Singolare, femminile ♀ #123: Torneremo a scorrere
Essere nude, in ogni senso, insieme: nelle sale italiane il 5, 6 e 7 febbraio, il doc Smoke Sauna - I segreti della sorellanza trasforma l’antico rituale nordeuropeo della sauna di fumo in uno spazio al femminile fatto di empatia e condivisione: abbiamo intervistato la regista Anna Hints.
Nella smoke sauna, un gruppo fieramente eterogeneo di donne si concede una comunione de-sacralizzante, sperimenta un lavacro d'anime, va incontro a una riaffermazione di sé e a una ricostruzione della propria storia, della propria immagine nell'interiorità e nella collettività. I segreti della sorellanza perdono la membrana soffocante del mistero, la cappa della vergogna, il peso del silenzio, nel documentario d'esordio di Anna Hints, selezionato dall'Estonia come candidato nazionale per la categoria Miglior film internazionale e vincitore del Premio alla regia nella sezione World Cinema Documentary del Sundance Film Festival 2023, oltre che miglior documentario agli European Film Awards 2023. Nelle sale italiane arriva dal 5 febbraio, per Wanted Cinema e per l’occasione abbiamo intervistato la regista (la nostra recensione è in edicola su Film Tv n. 5/2024).
All'inizio di Smoke Sauna – I segreti della sorellanza e di tanto in tanto durante il film, fra un dialogo e un monologo, si rimane colpiti da un senso quasi stregonesco, si è come testimoni di un'evocazione, di un incantamento, di un rituale stregonesco, come in una congrega fuori dal mondo; il fumo si modifica, prende una forma misterica e arcaica...
Sì, era precisamente la sensazione che volevo catturare. Nella smoke sauna funziona così, si tratta di una connessione con la sua natura: quando vi fai ingresso, è come entrare in un ventre cosmico. L'idea è che lì, quando ti spogli, non ti stai togliendo solo i tuoi vestiti, il tuo rivestimento fisico, ma anche quello emozionale, qualunque concetto sia legato a te stessa. È un ambiente opposto a quello dei social media, dove copriamo la nostra identità, dove ci nascondiamo agli altri esponendoci solo come maschere. Nella smoke sauna togli tutto per ricostruire e trasformare. Trovo che ci sia una mistica, una trascendentalità nel potere della trasformazione offerto da questi luoghi. Infatti, nelle riprese in esterni è sempre presente l'elemento dell'acqua, fondamentale nelle smoke sauna, in quanto l'acqua lava i corpi come l'anima. È da mia nonna che ho ereditato questo modo di pensare: lei diceva che i traumi sono come acqua congelata, e a volte quindi esiste un inverno profondo nel nostro spirito, ma è importante non dimenticare il potere che quel ghiaccio ha di tornare acqua che scorre, di sciogliersi. L'acqua ha una forza trasformativa, è come la nostra energia vitale, può simboleggiare la speranza che è necessaria a noi in quanto esseri umani e in quanto umanità. E poi simboleggia il potere curativo della smoke sauna stessa, dove qualcosa che ci è proprio – una caratteristica, una memoria – può prendere un'altra forma. La smoke sauna è una possibilità, quella di rinnovare la nostra energia esistenziale trascendendo il dolore, la rabbia, la frustrazione. È una questione molto filosofica, ci tenevo che irrorasse tutto il film.
Puoi dirmi altro sulla cultura delle smoke sauna?
