Singolare, femminile

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Singolare, femminile ♀ #055: Al di là del principio di piacere

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Singolare, femminile ♀ #055: Al di là del principio di piacere

Film Tv
Jun 22, 2022
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Singolare, femminile ♀ #055: Al di là del principio di piacere

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Questo numero della newsletter arriva in ritardo di una settimana perché l'algoritmo del servizio MailChimp a cui ci affidavamo per l'invio ha decretato che, parlando di porno e facendovi riferimento diretto con immagini e link, il testo contravvenisse alle sue linee guida. Come quasi sempre, il contesto è quasi tutto (ma gli algoritmi non lo sanno). Ci scusiamo con voi lettori! Potete ritrovare il nostro archivio su Substack a questo indirizzo, da ora in poi.

In streaming su MUBI, Pleasure è l’opera prima della regista svedese Ninja Thyberg: un’esplorazione dietro le quinte dell’industria pornografica che mette in scena tanto i limiti quanto le potenzialità del mondo dell’hard visto con uno sguardo femminile.


«Sei qui per affari o per piacere?» chiedono alla dogana a Bella, prima di varcare il confine del sogno statunitense. La risposta che tutti ci aspettiamo è «pleasure», ovviamente. E così è. Possono partire i titoli di testa. 

Bella Cherry è una ragazza di 19 anni. Vuole diventare una star del porno. E quale posto migliore per provarci, se non la sterminata Los Angeles, il regno dell’intrattenimento anche per i contenuti XXX? 
Etichettato nella selezione ufficiale di Cannes 2020 (che non si è tenuta) e poi presentato al 37° Sundance Film Festival, Pleasure è disponibile su MUBI: è il primo lungo diretto da Ninja Thyberg (il cui mentore, lo dicono anche i titoli di coda, è Ruben Östlund), svedese, già autrice di una serie di cortometraggi tra cui l’omonimo Pleasure del 2013, un dietro le quinte dell’industria del porno realizzato per una ricerca di Gender Studies condotta all’università e successivamente alla base dell’esordio nel lungo. 

Cosa succede tra una scena e l’altra? Quali sono le dinamiche tra attrici e attori? E, soprattutto: qual è lo status attuale dell’industria pornografica? Quale l’accettazione sociale di chi sceglie di fare del porno un lavoro? E poi i limiti, le soglie della sessualità, la questione del consenso. Sono questi i temi che il film attraversa e sui quali ci pone domande. Ma guardando Pleasure ci si chiede anche se queste domande non siano poi le stesse che ci si porrebbe di fronte a un dietro le quinte dell’industria cinematografica tout court. Il sogno ostinato e l’accecante desiderio di diventare una star e le perverse dinamiche tra colleghe sono raccontati da Paul Verhoeven nell’ormai canonizzato Showgirls. O, prima ancora - ma con altri intenti - da Dario Argento tramite le ballerine di Suspiria, dai tanti remake espliciti o apocrifi come The Neon Demon, Il cigno nero e trasversalmente Climax di Gaspar Noé. Per non dimenticare Eva contro Eva, di cui tutti questi film appena citati raccolgono la grande eredità. 

Quando si entra a fare parte dello showbiz si è disposti veramente a qualsiasi cosa? E quanto in realtà tutto questo è inscritto nel meccanismo, indotto dalle stesse regole di questo mondo di lustrini, feste e notorietà sui social? Bella Cherry, Nomi Malone (Showgirls), Nina Sayers (Il cigno nero) o Jesse (The Neon Demon) sono antieroine fagocitate dall’occhio esterno di una camera e di una platea che determina il successo e fa credere di sostenerle, di costruire con loro la propria affermazione. Eppure Bella, nelle scene iniziali, dice di voler diventare un’attrice porno perché ama il sesso, semplicemente: nessun trauma infantile o famiglia disfunzionale. La sua è una scelta consapevole e precisa che vuole rompere con tutti quei pregiudizi intorno alla carriera di attrici e attori hard. È un gesto di pura autodeterminazione. La corruzione arriva dopo, nel momento in cui si immerge in un mondo spietato e violento. La stessa cosa accade a Nomi nel film di Verhoeven: una ragazza di provincia vuole diventare una star dei grandi casinò di Las Vegas, ma il luccichio dei palchi nasconde un sottomondo di meschinità e abusi. In una delle scene più violente di Pleasure, mentre gira un porno estremo, Bella si ritrova a non essere tutelata come credeva. Il mondo del porno è ancora così dominato dagli uomini? 

