Singolare, femminile ♀ #109: La Morte ti fa ridere
Direttamente da Broadway, la special guest star Clara Ramazzotti ha visto per noi Death, Let Me Do My Show, il nuovo spettacolo di e con Rachel Bloom, autrice geniale, tra comicità e musical, della serie cult Crazy Ex-Girlfriend. Ecco il suo racconto, tra risate incontenibili e lacrime di commozione, e di sollievo.
Il tizio accanto a me rideva sguaiatamente anche quando non ci sarebbe stato nulla da ridere, forse per eliminare il proprio imbarazzo di fronte a discorsi seri, forse perché aveva bisogno di divertimento, anche se stava disturbando una fila intera. A voce molto alta ripeteva alla vicina, alla sua destra, che era un super fan di Rachel Bloom, che lui chiamava amichevolmente «Rachel», e masticava noccioline senza sosta da 60 minuti su uno spettacolo di 86. Una piaga. Sembrava tutto pronto per abbandonarsi al caos, che poi in fondo è stato il leitmotiv della serata.
Death, Let Me Do My Show è il titolo dello spettacolo teatrale di Rachel Bloom, la co-creatrice e protagonista di Crazy Ex-Girlfriend, e fa ridere, ma in questo caso ha senso aggiungere che fa anche riflettere e commuovere. L’eroina dello show è Rachel Bloom stessa, che arriva sul palco tra urla del pubblico, accenni a Space Jam e musica pop ad altissimo volume, il suo nome scritto alle spalle, su un lucido bianco latte. È indubbio che parlerà di sé, e che lo farà con un mix fra stand-up comedy e numeri musical.
Cantare i propri pensieri, lo abbiamo visto proprio con Crazy Ex-Girlfriend, è il marchio di fabbrica di Bloom. Nel suo modo di fare spettacolo, sia in televisione sia in teatro, Bloom utilizza i generi canonici del musical di Broadway per ridicolizzare gli stereotipi drammatici e romantici del cinema e del mondo dello spettacolo americani. E anche per dare a tutti e tutte noi l’idea di essere le star di questa storia “pazzesca” che è la nostra routine quotidiana. Grazie alle sue canzoni, che hanno sempre un’ispirazione molto riconoscibile, siano accenni ad artiste come Rihanna e Celine Dion o riferimenti evidenti ai musical storici come Wicked e Into the Woods, Bloom esprime con onestà ciò che le capita – e che capita a molte e molti di noi –, dal dolore provocato dalla depilazione con ceretta a un rapporto sessuale andato male. Balletti, show stopper e hit radiofoniche sono le basi cui appoggiare testi buffi e situazioni banali, che normalmente sarebbero lontanissime dalla spettacolarità.
Non sapevo cosa aspettarmi da Death, Let Me Do My Show. Sapevo che ci sarebbe stato un pizzico di Crazy Ex-Girlfriend, ma traslare con efficacia quel modo di fare televisione su un piccolo palco newyorkese è un altro paio di maniche. Non sono rimasta delusa e lo spettacolo mi ha sorpreso in modo molto positivo. Bloom è capace di dar vita, anche dal vivo, al «cosa uscirebbe dalla mia testa se il mondo avesse una colonna sonora». Nel suo spettacolo, live al Lucille Lortel Theatre a New York per sole tre settimane (le repliche si concludono il 30 settembre), Rachel Bloom comincia da ciò che i suoi fan conoscono bene: veste abiti glitterati mentre canta di come gli alberi fuori casa sua profumino di sperma (Darling Meet Me Under The Cum Tree), e recita pezzi comici da one woman show.
