Singolare, femminile ♀ #165: Animale notturno
Arriva direttamente su Disney+, il 24 gennaio, il nuovo film di Marielle Heller, Nightbitch, che racconta la maternità con sguardo disincantato e una catartica svolta fantasy: la nostra guest Marzia Gandolfi firma il ritratto della sua straordinaria protagonista, la cangiante Amy Adams.
Alfred Hitchcock avrebbe amato Amy Adams. Avrebbe adorato il suo pallore da cigno e i suoi capelli fatali, avrebbe avvertito il vulcano sotto il ghiaccio, avrebbe ammirato quel volto che combina la bellezza fredda di Grace Kelly col sorriso stregato di Elizabeth Montgomery. L’avrebbe imposta come perfetta eroina, radiosa e vulnerabile, la bionda in pericolo, la moglie infedele, l’oggetto di un tentativo di omicidio.
Ma non questa volta. A questo giro Amy Adams molla gli ormeggi, trasfigura silhouette e candore e introduce nelle case americane una sana dose di sovversione domestica. Come Samantha (Vita da strega) ma senza magia. Trascurata, appesantita, dimessa e sull’orlo di una crisi canina, in Nightbitch l’attrice incarna un nuovo progetto audace: una neo mamma, casalinga di giorno e cane di notte, quando l’istinto ha la meglio sulla ragione, la pappa rovesciata, il sonno accumulato. Per allevare il suo bambino in un sobborgo tranquillo, troppo tranquillo, la protagonista di Nightbitch ha rinunciato a tutto: alla sua brillante carriera di artista, agli amici, alle feste, alla sua energia vitale. Tra gite al supermercato, filastrocche e rime in musica alla biblioteca locale, soffoca lentamente, intrappolata nel suo nuovo ruolo e incompresa dal marito spesso assente.
La vita è una rogna. Letteralmente. Pelosa, bavosa, ringhiosa. Gli artigli crescono sotto le unghie, la pelliccia colonizza la pelle e poi i baffi, la coda, gli occhi globulosi. La funzione del linguaggio cede progressivamente ai rantoli grezzi della natura, alle grida, ai grugniti, agli ululati. In un mondo familiare di agglomerati urbani, di ingorghi e di supermercati, una madre si trasforma, posseduta dalla bestia che si risveglia dentro di lei, rimodellando la sua carne e la sua mente. Come un guaito nella notte, Nightbitch inquieta e scuote. Tra la richiesta d’aiuto e l’urlo selvaggio, tra la zona grigia della maternità e la rabbia femminile, è un post partum completamente allucinato che dura e dura… fino alla mutazione. Nessun nome di battesimo per l’eroina di questa storia di maternità moderna. Amy Adams è una madre, una moglie, un cane. È tutto ciò che sappiamo di lei. Dalla nascita del suo bambino, qualcosa è andato storto. Una collera monta dal fondo e la spaventa, non si controlla, non la controlla, mentre cerca da qualche parte l’ispirazione per creare ancora. La sua esistenza si cristallizza intorno al figlio e il consorte è soltanto un altro bambino da gestire. Il terzo è la solitudine.
Non è nuova l’attrice alle escursioni in un’altra dimensione, che sia aliena (Arrival), fiabesca (Come d’incanto), ludica (I Muppet), mentale (La donna alla finestra) o puramente finzionale con la messa in immagini di un romanzo letto (Animali notturni). Bionda fino a Prova a prendermi – con Dr. Vegas si tinge di rosso veneziano e chiude per sempre coi ruoli della biondina sciocca e seducente –, ingenua fino a The Fighter – è David O. Russell a rivelare la sua forza tellurica e un altro volto –, la principessa che canta agli uccellini lascia il passo alla cameriera un po’ cafona, un po’ rissosa, un po’ white trash, che le vale una nomination agli Oscar nel 2011. Tra due David O. Russell (The Fighter e American Hustle), re-incanta il divertissement mainstream con I Muppet e poi riprende la cattiva strada con Walter Salles (On the Road), sperimenta il “grande film americano” con Paul Thomas Anderson (The Master), recita al fianco di un Clint Eastwood fordiano (Di nuovo in gioco), riscopre la sua dolcezza con Spike Jonze (Lei) e realizza il vecchio sogno di essere Lois Lane ottenendo il ruolo della reporter in L’uomo d’acciaio di Zack Snyder.
