Singolare, femminile ♀ #120: E io produco!
Premiate nella notte dei Golden Globe, Margot Robbie ed Emma Stone sono esempi virtuosi di interpreti che affiancano alla carriera attoriale anche quella di produttrici, coraggiose e illuminate. Non sono le sole: ecco 12 dive che stanno cambiando il volto di piccolo e grande schermo con le loro case di produzione.
A ritirare il premio per "il miglior incasso" vinto da Barbie nella notte dei Golden Globe, il 7 gennaio, è stata chiamata una raggiante Margot Robbie, come in ogni occasione da mesi a questa parte vestita con un abito che richiamava un reale modello di bambola Barbie (per la precisione la Barbie Superstar del 1977). Sul palco c'era ovviamente anche l'autrice del film, Greta Gerwig, ma Robbie ha ricevuto la statuetta non solo in quanto superstar e protagonista assoluta del blockbuster dell'estate, ma anche in quanto produttrice del film, e artefice a tutto tondo del suo successo da record.
Sullo stesso palco è salita, in un altro momento della serata, Emma Stone, giustamente trionfatrice come miglior attrice protagonista per Povere creature! (nelle sale italiane dal 25 gennaio; il film concorreva nella categoria commedia/musical e sulla reale appartenenza al genere ci sarebbe molto da discutere, ma le regole dei Globe ci hanno abituati da tempo a "licenze poetiche" macroscopiche), e a sua volta anche produttrice del film Leone d'oro di Yorgos Lanthimos, oltre che fattivamente "autrice", con una performance talmente unica, debordante e modellata sulle peculiarità del suo corpo attoriale da dare forma all'intera opera.
Due attrici/autrici, dunque, unite fra l'altro da personaggi che dialogano molto più di quanto sulla carta si possa pensare: Barbie e Bella Baxter sono entrambe "bambole", entrambe si trovano all'inizio dei rispettivi film rinchiuse in una casa-gabbia dorata, entrambe sono invitate a viaggiare oltre i confini del proprio piccolo mondo per intraprendere un percorso di scoperta di sé e di disillusione; entrambe si scontrano con l'esistenza del patriarcato e delle sue regole non scritte, e per entrambe la posta in gioco è diventare "una donna vera", imperfetta, autentica, libera. Due film diversissimi tra loro, ma ciascuno inseparabile dalla propria protagonista: la "Barbie vivente" Margot Robbie, con la sua bellezza canonica e il sorriso smagliante pronti a recare il marchio Mattel, e la regina dell'awkward Emma Stone, coacervo di sensualità grezza e movenze infantili, buffa ed erotica insieme, un cartoon vivente con un'infinita gamma di espressioni facciali straniate. Non c'è da stupirsi che entrambe le dive ci abbiano messo, oltre che la faccia, i soldi con le rispettive case di produzione: ruoli così non abbondano sul grande schermo, e la possibilità di dare vita a un femminile differente, a storie di donne che si autodeterminano, è qualcosa di molto prezioso.
È spesso questo il motivo che ha portato, negli ultimi anni, parecchie attrici di Hollywood a fondare la propria casa di produzione o a farsi parte attiva a livello produttivo nei progetti di cui sono protagoniste - ma non solo. Quando i copioni si somigliano tutti, quando i ruoli per le attrici sono limitanti o ripetitivi, già visti o squalificanti, non resta che attivarsi per crearne di diversi. Nello spiegare la sua decisione di fondare la Lucky Chap, Margot Robbie ha detto: «Non volevo dover scegliere l'ennesimo script in cui ero una moglie o una fidanzata, solo un catalizzatore per la storia del protagonista maschile», un'angolazione che ha decisamente informato lo sguardo di Barbie sulla narrazione di genere nel cinema mainstream, dato che il film non fa che ribaltare esattamente quell'assunto. Non una novità assoluta, sia chiaro: il ruolo delle dive nella produzione è sempre esistito, almeno da quando la superstar del muto Mary Pickford diventò produttrice co-fondando la United Artists nel 1919; Bette Davis e Hedy Lamarr avevano entrambe le proprie case di produzione, sebbene votate soprattutto alla realizzazione di film di cui fossero le star assolute; e negli anni 90 Jodie Foster, Drew Barrymore e Queen Latifah hanno spesso partecipato alla produzione dei propri film. Ma il cambiamento degli ultimi anni è più strutturato e proattivo, più lanciato verso la possibilità di dare vita a storie diverse, e visibilità a ruoli femminili anticonvenzionali: uno slittamento dovuto a molti fattori, tra cui l'imporsi dello streaming con le opportunità che le piattaforme comportano, oltre che il più ampio movimento, anche creativo, scaturito dalle conseguenze del #MeToo. Abbiamo messo in fila 12 nomi significativi tra quelli delle protagoniste di questa tendenza, in ordine rigorosamente alfabetico.
