasi sempre secondo una spinta “conservatrice”, che esclude chi – per scelta o no – non si conforma alle norme date per condivise e inamovibili. Nelle teen black comedy questo meccanismo viene esasperato, portato all’estremo, accostato a una – temuta o vagheggiata – resa dei conti sociale. Qualcosa che assomiglia alla paranoia, alle esplosioni di “moral panic”, a una caccia alle streghe; e infatti almeno due piccoli cult movie, pienamente inseriti nel filone, vi fanno riferimento: The Craft (in Italia distribuito col titolo Giovani streghe), che ha per protagonista una clique di outsider che si rivolge alla magia nera per acquistare il potere che le è sempre stato negato, e per esigere vendetta per piccoli o grandi atti di bullismo quotidiano (anche qui la “villain” della storia, la Nancy di Fairuza Balk, è ben più memorabile dell’eroina); e Assassination Nation, uno dei primi lavori del Sam Levinson di Euphoria, che si svolge proprio a Salem, il luogo della celebre persecuzione seicentesca.
Assassination Nation ha per protagonista un quartetto d’adolescenti popolari e modaiole come da copione, e si ambienta per la maggior parte in una scuola superiore, ma porta allo scoperto la metafora denunciata da J.D. in apertura, ribaltandola: non solo la scuola è la società, ma la società si trasforma in un battibaleno in una high school da teen drama, in una regressione fatta di clique, branchi, bullismo e persecuzioni violente che prelude a una distopia in stile The Purge. Se la commedia – in particolare la commedia romantica, cui i teen movie sono spesso associati – tende a ristabilire lo status quo entro i titoli di coda, nelle teen black comedy questo destino non è così scontato, anzi: per certi versi, il filone bordeggia quasi quello della fantascienza young adult alla Hunger Games, in cui tipicamente eroi adolescenti combattono per scardinare un’autorità adulta che perpetua un sistema ingiusto e fallato. La caduta del/della villain, e ancora di più la speranza che un nuovo modo di convivere possa instaurarsi (Veronica che rinuncia al prom per guardare film con una ragazza molto poco popolare alla fine di Heathers; Cady che fa a pezzi la coroncina da reginetta al termine di Mean Girls; la destituzione dell’infido Max in Do Revenge), sono quasi sempre al centro dell’happy end, che tende a scansare il nichilismo serpeggiante anche quando si concede un’ultima sfumatura amara.
Le teen comedy sono e sono state spesso criticate per gli stereotipi che propagano, primo fra tutti quello che vedrebbe le ragazze in costante competizione tra loro, rancorose e invidiose, interessate solo a frivolezze come la moda, il ballo, il belloccio di turno, nonché maestre della manipolazione psicologica e della meschinità sociale; ma, altrettanto spesso, se la trama principale prevede spesso “per contratto” che due o più protagoniste si contendano un interesse amoroso, a ben guardare il vero oggetto d’indagine è l’amicizia femminile, un rapporto tra donne sfaccettato e complesso, che alla competizione sovrappone l’imitazione, all’ammirazione la mentorship. Il cuore di Clueless è il rapporto tra Cher e Tai, in Mean Girls la relazione triplice Cady/Regina/Janis, in Do Revenge l’amicizia che nasce tra Drea e Eleanor. «Ho appena ucciso la mia migliore amica!» esclama Veronica, dopo il primo plot twist che dà il via alla valanga inarrestabile di eventi di Heathers. «E la tua peggior nemica!» aggiunge J.D., al che Veronica chiosa, con gran dono della sintesi: «Stessa cosa». Le teen comedy si muovono sempre in una stilizzazione camp, che perfettamente corrisponde all’intensità e ai sentimenti assoluti dell’adolescenza. E che contribuisce al piacere di guardarle, anche più volte, di ritornarci come si fa con i veri cult movie, sfogliandone gli strati e le sfumature, scardinando, ancora una volta, altri stereotipi. ALICE CUCCHETTI
Nel 2020 dedicammo un intero numero di Film Tv (per la precisione, il n. 18) al teen movie e ai teen drama, con una Lost Highway su John Hughes, la Locandina di Breakfast Club, una storia dei film dedicati agli adolescenti, le migliori serie tv a tema… Vi riproponiamo qui il pezzo di apertura, una mappa del teen movie contemporaneo, fuori e dentro i cliché.
Teen Movie e come uscirne vivi
Troppo spesso ignorato da critici e studiosi, il teen movie è un campo di battaglia in cui si costruiscono immaginari, si negoziano codici di rappresentazione e si mettono alla prova stereotipi di genere. Ecco una panoramica sul cinema per teenager e i suoi archetipi.