Le smoke sauna risalgono ai tempi precedenti al cristianesimo. Le prime testimonianze scritte della loro presenza affiorano all'epoca delle crociate, mentre prima si tramandavano per via orale. A quei tempi, in questi posti sacri e spirituali le donne mettevano al mondo i loro figli e figlie e lavavano i morti, praticavano rituali curativi, e lo hanno fatto per secoli. Le smoke sauna sono edifici senza camini, non c'è elettricità, e i muri diventano come porti dai quali il fumo scivola via lentamente, un'esperienza strana e nuova, anche per via dell'odore, dell'oscurità... è uno spazio che ti permette di connetterti con il tuo subconscio, un limbo di tenebre che ti aiuta a vedere più chiaramente le cose celate dentro di te. Ci vuole comunque tempo perché ciò accada, prima c'è tutto un lasso temporale di attesa, il sudore che scivola via porta con sé strati di sporco anche emozionale, che viene in superficie e poi si allontana. Nella smoke sauna lavi la tua anima anche perché riesci a condividere la tua storia, e le tue esperienze, giacché ogni storia e ogni esperienza ha diritto di esistere, e chi ti ascolta ti ascolta autenticamente. In questo risiede una forte virtù taumaturgica, una chance molto speciale di guarire. Crediamo nel potere della rinascita, della possibilità... Inoltre, quando è inverno, puoi uscire dalla sauna e il freddo aiuta la circolazione del sangue mutando la coscienza che hai del tuo corpo, ed è così che entri in contatto con i livelli più nascosti e profondi di te stessa. Inoltre, per me era importante che si avesse la percezione che questa sauna muta simbolicamente in una oscura sala cinematografica, perché proprio come in un cinema si sta in un grembo chiuso, intimo, condiviso...
C'è una intimità fra le donne e un'intimità empatica che viene a crearsi tra di loro e l'occhio della tua macchina da presa.
Io sono una voce all'interno della comunità, e tra noi c'era una fiducia pregressa, precedente alle riprese, perché mi ero posta una regola: di non insistere con nessuna di loro. Ho incontrato molte donne, e sono stata molto chiara e trasparente sul tipo di intimità che ricercavo, per capire se fossero d'accordo. Nel momento in cui percepivo un'esitazione, facevo un passo indietro: ho detto a quelle donne che rispettavo la loro incertezza, ma per il mio film avevo bisogno di voci piene e di una presenza totale, “nuda”. Poi di solito, in questi casi, quando qualcuno accetta di far parte del progetto, bisogna far firmare i documenti legali prima che comincino le riprese. A me però sembrava sbagliato, perché quelle donne non sapevano ancora che storie avrebbero raccontato sul momento... Quindi sono stata felice che la produttrice, Marianne Ostrat, abbia concordato con me e abbia deciso di lasciar perdere quel tipo di procedura. Abbiamo lavorato sette anni sull'opera, poi nella post-produzione ho mostrato il montaggio alle nostre protagoniste, per avere la loro convalida, per vedere se ne fossero contente. Avrei completato il film solo se loro lo avessero legittimato. È stato un metodo di approccio e di lavoro radicalmente nuovo, rispetto a come si lavora di solito a un film. Ed è stata anche la dimostrazione che si possono fare film coraggiosi ed empatici, prendendosi rischi fuori dalla norma. Io lavoro anche nella fotografia e so che l'occhio della camera è sempre soggettivo, mai oggettivo. Quando qualcuno comincia a parlare, e tu lo stai filmando, è sempre pericoloso, ma tu lo sai, lui o lei no. Un'altra sfida era data dal fatto che in Smoke Sauna ci sono corpi nudi che però non vengono mai oggettificati né sessualizzati. Volevo assicurarmi di riuscire in questo, perciò io e il mio direttore della fotografia, Ants Tammik, ci siamo presi del tempo, abbiamo fatto delle prove nella sauna con il mio stesso corpo, ricercando attraverso diversi esperimenti il linguaggio visivo più appropriato, per poi mostrare il materiale ottenuto alle donne del nostro film per essere certa che sapessero come volevamo procedere. È così che loro si sono fidate del mio sguardo. Ma ci tenevo che fossero incluse in ogni passo, in ogni fase della lavorazione. Per fare un film del genere devi prenderti un impegno specifico, non lasciare sole le tue protagoniste, esserci per la sorellanza per tutta la durata del processo. Ed è comunque qualcosa di soddisfacente per ambo le parti.