Jennifer Aniston (Echo Films)
La star di Friends ha fondato Echo Films (insieme a Kristin Hahn) nel 2008 (era già stata co-fondatrice della Plan B insieme all'ex marito Brad Pitt, ora unico proprietario della compagnia). Tra i titoli prodotti da Echo, alcune delle prove più intense e drammatiche di Aniston, dopo la chiusura della celeberrima sitcom sempre molto attiva nel tentare di scollarsi di dosso l'immagine della fidanzatina d'America, tra cui Cake e Il destino di un soldato; ma anche titoli targati Netflix come Voglio una vita a forma di me e i Murder Mystery con Adam Sandler. In cantiere ha anche progetti legati a registe come Tig Notaro (First Ladies) e Mimi Leder (The Goree Girls), ma il suo maggior successo produttivo al momento resta The Morning Show, la serie Apple giunta alla terza stagione e ambientata nel mondo dell'informazione televisiva, che la vede affiancata (anche in produzione) da Reese Witherspoon, e che affronta di petto il tema del #MeToo e delle sue conseguenze.
Elizabeth Banks (Brownstone Productions)
Tra le veterane di questo elenco, Banks ha fondato la Brownstone nel 2002 (insieme a Max Handelman) e ha dato vita alla trilogia di film teen musical Pitch Perfect (il secondo dei quali da lei anche diretto) oltre che ai suoi film da regista: la nuova versione di Charlie's Angels e lo sgangherato, a suo modo memorabile Cocainorso, operazioni di programmatico superamento dei generi tradizionalmente "consentiti" alle registe donne. Nel 2023 con Brownstone ha anche prodotto uno dei nostri film del cuore: l'imperdibile Bottoms, vera pietra miliare nella rappresentazione del femminile del nuovo millennio, e prossimamente si vedrà Cat Person di Susanna Fogel, tratto dal racconto di Kristen Roupenian.
Jessica Chastain (Freckle Films)
Da quando l'ha fondata nel 2016, Chastain ha prodotto con la Freckle alcuni dei titoli più rilevanti della sua carriera d'attrice, tra cui le due (diversissime ma unite dal nome) Tammy da biopic (il film Gli occhi di Tammy Faye e la serie George & Tammy), ma anche gli action Ava e Secret Team 355, ricevuti con minore entusiasmo ma mossi dall'intento di realizzare film di genere al femminile. È appena uscito il trailer del prossimo Mother's Instinct di Benoît Delhomme, che la vede anche protagonista accanto a Anne Hathaway; mentre come produttrice esecutiva, fuori dal cappello di Freckle, Chastain ha firmato la magnifica miniserie Scene da un matrimonio di Hagai Levi.
Selena Gomez (July Moon Production)
La più giovane del nostro elenco, la popstar ed ex stella di Disney Channel ha prodotto con la sua July Moon la serie teen di Netflix Tredici, oltre che il suo cooking show da era pandemica Selena + Chef. Come produttrice esecutiva ha partecipato alla realizzazione della splendida serie Disney+ Only Murders in the Building, commedia gialla in cui ha messo in campo tutto il suo notevole talento comico.
Nicole Kidman (Blossom Films)
La diva australiana ha fondato la sua compagnia nel 2010, e nello stesso anno ha prodotto il suo primo film, l'intenso dramma Rabbit Hole. Se sul grande schermo l'attività della Blossom è stata relativamente limitata, con la produzione di Monte Carlo (protagonista, la succitata Selena Gomez) e La famiglia Fang, è sul piccolo che Kidman sta lasciando il segno: da Big Little Lies a The Undoing, da Roar a Operazione speciale: Lioness, passando per Nine Perfect Strangers e la miniserie Love & Death, la star ha trovato nella serialità il nuovo veicolo per la sua dimensione divistica, giocandosi ottimamente le possibilità di (un po' tutte) le piattaforme streaming. In arrivo, sempre sul fronte seriale, ci sono Expats (Prime Video), sulla comunità di immigrati stranieri a Hong Kong, e il thriller The Perfect Couple (Netflix).