Sotto la chioma brillante, risplende di un glamour diverso e conquista ruoli ambiti, colleziona autori celebri e supera le barriere tra autorialità e mainstream con una disinvoltura folle. In una manciata di anni, riprende le colleghe più fortunate e poi deflagra, diventa un’evidenza, approda nel giardino di Marielle Heller e ringhia contro le mamme perfette che hanno il tempo di fare yoga e sono brave a fare tutto. Amy Adams ci mette la faccia e soprattutto il corpo che piega a quattro zampe per mordere i tabù della maternità. Metà umana, metà animale, ingolla carne cruda dal piatto e abbaia teneramente al suo bambino, cercando disperatamente di mettersi di nuovo in contatto col fisico che cambia, che prende peso e il largo fino a quando la lucidità offerta dalla sua trasformazione non le permette di vedere le crepe nella vernice. Cosa deve fare una donna quando diventa madre? Se lo domanda la protagonista nei suoi monologhi infiniti e dentro una favola organica e cruda sugli sconvolgimenti del parto.
Nella sua performance c’è tutta l’angoscia per un cambiamento che è allo stesso tempo incomprensibile, inevitabile e infine accettato. Amy Adams pesca dal “regno animale", vasto deposito di idee, forza e poesia, una metamorfosi anarchica, senza logica né dolcezza, che sconvolge sia l’eroina sia chi la circonda. La metamorfosi nel film non è tanto il risultato della maternità, quanto una reazione alla nuova identità, che si libera presto dell’orrore senza abbracciare tutte le possibilità che l’animalità può offrire e un’attrice come Amy Adams figurare. Film e romanzo (omonimo, di Rachel Yoder, pubblicato in Italia da Mondadori) ridimensionano dramma e realismo magico, riconciliando l’arte, la maternità e l’identità della narratrice. Se il finale si conclude prudentemente con un’ode alla (seconda) maternità, razionalizzando le sue alterazioni, sul prato rasato resta lo sguardo mastino di Amy Adams, canide enigmatica e densa, resa alla dimensione selvaggia, verso l’indefinito e oltre. MARZIA GANDOLFI
Sul numero di Film Tv in edicola trovate un’intervista a Marielle Heller, regista di Diario di una teenager, Copia originale e ora di Nightbitch: qui vi proponiamo la versione integrale del dialogo con lei.
Senza guinzaglio - Intervista a Marielle Heller
Per fare la mamma ci vuole un fisico bestiale, okay: ma quando a Amy Adams in Nightbitch cominciano a spuntare peli in posti bizzarri, capisce che qualcosa sta mutando in lei... Marielle Heller dirige la trasposizione dell’omonimo romanzo di Rachel Yoder, dal 24/1 su Disney+: l’abbiamo intervistata.
A Hollywood si dice «mai lavorare con bambini e animali»: tu hai deciso di ignorare bellamente questo detto... Era da parecchio che non vedevo un film in cui un bambino avesse così tanto tempo sullo schermo!
Non è stato facile! Ma uno dei miei obiettivi era mostrare una relazione onesta tra madre e figlio, e mi sembrava una bella sfida ottenere da un bambino (in questo caso due bambini: sono gemelli) una performance naturale. Abbiamo lavorato per mettere i piccoli a loro agio, farli giocare, far capire loro come funziona il set e non farli vergognare di comportarsi come veri bambini. In realtà per me lo stesso vale per gli adulti: volevo che i protagonisti restituissero l'idea di una vera coppia di lunga data, che sembrassero sposati da 20 anni anche se gli attori si erano conosciuti solo il giorno prima.
E per quanto riguarda i cani?
È stata un’altra sfida: ne avevamo ben 12, e quel che non sapevo è che per ogni cane con cui lavori, devi calcolare anche il rispettivo addestratore, quindi in ogni scena con più di un cane dovevamo assicurarci che ci fossero abbastanza cespugli da coprire tutti gli addestratori nascosti sul set a dare le indicazioni... Suona un po’ sciocco, ma è solo sul set che ti accorgi che, se vuoi che un cane guardi in una certa direzione, devi piazzare l’addestratore strategicamente, perché il cane si girerà sempre a guardare il suo addestratore! Diciamo che a tutte queste cose non avevo pensato: è stato un processo istruttivo, anche per me!
Non capita spesso di sentir parlare di perimenopausa sullo schermo, e trovo che sia importante.
Decisamente, penso sia cruciale togliere lo stigma e la vergogna dai corpi delle donne, che si tratti delle mestruazioni o della perimenopausa, così come l’adolescenza, la sessualità, la verità di corpi che semplicemente funzionano come tali. È qualcosa che ho a cuore nella vita, non solo nei film. Ho amato il libro di Rachel proprio perché fa saltare tutte le regole su quello che possiamo o non possiamo dire: ho sentito che fosse un mio dovere poter finalmente parlare anche degli aspetti più respingenti, da una prospettiva onesta. Trovo assurdo che siamo a nostro agio nel vedere teste mozzate e scene di guerra, ma poi c’è gente che dà di matto se vede un po’ di sangue mestruale!