Però questo non è completamente un one woman show, e non è uno spettacolo di stand-up puro. Doveva esserlo, nel 2019, quando Bloom era incinta e prima che arrivasse la pandemia da COVID-19. Dopo questo cambiamento personale e fisico, e un deragliamento globale più grande di lei che ha coinvolto (quasi) tutti, lo spettacolo però inizia come se nulla fosse successo. «We had the pandemic but I don’t care and I want to do the show like it is 2019 again!» (“abbiamo vissuto la pandemia, ma non me ne frega niente e farò il mio spettacolo come se fosse ancora il 2019!") dice Bloom tra le risate generali, mettendo tutti d’accordo. In questi mesi negli Stati Uniti c’è un ritorno di casi da COVID-19 abbastanza diffuso, tanto da aver fatto decidere al governo di mandare tamponi gratis a casa dei cittadini. Non ci sono allarmismi, ma non capitava da quasi un anno. Anche Rachel Bloom vorrebbe fingere che non sia successo nulla e accenna una canzone che parla di “bush”, il nomignolo dato al “cespuglio” di peli pubici. Sì, insomma, ci canterà qualcosa relativo alla vagina non depilata per rimuovere il pensiero di aver vissuto una pandemia e una gravidanza.
(Attenzione: d'ora in avanti riveleremo lo svolgimento dello spettacolo e il suo principale plot twist: smettete di leggere se non volete sapere altri dettagli)
Dal pubblico irrompe un disturbatore, un uomo che, non si sa per quale ragione, vuol dire la sua. È più o meno come il tizio accanto a me, deve farsi per forza sentire e le dice: «Magari canta qualcos’altro!». Se c'è una critica che mi sento di muovere verso il popolo americano è proprio questa: lo sappiamo che vi hanno insegnato a “speak your mind”, a dire la vostra sempre e comunque, ma non è necessario farlo davvero, e soprattutto non sempre. Mi imbarazza, chiedo al mio compagno se pensa che sia una scena preparata. Rachel Bloom se la prende, reagisce come me, fa illuminare il disturbatore seduto in sala e gli ricorda che lo spettacolo è suo, di Bloom, e non è in un bar del Village dove è concesso a tutti partecipare. Ridiamo. «Che forza, Rachel!», ulula il tizio nella mia fila. Applausi. Silenzio. A quanto pare però il tipo che ha interrotto non è un disturbatore, l’uomo si alza, è giovane, va verso il palco e le dice «I am Death», “sono la Morte”, mentre cadono i gingilli armoniosi del palco, crolla il nome di Bloom, si aprono le quinte rivelando musicisti appisolati e al telefono. La Morte è co-protagonista dello spettacolo e la interpreta un volto noto ai fan di Crazy Ex-Girlfriend, David Hull, che nella serie è chiamato “White Josh”.
È il secondo personaggio di Death, Let Me Do My Show, ma è anche il perno della storia, che inizia proprio adesso, dopo circa 20 minuti di spettacolo. La verità è che non possiamo tornare al 2019, bisogna andare avanti, bisogna affrontare i demoni di quasi tre anni di pandemia. Bloom si arrende e racconta, con ironia dark da manuale, di come sua figlia sia nata con dell’acqua nei polmoni, e il suo parto, che sembrava andare bene, sia diventato un incubo. Nata a marzo 2020, la figlia di Rachel Bloom viene tenuta per cinque giorni nel Neonatal Intensive Care Unit (NICU), la terapia intensiva per neonati, ed essendoci il COVID e il caos, non possono farle visita entrambi i genitori, ma solo uno dei due per un’ora al giorno. È l’ispirazione per cantare But Please Don’t Die, una ninna nanna con l’elenco di tutti i modi in cui un neonato può morire nei suoi primi giorni e, talvolta, mesi di vita. Incredibile, ma fa davvero ridere, nonostante il tema. È questa la forza di Rachel Bloom, sa parlare di corpi, di ansie, di paure contemporanee, di delusioni, di ripensamenti ed egoismi, di cotte, di paranoie e malattie mentali (Bloom ha la prescrizione per il Prozac per tenerle a bada ed è in cura da uno psichiatra, per sua stessa ammissione).