Natasha Lyonne (Animal Pictures)
Tra gli spiriti guida di questa newsletter, la vulcanica Lyonne ha fondato Animal Pictures in tandem con l'altrettanto ottima Maya Rudolph, nel 2018. Da allora hanno realizzato serie di cui sono l'impagabile motore comico, come Russian Doll (su Netflix, con Lyonne) e Loot (su AppleTv+, con Rudolph), nei panni di donne meravigliosamente imperfette, ruvide e problematiche; ma anche documentari come Sirens di Rita Baghdadi, sulla prima band metal femminile del Medioriente. E, sempre sul fronte seriale, un gioiello che speriamo si veda presto anche in Italia: Poker Face, creata da Rian Johnson, con Natasha Lyonne infallibile, sarcastica e imprendibile detective per caso.
Natalie Portman (Handsomecharlie Films)
Se l'Animal della Animal Productions è proprio la stessa Lyonne, per ammissione di Rudolph, il bel Charlie della compagnia di Portman, fondata nel 2007, era invece il suo cagnolino all'epoca. La diva israeliana ha prodotto una manciata di titoli eclettici, tra cui i "suoi" Jane Got a Gun, Hesher è stato qui! e Sognare è vivere, ma anche il doc sul vegetarianesimo Eating Animals (tratto da Se niente importa di Jonathan Safran Foer) e PPZ: Pride and Prejudice and Zombies.
Margot Robbie (Lucky Chap Entertainment)
Di Barbie abbiamo già abbondantemente parlato, ma il percorso da produttrice di Robbie è tra i più coraggiosi e lucidi in questo gruppo di dive passate dall'altro lato della macchina da presa: tutto è cominciato col biopic Tonya - a oggi, probabilmente, la migliore e più folgorante interpretazione della diva australiana -, ma il primo grande colpo della Margot produttrice è stato Una donna promettente, manifesto femminista firmato nel 2020 da Emerald Fennell che è arrivato fino all'Oscar come migliore sceneggiatura. Di Fennell Robbie ha prodotto anche l'opera seconda, l'assai discusso e assai godibile Saltburn, nel segno di un sodalizio al femminile molto proficuo; su piattaforma la Lucky Chap ha invece realizzato Lo strangolatore di Boston, con Keira Knightley e Carrie Coon impegnate a smantellare i pregiudizi di genere in ambito investigativo, e l'ottima miniserie Netflix Maid, protagonista Margaret Qualley, precisa analisi dell'abuso domestico e della condizione di una donna schiacciata. La compagnia ha già in cantiere decine di altri progetti, tra cui: un nuovo Tank Girl; Marian, sulla vita di lady Marian dopo la morte di Robin Hood; Naughty di Olivia Wilde e, ovviamente, il sequel di Barbie.
Octavia Spencer (Orit Entertainment)
Potrebbe sembrare che quello delle dive produttrici sia un campionato riservato alle giocatrici bianche, spesso più redditizie al botteghino, ma fortunatamente non è così, almeno non del tutto: la premio Oscar afroamericana Spencer ha capitalizzato la sua notorietà producendo titoli fondamentali come Prossima fermata Fruitvale Station e Green Book, opere che raccontano storie di discriminazione e violenza razziale subita dalla comunità nera negli Stati Uniti. Nel 2019 ha poi fondato la sua casa di produzione, Orit Entertainment, con la quale ha dato vita alle serie Truth Be Told (Apple TV+) e Self Made - La vita di Madam C.J. Walker (Netflix).
Emma Stone (Fruit Tree)
Giungiamo così alla nostra Bella Baxter: Stone ha fondato la Fruit Tree nel 2020, insieme al marito Dave McCary, e con essa hanno firmato un contratto di distribuzione con la sempre più lanciata A24, ormai punto di riferimento per il cinema indipendente. Il primo film prodotto è stato l'esordio registico di Jesse Eisenberg, When You Finish Saving the World (la squadra si è riformata per l'opera seconda, A Real Pain, con Kieran Culkin), il secondo il clamoroso Povere creature! E sul fronte seriale, la Fruit Tree è responsabile di uno degli oggetti più disturbanti e inclassificabili di questi mesi, The Curse (sempre con A24), creata da Benny Safdie e Nathan Fielder (il finale di stagione arriva questa settimana su Paramount+): una commedia nera, una satira dei reality show, ma soprattutto l'ennesima occasione per Stone di dare vita a un personaggio femminile completamente fuori dagli schemi, narcisista e manipolatorio, seducente e respingente, come solo lei sa fare.
Charlize Theron (Denver & Delilah Productions)
Anche la diva sudafricana ha intitolato la sua compagnia, nell'ormai lontano 2003, ai suoi cani Denver e Delilah; la sua prima fatica come produttrice è stato Monster, il film che l'ha portata all'Oscar. Sono seguiti Young Adult, Atomica bionda, Tully e Non succede, ma se succede…, fino al film manifesto del MeToo Bombshell - La voce dello scandalo di Jay Roach, che vede Theron anche protagonista insieme a due delle altre dive qui citate, Margot Robbie e Nicole Kidman, in una vera e propria dichiarazione d'intenti. Con Denver & Delilah Theron è anche produttrice della serie Netflix Girlboss e, soprattutto, di Mindhunter, una delle migliori creazioni seriali della piattaforma.
