Dopo la presentazione a Cannes 2024 e l’uscita al cinema la scorsa primavera, è finalmente arrivata anche in tv, su Sky, L’arte della gioia, la serie che Valeria Golino ha tratto dal fondamentale romanzo omonimo di Goliarda Sapienza. Per raccontarla, torna a trovarci in questo numero della newsletter la guest star Martina Neglia.
«Ho sempre rubato la mia parte di gioia a tutto e tutti», ripete Modesta, interpretata da Tecla Insolia, nella serie tv adattamento del romanzo L’arte della gioia, diretta da Valeria Golino. I sei episodi che costituiscono la serie, presentata in anteprima al Festival di Cannes nel 2024 e dalla settimana scorsa in programmazione settimanale su Sky, coprono circa un quarto del romanzo di Goliarda Sapienza. Romanzo che senza troppe difficoltà definiremmo oggi uno dei grandi romanzi del Novecento italiano, ma che Sapienza, spentasi nel 1996, non riuscì mai a vedere pubblicato nella sua forma integrale. Scritto infatti tra il 1969 e il 1976, il successo del romanzo è da ricondurre solo agli anni Duemila, quando passò di mano in mano tra editrici estere, fino a diventare un caso editoriale in Francia. Per i grandi editori italiani fu quindi impossibile ignorare l’onda d’urto causata da Modesta e fu Einaudi ad accaparrarsi i diritti di pubblicazione, anche e soprattutto per volontà del marito di Sapienza, Angelo Pellegrino, che desiderava per l’opera della moglie una veste che le conferisse finalmente la giusta autorevolezza.
Non stupisce, per certi versi, la difficoltà di ricezione del romanzo, considerato eccessivo e, a tratti, scabroso. L’arte della gioia si compone infatti di più di 500 pagine di vita di Modesta, personaggia indimenticabile e singolare, a partire dalla sua data di nascita: il primo gennaio del 1900. Il romanzo si apre con la voce della protagonista stessa, che ricorda un momento della sua infanzia, forse il primo che riesce a visualizzare, quando a quattro-cinque anni si ritrova in un ambiente fangoso a trascinare un pesante ceppo di legno verso la casa diroccata, dove abita con la madre e la sorella, nel catanese. Dopo una prima descrizione dei dettagli di quel momento, si rivolge direttamente al lettore dicendo: «Voglio dirvi quello che è stato senza alterare niente». Fin da subito dichiara quindi le sue intenzioni: ricostruire le vicende della sua vita nel modo più sincero possibile, senza alterarle, con un’ambizione ostinata verso la verità. Modesta vive in una realtà povera, isolata. A tirarla fuori da una dimensione familiare con una madre che non parla mai – scrive «o urla, o tace» –, dedita al lavoro e all’altra sua figlia, Tina, che ha una disabilità intellettiva, è però la sua indole curiosa, profondamente vitale. Parla con l’amico Tuzzu tentando di farsi raccontare il mare che non ha mai visto e che riecheggia un po’ nella spiaggia a cui Lila e Lenù di L’amica geniale vogliono arrivare una mattina insieme.
Vive il mondo anche attraverso il suo corpo, scoprendo i piaceri dell’autoerotismo e quelli della sessualità espressa insieme a un’altra persona. Il sesso sarà sempre per la vita di Modesta una spinta vitale, una strumento di scoperta, capace di farle toccare quella gioia a cui aspira, che brama, per cui è disposta a sradicare ogni ostacolo senza sensi di colpa. Da lì a qualche pagina, Modesta infatti ci racconta di una violenza. Dopo un pomeriggio trascorso con Tuzzu, trova in casa un uomo mai visto prima, che si presenta come suo padre. La madre cerca di scacciarlo, ma Modesta si sente coinvolta dalle attenzioni che non è abituata a ricevere. Poco dopo l’uomo rinchiude in uno stanzino la madre e la sorella di Modesta e, portando la figlia a letto, abusa di lei. In pochissime pagine veniamo quindi catapultati nella realtà più buia di Modesta, ma ciò che lascia quasi senza parole il lettore è la lucidità con cui lei decide di reagire, dopo. Si alza nel cuore della notte, e mentre tutti dormono, anche l’uomo che l’ha appena violentata, prende un lume a petrolio e appicca un incendio a casa sua, condannando a morte anche la madre e la sorella. Modesta verrà ritrovata e portata in salvo, assecondando l’unico racconto possibile per gli adulti che la circondano: essere l’unica sopravvissuta di uno spaventoso incidente.