«Sei contento, Morte? Posso continuare con il mio show?», chiede Bloom rivolta al suo ormai collega di palco. No. Morte le ricorda che il senso di questo spettacolo sarebbe parlare di cose vere, non cantare bullshit, “cazzate”. La obbliga ad andare più a fondo. Inizia un lungo pezzo sull’ansia di Bloom che la sua cagnolina possa morire, pur essendo ancora viva e, apparentemente, in formissima. Dopo una lunga ed esilarante narrazione sul Paradiso degli animali domestici (tutti in attesa dei loro padroni sotto a un certo “Rainbow Bridge”), corredata da immagini estremamente cringe, Morte interrompe di nuovo e, salendo sul palco, ne prende totale possesso. Una delle cose migliori dello spettacolo arriva proprio a questo punto: David Hull reinterpreta il musical Dear Evan Hansen frignando sulla sua solitudine e sull’essere un incompreso, con le scenografie del noto spettacolo di Broadway, che in originale vedeva Ben Platt nei panni di Evan Hansen, il protagonista. Per un theater kid o un appassionato del genere, l’uso dei musical che fa Bloom è geniale. Ci sono riferimenti continui alla storia del teatro americano e alle musiche che hanno sancito il successo di carriere e canzoni ormai cult.
Quindi, se una gravidanza rischiosa e un cane molto anziano non sono argomenti sufficienti per parlare della morte, qual è la storia che vuole sentire il co-protagonista di questo show? Rachel Bloom non ci ha raccontato il trauma più grande che ha subito finora, ci sta un po’ mentendo, insomma. Morte vuole che Bloom si apra e racconti la scomparsa prematura del suo amico e compositore di lunga data Adam Schlesinger, morto di COVID-19 proprio all’inizio della pandemia. Il lutto lascia Bloom devastata, le manca un pezzo, anche letteralmente: con Schlesinger stava scrivendo i testi e le musiche di questo spettacolo, prima che diventasse tutta un’altra storia. L’inizio dello show diventa allora chiaro: Bloom avrebbe voluto restare ferma in quello spazio nel tempo, prima che Schlesinger morisse, prima che questo show si trasformasse nel ricordo lampante della perdita. È toccante parlare di morte, stavolta con la m minuscola, per ricordare un amico, e nel frattempo ridere sfacciatamente di una delle cose più spaventose che ci possano capitare. Riderne al punto che nessuno sembra in lacrime disperate, ma pare che ci sia un certo sollievo, una sorta di sospiro liberatorio nel pensare che alleggerire il dolore con l’arte faccia stare meglio. È una montagna russa emotiva che dimostra il talento gigante di Rachel Bloom nel raccontare un problema tangibile, serissimo, senza fare battute raccapriccianti o che lasciano perplessi. Tutto il meccanismo di Death, Let Me Do My Show funziona più che bene: se a un certo punto dovessero essere rese disponibili le canzoni su piattaforma il consiglio è quello di ascoltarle, e ancor più caldamente raccomandiamo la visione dell'intero show se mai dovesse esser trasmesso in tv o pubblicato online. Per ora, però, lo spettacolo di Rachel Bloom è fruibile solo dal vivo, a teatro. Alcuni suoi lavori televisivi sono disponibili in Italia: trovate la breve sitcom Reboot su Disney+ (di cui è una delle protagoniste; purtroppo la serie è già stata cancellata), e soprattutto Crazy Ex-Girlfriend, di cui è anche co-creatrice, su Netflix (quattro stagioni, conclusa). Sul canale YouTube Rachel Does Stuff ci sono invece moltissimi suoi video e sketch, anche tutti quelli realizzati prima di approdare in tv, in alcuni casi diventati virali. CLARA RAMAZZOTTI
Clara Ramazzotti vive a New York, e insegna Communication and Media Studies alla Fordham University. Appassionata di musical, cinema e serie tv, collabora con le edizioni italiane di “Vanity Fair”, “Wired” e “Harper’s Bazaar”, e con le testate italiane Il Tascabile e Link – Idee per la tv.
