Singolare, femminile ♀ #136: Prendi un po' del mio potere
Fino a ottobre è possibile visitare a Milano New Society, la prima mostra personale della regista e performer Miranda July: uno sguardo a 360 gradi sulle creazioni di un’artista che da sempre lavora su condivisione, empatia e messa in discussione dei rapporti di forza.
A distanza di tre anni, torniamo a parlare di una delle beniamine di questa newsletter: la poliedrica Miranda July, regista, attrice, scrittrice e performer. Sul n. 15, nel 2021, avevamo colto l'occasione della distribuzione del suo ultimo lungometraggio, Kajillionaire; oggi invece, negli Stati Uniti è la vigilia dell'uscita del suo ultimo romanzo, All Fours, mentre in Italia, a Milano, è in corso la prima personale dell'artista, New Society, visitabile all'Osservatorio della Fondazione Prada, in galleria Vittorio Emanuele, fino al 14 ottobre.
Lo spazio espositivo dell'Osservatorio funge da percorso parzialmente cronologico (si apre con un'installazione del 2024, A Poster to Be Ripped, e poi si salta indietro alle origini) nella carriera artistica della regista e performer statunitense: al primo piano si possono rivedere in video i suoi one woman show teatrali, fin dai suoi primi passi sulla scena underground, appena 23enne e agguerrita femminista punk, corredati di teche con copioni, oggetti di scena e costumi originali (l'intera personale prende il titolo proprio da uno dei più recenti di questi lavori, la performance del 2015 New Society); spettacoli ironici e militanti, spesso sperimentali e parzialmente improvvisati.
Al piano superiore invece la mostra si scandisce in una manciata di macrospazi distinti, dominati al centro dall'installazione F.A.M.I.L.Y. L'opera consiste in una serie di video verticali, che replicano i reel di instagram dove il progetto è nato; l'acronimo sta per Falling Apart Meanwhile I Love You e, come spesso accade nel processo creativo di July, si tratta di un lavoro realizzato in condivisione: Miranda ha chiesto a nove persone di inviarle video dove si muovessero prevedendo in qualche modo la sua presenza, e ha poi sovrapposto digitalmente la sua figura in movimento sui video originali, dando vita a piccole coreografie a distanza che modificano o amplificano il significato di partenza delle performance.
Nel presentare la mostra alla stampa, July ha descritto così l'installazione: «Ho chiesto a degli sconosciuti di muoversi da soli nel loro spazio personale, e di filmarsi lasciando spazio per me e per eventuali altri sconosciuti; dovevano immaginare la mia presenza con loro. Poi ho ritagliato il loro video e l'ho incollato su un mio video; è una cosa che si fa su TikTok, in realtà l'ho imparata da mio figlio. Ma ho cercato di creare un'immagine che corrispondesse a quello che credo ci aspettassimo dai social e da Instagram in particolare all'inizio: volevamo essere guardati con amore, per sentirci bene. Quindi ho cercato di dar vita a qualcosa che ricordi la fusione, quel tipo di fusione che è il modo in cui immaginiamo il sesso quando siamo piccoli: una perfetta unione che ho tentato di creare in modo buffo e imperfetto in questi video».
Tra i progetti più curiosi, e significativi del modus operandi dell’artista, accanto a F.A.M.I.L.Y. c'è I'm The President, Baby, installazione che July ha realizzato nel 2018 e che consiste in una serie di tende di colori differenti collegate direttamente al telefono di Oumarou Idrissa, giovane nigeriano che lavora come autista di Uber a Los Angeles e che Miranda ha conosciuto quando è stato il suo autista per una corsa a Malibu nel 2015: a seconda di cosa Oumarou sta facendo (dormendo, guidando per lavoro, scambiando messaggi con gli amici, e così via) nel momento in cui il visitatore attraversa la mostra, le tende sono aperte, chiuse o socchiuse, come in un grafico colorato a misura di arredamento.
A conclusione della mostra c'è uno dei tanti progetti "su commissione" che July affidava al suo pubblico online tramite il sito Learning to Love You More: l'Assignment n. 43, qui reiterato appositamente per la mostra di Prada, recitava “Realizza una mostra con le opere che trovi a casa dei tuoi genitori”, e l'artista ha scelto questa volta la raccolta proposta dalla milanese Miriam Goi. Soprammobili e ninnoli, orologi e memorabilia esposti come in una Wunderkammer intima, che, come il resto delle opere raccolte in questo piano e come molto di ciò che July realizza, è finalizzato alla creazione di uno spazio virtuale condiviso, alla creazione di un'intimità che realizza l'empatia tramite oggetti e luoghi quotidiani. Questo lavoro di apertura all'altro, di esercizio di uno sguardo non giudicante, è un fattore cruciale nella missione artistica di July, che ha presentato la mostra alla stampa affiancata dalla curatrice Mia Locks.