Come hai approcciato l'adattamento del romanzo?
Io decido di adattare solo testi che amo davvero, quindi poi si tratta di onorare l’essenza di qualcosa che mi è piaciuto molto, ma al contempo lasciare che diventi qualcosa di nuovo. È un po’ come prendere un dipinto e trasformarlo in una scultura: non è una traduzione letterale, devi permettere al testo di diventare una cosa diversa, di crescere e di cambiare, sarà lui in un certo senso a dirti che film vuole diventare. In questo caso per me si è trattato anche di inserire molto della mia esperienza personale di donna, il mio percorso con la maternità, il mio rapporto con mio marito e con mio figlio.
Amy Adams era già stata scelta per il ruolo quando sei salita a bordo del progetto: ha influenzato la tua fase di scrittura?
Sì, scrivere con lei in mente è stato molto d’aiuto, non mi era mai successo prima di conoscere l'interprete principale di un mio film già in fase di scrittura. Con Amy sapevo di poter spingere il personaggio in aree emotivamente complesse, perché lei sa come gestirle, ero in ottime mani.
Il film gioca con elementi fantastici e sovrannaturali; per esempio, vediamo un uomo chiedere scusa...
So che non tutti gli uomini sono in grado di chiedere scusa e prendersi la responsabilità delle proprie azioni, ma per esempio vivo con un uomo che sa farlo, e così sono anche mio padre, e mio fratello. Credo che inserire in un film personaggi maschili che vogliono davvero evolvere, guardare in faccia i propri difetti e prendersi la responsabilità di quel che fanno sia una mossa in un certo senso radicale.
Scherzi a parte, parlando del vero elemento fantasy del film, hai scelto di usare pochissimi effetti speciali.
La cosa diversa, in questo film, è che la mutazione non è dolorosa, come succede in altre storie. Non c'è un mostro che prende possesso del corpo della protagonista: è piuttosto qualcosa di euforico, di catartico, che fa sentire bene la madre. Quindi era importante per me lavorare sugli effetti in modo che restituissero questa idea, perché la sua trasformazione è qualcosa di liberatorio.
Come nel libro, anche qui i personaggi non hanno nomi: sono solo “mamma”, “papà” e “figlio”.
Leggendo il romanzo ho pensato a come ho finito per definire me stessa solo come “mamma di mio figlio”: vado al parco e tutti mi chiamano “mamma di Wiley”, finisci per perdere la tua identità quando diventi un genitore. Passi dall’essere concentrato su te stesso all’essere interamente concentrato su un’altra persona: quante volte ho sentito di neogenitori che si dimenticano di mangiare! Perdi il tuo senso del sé, e poi va ricostruito: molte donne non riescono a farlo. Quando poi i figli lasciano il nido, devono ritrovare se stesse, perché la loro vita era tutta nella genitorialità; io ho ci tenevo davvero a riprendermi quel senso del sé mentre ero ancora coi miei bambini. In ogni caso, è quello il motivo per cui ho scelto di lasciare anonimi i personaggi, e lo stesso vale per la città, e per l’epoca in cui si svolge il film; ho lavorato appositamente perché luogo e tempo risultassero un po’ vaghi.
Uno dei personaggi dotati di nome è invece Norma, interpretata dalla fantastica Jessica Harper.
È uno dei miei personaggi preferiti, volevo che fosse una sorta di donna saggia, in contatto con l’antico potere della femminilità. Ho molte donne così, nella mia vita, e sono fortunata ad avere una madre che è molto connessa al potere dell’essere donna. Sono cresciuta intorno a donne potenti, interessanti, capaci di riflettere sulla maternità e sulla creatività e su come bilanciarle nella vita. Norma è un po’ come queste donne.
Nightbitch potrebbe quasi essere il sequel del tuo Diario di una teenager: lì era l'adolescenza a essere narrata in modo ironico e autentico, qui lo stesso accade per la maternità e la perimenopausa.
Credo che siano in qualche modo connessi. Sono film tratti da due libri che ho amato e in cui mi sono rivista talmente tanto da finire per mettere molto di me nelle protagoniste. E li vedo entrambi come coming of age: non lo si dice spesso, ma anche diventare madre è una grande transizione, che cambia profondamente l'identità. E poi gli ormoni alle stelle, sensazioni nuove... Ci sono molte similitudini con la pubertà. ILARIA FEOLE
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Sulla piattaforma streaming di distribuzione indipendente OpenDDB è disponibile un omaggio a Marina Piperno, pionieristica produttrice italiana, fondatrice nel 1962 della compagnia REIAC Film. I titoli su OpenDDB, visibili on demand a donazione libera, sono Il cinegiornale della pace, Sierra Maestra, Diario di bordo e Labanta negro.
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