Il temperamento di Modesta è tutto già spiegato in questa scena. Lei si sente di meritare la felicità, ed è mossa da quel sentimento di rivalsa che prima la fa uscire dalla dimensione ristretta della sua famiglia e poi a la spinge diventare principessa, a studiare. L’incendio appiccato è il primo di altri omicidi che commetterà nella sua vita, ma Modesta non è mossa da sentimenti di vendetta verso le singole persone. Modesta uccide l’impedimento, muovendo i fili del destino sempre in suo favore. Il suo nemico è la morale che la imbriglia e le impedisce di sperimentare un modo proprio di vivere e fiorire. È impetuosa, ma anche profondamente razionale. Cinica, ma capace delle epifanie più poetiche. Come le faranno notare più personaggi intorno a lei, il suo nome, oltre a essere brutto, non le si addice.
Il libro di Goliarda Sapienza rispecchia appieno le sfaccettature della sua (anti)eroina: ha il respiro del grande romanzo novecentesco, ma è anch’esso burrascoso e multiforme. Gli eventi della vita di Modesta si affastellano uno dopo l’altro, spesso così frenetici da sfuggire a un inquadramento immediato, e concedono pochi momenti di distensione. Sapienza cambia spesso registro, con una scrittura barocca passa dalla prima alla terza persona. Modesta è una figura poliedrica che si specchia e viene specchiata, e ogni personaggio che incontra non può che subire il suo magnetismo, restituendoci piano piano un tassello di quella identità fortemente autodeterminata ma in continuo divenire, mai sazia.
La materia narrativa con cui si è dovuta confrontare Golino per il suo adattamento seriale è stata quindi, per stessa ammissione di Valia Santella e Francesca Marciano, con cui Golino ha lavorato alla sceneggiatura, un “magma” incandescente difficile da plasmare. Durante un recente incontro pubblico, Golino ha raccontato come l’idea originale fosse quella di realizzare un film soltanto sulla prima parte (di quattro) del romanzo, giudicato dall’attrice e regista la più bella e cinematografica, ma dopo svariate sessioni di scrittura nessuna delle tre era soddisfatta del risultato. Si è deciso quindi di passare alla serialità – una forma che è sì più lunga, ma che obbedisce anche a regole e ritmi diversi da quelli cinematografici.
A loro volta i sei episodi della serie si dividono in due parti, in cui Modesta si confronta con un diverso punto di riferimento femminile forte. Durante la prima parte, subito dopo il salvataggio dall’incendio, seguiamo la vita di Modesta dall’infanzia all’età di 18 anni all’interno del monastero per ragazze di famiglia ricca che la guardano con diffidenza. È qui che Modesta riesce a raccogliere la benevolenza della madre superiora, suor Leonora (interpretata da una splendida Jasmine Trinca), che la spinge a studiare e le promette un vitalizio. Il rapporto tra le due diventa materno ma ambiguo, con un affetto dalle pieghe erotiche che caratterizza molte delle relazioni che Modesta intesse durante la sua vita.
Nella seconda parte della serie invece Modesta si libera dalla chiusura del monastero per passare a un altro tipo di edificio infestato: il palazzo della famiglia Branciforti, dove viene ospitata dalla principessa Gaia (Valeria Bruni Tedeschi), madre di Leonora dopo la morte della figlia. Modesta si sveste qui a poco a poco dalle vesti della novizia devota, utilizzati fino a quel momento per la sua ascesa sociale, e diventa una presenza sempre più pervasiva nei giochi di potere all’interno di villa Brandiforti.
Golino e il team con cui ha lavorato si riferiscono ad alcune scelte di sceneggiatura come dei “tradimenti”. L’aggiunta di personaggi, soprattutto antagonisti, in grado di complicare i tentativi di Modesta di raggiungere i suoi obiettivi, ma anche la costruzione episodica con dei piccoli finali a dare compimento a ogni puntata. Se alcune scelte hanno quindi il sapore della serialità più classica, gli episodi di L’arte della gioia non falliscono però nel rendere viva una personaggia difficilmente domabile. La giovanissima Tecla Insolia, fortemente voluta da Golino nonostante l’iniziale parere negativo dei produttori, è una Modesta straordinaria, in grado di esprimere in maniera convincente i suoi aspetti più sensuali e divertenti, ma anche quelli più ruvidi, quasi stregoneschi.
La serie gioca anche sulle mille stratificazioni di una personaggia che fa di tutto per emanciparsi da una vita passata, che si manifesta nei ricordi e la minaccia nei suoi nuovi equilibri. Sono spesso ripetuti flashback della sua vita da bambina in momenti di particolare tensione. E ci vengono fatti sentire altrettante volte i pensieri in risposta di Modesta, che come un mantra si ricorda chi è e quali sono i suoi desideri. «Odio, odio, odio» si ripete nei duri momenti al convento dopo essere stata bacchettata dalle suore.