«La mostra comprende progetti realizzati nell'arco di tre decenni» ha spiegato Locks, «e lavorare al fianco di Miranda è stato divertente, ma soprattutto mi ha aiutato a riflettere sui rapporti di potere, tema che è spesso al centro delle sue opere. Nella performance New Society Miranda invita il pubblico a restare per sempre con lei nel teatro e a fondare, appunto, una nuova società; loro accettano, e scrivono insieme a lei la costituzione, disegnano una bandiera, e ciò che trovo meraviglioso di quest'opera è che si assiste all'artista cedere un po' del suo potere agli spettatori. Un esperimento sociale che si svolge in tempo reale. Anche F.A.M.I.L.Y., dove Miranda ha invitato altre persone a condividere una performance con lei, pone domande sul tema del potere e sullo squilibrio nei rapporti di forza tra individui. La sua missione è provare a giocare con le regole che ci diamo, testare i nostri limiti e mostrarci più vulnerabili: la mostra andrebbe fruita con la stessa apertura e con lo stesso spirito ludico». L’artista ha approfondito il suo interesse verso la messa in discussione dei ruoli prestabiliti parlando dei suoi lavori teatrali: «Nelle mie performance sono io ad avere potere, sul palco, perché tutti stanno guardando me; ma al contempo sono vulnerabile, perché sono da sola, e sto correndo dei rischi a stare sul palco. Quel sentimento è proprio quello al quale io miro, a volte arrivando a cedere il potere a voi spettatori e rendendomi ancora più vulnerabile; c'è una performance in cui abbandono il teatro a un certo punto, e affido lo spettacolo a uno spettatore dalla platea che lo continua al posto mio». Il rapporto tra artista e pubblico, lo scambio continuo di posizioni, fa parte di una ricerca che July porta avanti da tempo: «Credo che abbiamo bisogno di questa vicinanza, di vedere i nostri corpi vulnerabili sulla scena, più che mai. Ho notato che rispetto a quando mi esibivo a trent'anni, i giovani oggi sono molto più aperti e disponibili a questa cosa. Inoltre stanno plasmando la tecnologia verso i loro desideri, e questo per me è veramente stimolante: la tecnologia è comunque qualcosa che abbiamo creato noi come esseri umani, e le direzioni in cui si muovono questi ragazzi per me sono emozionanti e mi suonano anche molto familiari».
July ha poi definito il fil rouge della personale: «In ciascuno di questi lavori ho cercato di muovermi contro la consuetudine, di fare qualcosa di “strano” che permettesse a me e al pubblico di sentirci più nel "qui e ora"; il presente è effimero, ma si può sentire quel momento mentre lo si condivide con altre persone. Ed è bizzarro per me camminare attraverso questa mostra e rendermi conto che è più o meno da sempre che tento di fare esattamente questa cosa, mi rivedo in quei primi lavori, avevo solo 23 anni, e oggi come a quei tempi sto tentando di realizzare quella stessa condivisione del presente, ora che ne ho 50. È una cosa molto rara e molto speciale poter raccogliere tutti questi momenti effimeri insieme, come ho fatto grazie alla Fondazione Prada. Non avendo mai assemblato una mostra così, non avevo nemmeno mai lavorato con un curatore, e per me è stato incredibile collaborare con Mia perché mi ha davvero aiutato a comprendere me stessa e il mio lavoro!». Approfondendo il modo in cui ha creato l'esposizione, fianco a fianco con Locks, July ha anche rivelato di aver sempre mantenuto una sorta di archivio personale, che si è ovviamente rivelato utilissimo per la realizzazione della mostra: «Il motivo per cui ho tenuto un archivio è che quando avevo una ventina d'anni ho conosciuto un archivista, all’epoca ero una giovane femminista punk, e solo in quel momento ho realizzato che ciò che viene salvato viene ricordato, e ciò che viene ricordato diventa storia, e la storia crea la realtà. Nessuno avrebbe conservato i lavori di una giovane donna che nessuno aveva mai sentito nominare, ma se io li avessi conservati, se avessi continuato a tenerli - e non perché credevo che sarei diventata famosa! - avrei avuto una mia storia». Camminare attraverso New Society è dunque anche come entrare nell’archivio “privato” di July, vedendo nascere ed evolversi la sua identità di artista, in direzioni tanto eterogenee quanto coerenti. ILARIA FEOLE
Distribuito in Italia solo on demand a causa delle limitazioni dell’era pandemica, avevamo pubblicato la recensione di Kajillionaire, il terzo lungo di Miranda July, sul n. 32/2021 di Film Tv: ve la riproponiamo.