A John, Andy, Brian, Claire e Allison serve una giornata - fitta di inedite valutazioni dell’altro e costruttive autocritiche del sé - per fissare, e al contempo sconfessare, i cliché a proprio carico. Ma nella biblioteca di Breakfast Club succede anche che si espliciti l’inoppugnabilità di archetipi dai quali i successivi teen movie, dal 1985 del cult di John Hughes in poi, non potranno prescindere, esercitandosi a rielaborarli e mischiarli. Va ribadito che, quando parliamo di teen movie, parliamo di un’istituzione principalmente americana: l’high school, il prom, gli armadietti, il makeover, le caste - la squadra di football, le cheerleader, i nerd, etc. Un ordine regolato da una ciclicità estetica e tematica, al centro di un’area più ampia, quella del cinema che esplora l’adolescenza, sciolta da stilemi rituali e spaziante dall’autoriale (i film di Lukas Moodysson o di Céline Sciamma) all’ibrido (con l’horror, la sci-fi, il distopico, il fantasy, il cinecomix). Ma la mitologia del genere, il suo brodo primordiale è quello made in Usa, divenuto orizzonte commerciale appena il concetto di “adolescente” forma un potenziale target: dagli anni 50-60 in poi, con parabole rivolte più che altro a un pubblico adulto, che allarmavano sul ribellismo giovanile, come il seminale Gioventù bruciata, e sorridenti commedie tutte sole, cuore, amore e musica come Senza tregua il “rock and roll” (1956), Vacanze sulla spiaggia (1963) e I cavalloni (1959), il primo franchise teen, protagonista Sandra Dee. Gli anni 80 fanno tutto il resto: Hughes merita un capitolo a parte perché dopo di lui lo standard del teen movie si cementifica senza ritorno. È come se i teen movie inventassero l’adolescenza, descrivendola e così dettandola alla sua audience. E ai suoi personaggi. Come la Lara Jean di Tutte le volte che ho scritto ti amo, che ragguaglia il finto fidanzatino sui dettagli della loro messinscena prendendo a paradigma Sixteen Candles - Un compleanno da ricordare: la simulazione gestuale, le procedure comunicative devono riprodurre i dettami performativi impartiti dal classico di Hughes, quell’idea(le) di relazione, di universo inconfondibile. E non per autocelebrazione: anche la Olive di Easy Girl sogna un universo maschile d’altri tempi, ma ben specifici, quelli di Non per soldi... ma per amore, Playboy in prova, ancora Sixteen Candles, Breakfast Club o Una pazza giornata di vacanza. Non uomini, ma, come precisa Frances Smith in Rethinking the Hollywood Teen Movie, simulacri. La nostalgia non è per una tradizione fatta di cavalleria e casta monogamia, ma per una realtà cinematografica. Quella del teen movie, che va così a edificare ruoli e desideri non più ispirati dal reale ma che il reale lo ispirano. Ma sono, anche, manuali di sopravvivenza a un’imprendibile epoca della vita, prove generali di riscatto di classe, strutture che impostano e dirigono scopi e ruoli di genere. È un cinema spesso snobbato, sebbene sia forse il più permeabile alla fresca traduzione di testi maiuscoli: Easy Girl attinge da La lettera scarlatta, Ragazze a Beverly Hills da Emma di Jane Austen, Kiss Me da Pigmalione (e My Fair Lady), mentre pescano da Shakespeare Mai stata baciata (da Come vi piace), 10 cose che odio di te (da La bisbetica domata) e naturalmente Romeo + Giulietta. Da metà anni 10 in poi, alcuni schemi cominciano a traballare e si crea una via all’autenticità che inizia a scansare variazioni eternamente identiche: attraverso differenti punti di vista (Tuo, Simon), un’apertura più serena alla sessualità (The To Do List - L’estate prima del college e Summer ‘03), l’inclusività, il rovesciamento di narrazioni univoche (Il coraggio della verità). La nuova giovinezza del teen movie risiede soprattutto nella produzione Netflix, che ripensa i triti prototipi del genere tramite la raffigurazione di una mascolinità antimachista, sensibile e imperfetta, l’inserimento di istanze urgenti (cyberbullismo, revenge porn, razzismo, omofobia) e nuovi dispositivi narrativi (i social come macchine d’equivoci e s-mascheramenti). Certo, poi arriva il derivato di fanfiction con miniatura di Christian Grey The Kissing Booth ad arrestare lo scardinamento dei codici conservatori, e il suo successo dice della difficoltà di liberare il genere dagli imperativi classici; ma mi piace dedicare una nota conclusiva a una coincidenza che racchiude il fascino insito in questa narrazione ripetitiva: il caso del teen movie Ogni giorno e di un film che non potrebbe essergli più distante, Long Day’s Journey Into Night, che si chiudono sulla medesima inquadratura di un piccolo fuoco d’artificio che si consuma, ma di cui non vediamo l’esatta fine. Forse perché il cinema che parla d’adolescenza, come il cinema che parla d’amore, è l’unica dimensione in cui può resistere l’infinito di un attimo e di un sogno di assoluto, nell’invincibilità immutabile del suo racconto.
FIABA DI MARTINO
A Bergamo, il 23 e il 24 settembre, c’è il 33° convegno Studi Vedere e Studiare Cinema, che quest’anno torna in presenza e ha come titolo Bad Girls – Le cattivissime dal cinema classico a oggi. Ci sarà anche Ilaria Feole, con un intervento su Le dark lady del noir.
Da domani, giovedì 22, a domenica 25 settembre, a Torino, la quinta edizione del Fish & Chips Film Festival, rassegna internazionale di cinema erotico e sessuale. Tra gli ospiti, l’artista messicana Lidia Porn, la performer torinese Alyson Borromeo e la sex worker Elettra Arazatah. A Biella, dal 23 al 25 settembre, si svolge la terza edizione di ContemporaneA – Parole e storie di donne, dove Ginevra Di Marco porta lo spettacolo L’anima della Terra vista dalle stelle dedicato a Margherita Hack, nel centenario della nascita della grande scienziata.
Con i primi sei episodi resi disponibili ieri, e i restanti sei in onda la prossima settimana, è sbarcata finalmente anche su Sky Atlantic, SkyGO e NOW I May Destroy You di Michaela Coel, per noi una delle serie più importanti degli ultimi anni, di cui vi avevamo parlato nella newsletter n. 7. Questa settimana arrivano in sala, dopo il passaggio alla Mostra del cinema di Venezia, il chiacchieratissimo Don’t Worry Darling di Olivia Wilde e I figli degli altri di Rebecca Zlotowski, mentre da Cannes arriva Tutti amano Jeanne di Céline Devaux.