La serie poggia quindi molto sull’interpretazione di Insolia e di altre attrici del calibro della già citata Bruni Tedeschi, capace di conferire anche momenti di ironia alla severità della principessa Brandiforti. Ma ad aiutarle sono sicuramente anche le ambientazioni, quasi tutte di interni, che tra il convento e la villa abitata dagli spettri di una nobiltà in decadenza, rendono giustizia alle luci e ombre di un racconto di rara complessità. MARTINA NEGLIA
Nel 2019, ad aprire un numero di Film Tv interamente dedicato alle donne nel cinema (il n. 4/2019), dedicavamo l’editoriale a Goliarda Sapienza e alla sua presenza irriducibile e rivoluzionaria nel panorama intellettuale italiano del Novecento. Ve lo riproponiamo.
Le certezze del dubbio
«Sola, bilanciandomi su passi brevi ed energici sprizzanti coraggio altezzoso, adattavo i miei piccoli piedi alla camminata piena d’autosufficienza virile di Jean Gabin». La bimba che, uscita dal cinema Mirone di Catania, si identificava nelle rudi fattezze del leggendario francese era Goliarda Sapienza, voce unica della cultura italiana del Novecento, scrittrice, poetessa, attrice, sceneggiatrice e carcerata. La sua incredibile, imprendibile vita, di cui Io, Jean Gabin (ripubblicato alla fine del 2018 da Einaudi) non è che il tassello infantile, e di cui il suo portentoso nome (non d’arte) pare una sintesi, ci piace eleggere a nume tutelare di questo numero dedicato interamente alle donne. Figlia di sindacalisti socialisti, prima attrice (sui set di Blasetti e di Pabst), poi partecipe del fermento culturale del neorealismo, Sapienza è stata compagna, sodale artistica e per tutta la vita amica di Citto Maselli (compare anche in Gli sbandati e Lettera aperta a un giornale della sera), giungendo alla scrittura relativamente tardi e non godendo mai, in vita, della notorietà che le è stata tributata da una quindicina d’anni a questa parte. La depressione di cui soffriva (“curata” anche a suon di elettroshock) rese ancor più tortuosa la lavorazione del suo unico romanzo di finzione, L’arte della gioia, scritto in dieci anni e pubblicato solo postumo: un ritratto di donna (Modesta solo di nome) di modernità abbacinante, fiera, geniale e perfino brutale, che non rivendica ma letteralmente scopre la propria autonomia rispetto al sesso maschile. La libertà irriducibile di Modesta era anche quella di Goliarda, libertà di non essere alcun tipo di donna, di non dirsi femminista, di non definire il suo orientamento sessuale. Eclettica e contraddittoria, finì pure brevemente in carcere per furto di gioielli: dall’esperienza sono nati L’università di Rebibbia e Le certezze del dubbio, dove racconta la prigione come inatteso luogo di solidarietà e perfino di realizzazione femminile (per capire come la libertà inaudita di Sapienza fosse anche, letteralmente, non udita, cercate su YouTube l’intervista fattale da uno scettico Enzo Biagi). Amava le donne, Sapienza. Jean Gabin le aveva insegnato a sognare una donna «fragile, schiva, muta e misteriosa, forse un po’ ambigua, certo, ma pura, fondamentalmente pura e celestiale»; la sua vita e i suoi scritti hanno fatto piazza pulita di quegli aggettivi, insegnando a noi come l’arte della gioia sia quella dell’autenticità. ILARIA FEOLE
Parte il prossimo 12 marzo a Milano e continua fino al 7 aprile la 32ª edizione di Sguardi altrove – Women’s International Film Festival: festival metropolitano della durata di un mese, il programma di quest’anno prevede un focus su cinema giapponese e regia femminile, e un omaggio a Elvira Notari. Si svolge invece dall’8 al 16 marzo l’edizione n. 43 del Bergamo Film Meeting: nel ricchissimo programma composto di varie sezioni, segnaliamo la retrospettiva sulla regista ceca Alice Nellis e l’omaggio a Audrey Hepburn.
Su Lo Specchio Scuro è uscito un breve saggio su uno dei nostri film preferiti del 2024, Love Lies Bleeding di Rose Glass.
Cineaste da riscoprire: sul Notebook di MUBI si parla di Hollywood 90028 di Christina Hornisher, mentre sul magazine di The Criterion Channel di Joan Micklin Silver e Crossing Delancey [in inglese].
Singolare, femminile vi augura un buon LOTTO marzo!