Kajillionaire - La truffa è di famiglia
Old Dolio ha 26 anni, non è mai stata chiamata “tesoro”, non sa cosa sia la tenerezza: la sua intera vita, a partire da quand’era ancora nel grembo materno (il suo nome bizzarro è il tentativo, fallito, di farsi includere nel testamento di un omonimo), non è che l’estensione dell’attività criminale dei genitori, ladruncoli e truffatori, ma soprattutto esperti di ogni sorta di cavillo e zona grigia (coupon, resa degli acquisti, risarcimenti) da sfruttare per vivere senza lavorare. Il trio esiste ai margini di tutto - vita sociale, sistema economico, sovrastrutture culturali - come un organismo votato alla mera sopravvivenza, e se qualcosa in Old Dolio comincia a tremare non è per le scosse di terremoto che fanno vibrare Los Angeles, ma per la tenerezza, non quantificabile in assegni al portatore, offerta dalla sua coetanea Melanie, imprevista complice/sorella/rivale. La performer, scrittrice e regista Miranda July all’opera terza si sfila dal cast, per la prima volta dando una forma narrativa più compiuta (e con tratti da heist movie) al suo cinema da sempre incentrato sull’incertezza dei sentimenti e sulla materia luccicante e vana di cui è fatta la quotidianità; una materia che Old Dolio e i suoi non contemplano (simboleggiata dall’invadente schiuma rosa travasata nella loro non-casa dall’adiacente fabbrica di sapone: soffice, profumata, qualcosa di cui sbarazzarsi) nella loro esistenza spogliata dal superfluo. Se nei film precedenti di July la vita cambiava dopo l’acquisto di un paio di scarpe (Me, You and Everyone We Know) o il salvataggio di un gattino (The Future), qui il valore di oggetti e persone è ridotto a mera valuta; Old Dolio (Evan Rachel Wood in una prova di ricercata legnosità) e i suoi genitori (Richard Jenkins e Debra Winger, perfettamente repellenti) non conoscono le sirene della Los Angeles dove tutti si fingono qualcos’altro, non sono interessati a diventare kajillionaire (come dire stramiliardari) ma solo a (r)esistere fuori dal capitalismo. Sono, a loro volta, la schiuma della crisi economica e, in questo senso, parenti stanziali dei protagonisti di Nomadland, film con cui Kajillionaire condivide lo sguardo un po’ stucchevole e approssimativo su un mondo marginale, perché July cambia soggetti ma non rinuncia alla cifra straniata, goffa e hipster della sua regia, dando vita a uno spaccato americano di cinismo a tinte pastello che pare un Chuck Palahniuk filmato da Wes Anderson. La storia di una famiglia iper disfunzionale che vuol fare riflettere sull’ipocrisia dell’essere funzionali resta così una parabola tra l’ingenuo e l’arrogante, indecisa tra satira grottesca ed effusioni indie, mentre più interessante è il discorso che July porta avanti da sempre, trasversalmente (dal cinema alla letteratura alle sue performance su Instagram), sul corpo femminile come terreno politico e di affrancamento identitario; qui, come nel suo bel primo romanzo Il primo uomo cattivo, la dinamica tra Old Dolio e Melanie (la Gina Rodriguez di Jane the Virgin) è un liberatorio balletto di imitazione e rispecchiamento reciproco, un’esplorazione della propria realtà di donna (di figlia, di amante, di potenziale madre), in cui rimettersi - letteralmente - al mondo. ILARIA FEOLE
Nato nel 2020, il collettivo Tutte a casa è anche una casa di produzione al femminile che ora lancia il progetto Volitìva - Narrazione collettiva per la tutela del diritto all’aborto: una call pubblica per raccogliere video di 1-2 minuti, in formato orizzontale, ma anche messaggi audio anonimi, che raccontino le esperienze di interruzione di gravidanza (IG) o di interruzione volontaria di gravidanza (IVG), con l’obiettivo di realizzare un film partecipato a più voci. Per informazioni e invio materiali: tutteacasa@gmail.com
Dal 17 al 19 maggio a Base Milano è tempo di We World Festival: giunto alla 14ª edizione, l’evento unisce musica, fotografia, cinema e performance, oltre a panel e incontri (alcuni rivolti anche appositamente ai bambini) per accrescere la consapevolezza sulla parità di genere.
È in corso a Bergamo, invece, fino al 18 maggio, il 18° IFF - Integrazione Film Festival, concorso cinematografico internazionale dedicato a identità, incisività e intercultura, quest’anno intorno al tema della metamorfosi. Tra gli eventi, un reading della poeta marocchina Wissal Houbabi, la proiezione di Due fratelli di Léonor Serraille e la mostra dell’illustratrice italo-srilankese Valeria Weerasinghe.