La serie che ha rivelato il talento di Rachel Bloom è la comedy Crazy Ex-Girlfriend, in Italia disponibile (ancora per poco, purtroppo: solo fino al 29 settembre) su Netflix: con una media di tre canzoni originali a episodio – spesso costruite come esilaranti parodie di videoclip pop o celebri brani musical – nel corso delle sue quattro stagioni ha saputo parlare di stereotipi sessisti e salute mentale, dell’ossessione collettiva per l’amore romantico, di angosce esistenziali, di tabù fisici e psicologici, della complessità delle relazioni umane – facendo, spesso, molto molto ridere. Vi riproponiamo la recensione della prima stagione, pubblicata su Film Tv n. 4/2017.
Crazy Ex-Girlfriend: Stagione 1
Psicosi: «Severa alterazione dell’equilibrio psichico, con compromissione dell’esame di realtà e frequente presenza di disturbi del pensiero, deliri e allucinazioni». Rebecca Bunch preferisce la parola “amore”: punti di vista. Per esempio: avere un QI elevatissimo, lauree a Harvard e Yale, una carriera d’avvocato a Manhattan, uno stipendio da 500 mila dollari l’anno, e mollare tutto per seguire nell’anonima West Covina, California, il tizio di cui si era perdutamente innamorati durante il campo estivo, 15 anni fa, e che non si vede e sente da allora… è amore, totale perdita di cervello o forse stalking? La premessa di Crazy Ex-Girlfriend, creata dalla comedian Rachel Bloom e dalla sceneggiatrice di film romantici Aline Brosh McKenna, è, appunto, folle. Lo svolgimento segue a ruota: due o tre volte a episodio, Rebecca (di tanto in tanto pure qualche altro membro del cast) irrompe in un numero musical(e) con relativa canzone originale, quasi invariabilmente illuminante: si prepara per uscire parodiando certi videoclip r’n’b, riflette sul proprio fallimento con una ballad alla Barbra Streisand, realizza che potrebbe essere la villain della sua stessa fiaba in stile Disney, medita di accontentarsi di qualcun altro danzando come Ginger & Fred e così via. E, una puntata dopo l’altra, rivela come quasi nulla di tutto questo c’entri qualcosa con l’amore; piuttosto, con un’insoddisfazione che divora le esistenze, annidandosi nello scarto incolmabile tra la realtà e un pervasivo immaginario di ossessiva perfezione. E che a smascherare la psicosi collettiva siano le vette fantasy del musical è solo l’ultimo tocco di genio di una serie imperdibile. ALICE CUCCHETTI
In occasione del debutto Off Broadway del suo nuovo spettacolo, di cui vi parliamo in questa newsletter, Rachel Bloom ha rilasciato al “New York Times” questa bella intervista [in inglese]. Per i nostalgici di Crazy Ex-Girlfriend, su YouTube c’è una playlist con tutti i momenti musical, in ordine di apparizione, della serie.
Ieri, 26 settembre, ricorrevano i 50 anni dalla morte della grande Anna Magnani. Vi segnaliamo quest’ottimo articolo su di lei firmato da Daniela Brogi (che abbiamo intervistato sul suo libro Lo spazio delle donne nella newsletter n. 42) per Doppiozero.
Sarà dedicata al femminile la stagione 2023 di Unimi Connect Cinema dell’Università statale di Milano: sei proiezioni introdotte da un corto scelto nell’archivio di cinema documentario, e al consueto premio Olmi, dedicato a tesi di laurea sul cinema italiano, si aggiungerà un riconoscimento al merito scientifico dedicato alle tesi dottorali della medesima area tematica. La rassegna si inaugura il 2 ottobre con Saint Omer di Alice Diop, l’ingresso è libero con registrazione. Dal 28 settembre al 1° ottobre al Piccolo Teatro Strehler e al Piccolo Teatro Studio di Milano torna per la 37ª edizione il Mix – Festival internazionale di cinema LGBTQ+ e cultura queer: proiezioni in anteprima da tutto il mondo, incontri con artistə, registə, scrittori e scrittrici, performance, live music e djset, all’insegna del motto “stay open”.