Come sei riuscita a convogliare quel senso di fiducia, e di conseguenza di verità, di cui parli? È molto catartico da vedere, immagino anche da vivere...
Ci siamo interrogate su cosa significa nascere in un corpo di donna. Dal momento in cui vieni al mondo come donna il tuo corpo è politicizzato, è condizionato da funzioni esterne. Su quel corpo ricadono aspettative. Gli uomini sono “carta bianca”, quando nascono, per noi non è così. Una delle prime storie del film racconta, coraggiosamente, proprio questo. Fin dal primo giorno di vita, lo sguardo che si abbassa sulla bambina è un giudizio sul suo corpo. Quel genere di sguardo è interiorizzato da noi in primis, e quindi è davvero potente poter condividere questa consapevolezza. È una vergogna che viene infranta, potersi dire: ehi, questo sguardo va fermato, abbiamo bisogno di rifiutarlo, dobbiamo rivendicare i nostri corpi. La nudità quindi non è sinonimo di sessualizzazione, si tratta di qualcos'altro: di stare insieme, di sanguinare insieme, di fare pipì insieme, anche.
Nella smoke sauna ogni corpo ha diritto di esistere, qualunque sia il suo peso e la sua forma. È una liberazione che abbiamo necessità di abbracciare, e me lo hanno detto in molte anche dopo aver guardato il film. Anche persone non-binary, che hanno amato Smoke Sauna e hanno finalmente compreso l'origine del proprio sguardo sessualizzante, che peraltro è scomparso dopo la visione! Per diversi spettatori si è trattata della prima volta in cui hanno visto dei corpi nudi non sessualizzati, e per loro è stato bellissimo. Me lo hanno confessato anche in parecchi uomini. Pensa che una donna sui 65-70 anni mi ha detto che grazie al film si è resa conto di essere stata per tutta la vita in guerra con il suo corpo e ha deciso di scattarsi una serie di fotografie per farci finalmente pace. Perché la domanda infine è questa: chi è che ci dice che dobbiamo essere in guerra con il nostro corpo? Per molti è un vantaggio, ne traggono profitto, da questo conflitto. Ma quando siamo felici di e con noi stesse, quando sentiamo allentarsi la pressione delle aspettative sociali e culturali su di noi, quando ci sentiamo bene all'interno di noi, allora il nostro corpo ha qualcosa da insegnarci. Stiamo parlando di un trauma sotterrato negli abissi del nostro corpo, ha radici sociali, politiche, familiari, e per farlo scorrere via quel che possiamo fare è proprio unirci in questi spazi di sorellanza, dove possiamo essere amiche di noi stesse. FIABA DI MARTINO
Come controcampo di Smoke Sauna, vi proponiamo di recuperare il bellissimo documentario di Ruth Beckermann Mutzenbacher (su Mubi): ancora uno sguardo di donna, ma stavolta sugli uomini, messi a nudo in modo non letterale ma potentemente simbolico. Qui di seguito la recensione dal n. 9/2023 di Film Tv.