Reese Witherspoon (Hello Sunshine)
Produttrice attivissima, Witherspoon ha una lunga storia dietro la macchina da presa: la sua prima compagnia di produzione è stata la Type A Films, nata nel 2000; fusa poi nel 2012 nella Pacific Standard con Bruna Papandrea; e ora divenuta solo una branca della sua Hello Sunshine, fondata nel 2016. Lettrice accanita, Reese ha portato sullo schermo come produttrice vari bestseller, a partire da Wild del compianto Jean-Marc Vallée (di cui era anche protagonista); ma pure Gone Girl - L'amore bugiardo di Fincher e La ragazza della palude di Olivia Newman, oltre all'esordio cinematografico di Noah Hawley, Lucy in the Sky (con Natalie Portman: tirando fili tra le dive elencate in questo numero, si delinea una piccola factory). Ma Witherspoon è attiva soprattutto sul piccolo schermo, dove ha prodotto i già citati Big Little Lies e The Morning Show, oltre a Tanti piccoli fuochi, Daisy Jones & the Six, Le piccole cose della vita e L'ultima cosa che mi ha detto. ILARIA FEOLE
Interpretato da Nicole Kidman, Margot Robbie e Charlize Theron, da quest’ultima anche prodotto, Bombshell - La voce dello scandalo è uno dei film simbolo della nuova onda di dive-produttrici: vi riproponiamo la recensione apparsa sul n. 17/2020 di Film Tv.
Bombshell - La voce dello scandalo
Un anno prima di Harvey Weinstein, Roger Ailes: direttore dell’ultraconservatore canale televisivo Fox News, nel 2016 Aisles fu accusato di molestie sessuali da Gretchen Carlson, matura anchorwoman da poco licenziata. All’accusa si unirono altre giornaliste, tra le quali spiccava Megyn Kelly, star del network, che era appena incappata in un ruvido scambio di battute con Donald Trump, candidato presidente, del quale Aisles divenne consulente dopo essere stato licenziato da Fox News dal proprietario, il magnate Rupert Murdoch (un altro non proprio illuminato). Bombshell racconta il ribollire e l’esplodere dello scandalo, dal punto di vista, soprattutto, delle tre protagoniste: Charlize Theron (Kelly), brava nel bilanciare aggressiva ambizione e dubbi, Nicole Kidman (Carlson) e Margot Robbie, che interpreta un personaggio fittizio, la nuova arrivata che vuol fare carriera e ne paga il prezzo cominciando a tirarsi su la gonna davanti a Ailes. Abiti attillati, gambe scoperte, tacchi a spillo e un fisico adeguato sono i requisiti femminili essenziali a Fox News, e nelle trasmissioni condotte da donne i tavoli devono essere trasparenti: è la televisione, bellezza! E Bombshell è anche un film sul mondo dei network, condotto da Jay Roach con passo spedito, sguardi e monologhi in macchina, flashback e coralità di voci (notevole il monologo interiore della giornalista invitata dal suo capo a fargli vedere la sua stanza). Non arriva al ritmo vertiginoso di La grande scommessa di Adam McKay, con il quale condivide lo sceneggiatore Charles Randolph, ma ha la grinta e il coraggio di non “santificare” le sue protagoniste. EMANUELA MARTINI
Ok, Barbie ha segnato il 2023 in positivo: ma il resto del panorama delle donne dietro la macchina da presa? Non così luminoso, secondo il nuovo studio del Center for Study of Women in Television and Film dell’Università di San Diego, che rivela come solo il 16% dei registi dei 250 maggiori incassi del 2023 fossero donne (in calo rispetto al 18% dell’anno precedente). Tutte le cifre, e l’amara verità del gender gap, qui [in inglese]
Per un riassunto che invece riconcili con un 2023 comunque significativo, anche e soprattutto a livello qualitativo, per l’audiovisivo al femminile, vi rimandiamo all’accuratissimo lavoro analitico della piattaforma Letterboxd, che come ogni anno dedica grande spazio alle registe nella sezione Women Directors.
A proposito di film record del 2023: C’è ancora domani di Paola Cortellesi è stato dichiarato Film dell’anno dei Nastri d’Argento, i premi assegnati dal Direttivo nazionale dei giornalisti cinematografici presieduto da Laura Delli Colli.