Mutzenbacher
Un libro vecchio più di cent’anni, Josefine Mutzenbacher, ovvero la storia di una prostituta viennese da lei stessa narrata, pubblicato in forma anonima a Vienna nel 1906 e attribuito a Felix Salten, letto da alcuni uomini seduti su un divano in una fabbrica abbandonata. Fuori campo, la voce della regista, la documentarista austriaca Ruth Beckerman, unica donna presente nel film a parte la stessa Josefine Mutzenbacher, che era il prodotto della fantasia di un uomo ma è stata capace con la sua lingua diretta, il suo erotismo esplicito, i suoi elenchi di uomini e clienti (dal padre al fratello, dall’aristocratico all’ufficiale, dal borghese al vicino di casa) di interpretare il desiderio femminile. Come la mettiamo, dunque, con l’identità di genere nell’arte, con l’autenticità del punto di vista, con la presunta supremazia dell’io individuale rispetto all’io artistico? O non è forse che, come dice nel film uno dei tanti lettori del celebre memoir, l’insistenza di Josefine sul proprio piacere funziona da giustificazione per il desiderio di prevaricazione maschile? Il film non dà risposte, naturalmente, né ne cerca, ma vuole semplicemente esporre il testo nel modo più diretto possibile e mostrarne l’acutissima dinamica di sguardi. Più che un cortocircuito, quello allestito da Ruth Beckerman è un gioco divertito e crudele che nella confusione di ruoli e oltre l’apparenza delle maschere sociali cerca la sola cosa che conti nella lettura, e in genere nell’arte: la posizione, sia fisica sia morale, di chi entra in un testo, di chi lo legge, lo guarda, lo vive. Gli uomini filmati, scelti con un annuncio pubblico riservato a persone di sesso maschile comprese fra i 16 e i 99 anni, reagiscono ciascuno a modo proprio a un testo lontano nel tempo eppure attualissimo (c’è anche chi chiama in causa il #MeToo e le nuove regole della seduzione fra uomini e donne), restandone affascinati, interrogandolo, rifiutandolo, scherzandoci sopra, provando a contestualizzarne le situazioni o ad aggiornarle ai nostri tempi, mentre la regista, forte e un po’ compiaciuta della sua posizione di libertà assoluta, si comporta come una psicologa, ascolta, registra e rimanda indietro ciò che sente, invitando i suoi interlocutori, pressati dalla macchina da presa, a rendere conto di ogni loro parola o pensiero. Il film è tutto in ciò che mostra e fa ascoltare, senza particolari costruzioni che non siano gli stacchi di montaggio più o meno ravvicinati sui protagonisti seduti sul divano: e questo perché il vero film è quello che sta nella testa dei lettori, invisibile e infinito, nello spazio in cui la parola scritta innesca l’immaginazione e riconosce alla fantasia - di Josefine Mutzenbacher, di Felix Salten, di ogni uomo o donna che da cento e più anni scopre le pagine di un libro a lungo proibito (la stessa Beckerman dice di averlo letto da ragazza, di nascosto dai genitori) - il diritto di valicare i confini della morale, del lecito, del corretto, e di entrare così nell’universo del piacere. ROBERTO MANASSERO
Annunciato il programma della Berlinale 2024: in Concorso ci sarà anche l’esordio alla regia dell’attrice, cantautrice e regista romana Margherita Vicario, Gloria! Ambientato nella Venezia di fine Settecento, ha tra i protagonisti Elio (delle Storie tese), Natalino Balasso e Veronica Lucchesi (frontwoman dei Rappresentante di lista). Sarà in sala dall’11 aprile: ne riparleremo.
Sabato 3 febbraio la Cineteca Milano Arlecchino ospita, dalle 9.30 alle 13.30, un incontro sul tema della di genere, organizzato da A.R.P. - Associazione per la ricerca in psicologia clinica - ETS e dal Servizio psicotraumatologia dell’A.R.P.. Sarà proiettato il doc Un altro domani - Indagine sulla violenza nelle relazioni affettive di Silvio Soldini e Cristiana Mainardi; la partecipazione - riservata a medici, psicologi, avvocati e giornalisti - è gratuita previa iscrizione qui.
Da oggi, 31 gennaio, fino al 4 febbraio va in scena al Teatro Carcano Top Girls, pièce della britannica Caryl Churchill, per la regia di Monica Nappo. Un classico moderno della drammaturgia femminista, scritto nel 1982 e privo di personaggi maschili, è una riflessione sul rapporto tra le donne e il potere, che si interroga sulle annose questioni: bisogna davvero scegliere tra privato e carriera? Tra indipendenza e famiglia? E se volessimo tutto? Biglietti in vendita qui.