Negli ultimi tempi sono nate una serie di realtà che tendono a realizzare pornografia alternativa, impegnate in una differente rappresentazione dei generi e delle etnie, in cui si è attenti al piacere femminile e alle dinamiche dello sguardo, con film non rivolti soltanto a un pubblico maschile. È il caso, per esempio, della regista, produttrice e attivista Erika Lust che ha fatto del porno alternativo la propria battaglia, innescando oltre dieci anni fa una piccola rivoluzione: i suoi film prediligono una pornografia meno artificiosa, volta al piacere femminile, con momenti di narrazione, sequenze oniriche, in cui il sesso ha funzione di scoperta, liberazione dai tabù imposti da decenni di industria maschilista, razzista e machista. Lust vede la pornografia anche in funzione educativa. Potremmo definire i suoi film, banalmente, dei porno autoriali, che ripudiano violenza, razzismo e sono realizzati in un ambiente che tutela attrici e attori. 

Un’altra esperienza interessante di contenuti per adulti alternativi è quella di Lustery, un sito porno amatoriale dove i video sono fatti da coppie, persone normali, non attori professionisti, con corpi normali. Soprattutto: «real people, real orgasm». 

Una delle questioni sicuramente maggiormente stuzzicanti del dietro le quinte della pornografia è proprio quella della fiction. Nel 2011 Raphaël Siboni gira Il n’y a pas de rapport sexuel, ritratto dell’attore, regista e produttore HPG, composto da una serie di filmati di backstage che lo stesso attore era solito realizzare durante le riprese dei suoi film. Il documentario mostra tutto l’artificioso making of del porno: si è spesso soliti pensare - anche per la quasi totalità di scene esplicite - che la penetrazione, la fellatio, il cunnilingus e via dicendo, siano tutti reali. Eppure il film di Siboni ci mostra l’inganno del porno. Angolature ricercate per permettere finte penetrazioni, attori nelle pause, stanchi dal lavoro, oggetti che entrano nell’inquadratura, peli pubici a terra, cavalletti. Sono tutti elementi che ci allontanano dalla questione non solo erotica, ma anche pornografica. Il film, che prende il nome da una famosa frase di Lacan, è rimasto pressoché sconosciuto in Italia, passando soltanto al Milano Film Festival. Sulla rivista Uzak, ai tempi, Alessandro Baratti ne scrisse così: «Il miraggio nel quale ci imbattiamo qui è quello di osservare direttamente il Reale lacaniano, quel registro minaccioso e traumatico che sfugge sia all’ordine speculare dell’Immaginario che a quello significante del Simbolico. Tuttavia questa passione condivisa dalla pornografia e dalla scienza è destinata a infrangersi contro l’irrappresentabilità del Reale stesso: più siamo convinti di approssimarci a questo nucleo incandescente, più esso ci sfugge».

Il film di Siboni e HPG non è altro, quindi, che la decostruzione del fuoricampo, a sua volta prolungamento della finzione. 

Un film come Pleasure tenta, da un lato, di normalizzare un lavoro, dall’altro di denunciarne le ingiustizie. Ma non solo: ribadisce quanto i genitali maschili, negli ultimi tempi, siano accettati dalle immagini, finalmente visibili, sia nelle serie tv sia al cinema. Lo dico da millennial: è una conquista. Riuscite a immaginare un Pacey o un Dawson completamente nudi, con parti intime in vista? Oggi, in serie molto seguite come Sense8 o Euphoria è normale vedere nudità in primo piano. Pensate alla scena di culto di Pam & Tommy, con il close-up sul pene parlante della rockstar. Il sesso sta trovando una sua tranquillità nell’entrare nelle nostre case. È una tematica ricorrente. Dalla cosiddetta sex positivity all’attenzione per il mondo del porno, lo scardinamento dei tabù sta invadendo il campo dell’intrattenimento. Uno degli horror più attesi dell’estate è X di Ti West, in sala dal 14 luglio con il brutto sottotitolo italiano A Sexy Horror Story. Il film, grande omaggio tra gli altri al capolavoro di Tobe Hooper Non aprite quella porta, racconta proprio di un gruppo di giovani che affitta una casa isolata per girare un film porno (il titolo originale non lascia dubbi), ritrovandosi in un incubo. Ovvio che qui si vada oltre, ma è interessante notare come anche in X sia cruciale il making of del film hard.

Per questo mi sembra evidente, dai vari prodotti citati, ma anche da ciò che offrono piattaforme safe come Netflix (si pensi a Sex Education o Big Mouth), che oggi si stia risvegliando una rinnovata coscienza legata alla sfera sessuale, all’esplorazione delle sue forme, abbattendo muri e riflettendo su perversioni, feticismi, consapevolezza dei propri corpi. ANDREINA DI SANZO*

*Selezionatrice per il FantaFestival e critica cinematografica per PointBlank.it e BirdmenMagazine.com



Alla fiorente industria del porno per visione domestica, in VHS, è dedicata la magnifica serie The Deuce - La via del porno, creata da David Simon e George Pelecanos, dove la protagonista Maggie Gyllenhall interpreta un’attrice hard che decide di mettersi dietro la macchina da presa proprio per provare a fare porno di cui anche le donne possano godere. Vi riproponiamo la recensione della prima stagione, apparsa su Film Tv n. 45/2017.

The Deuce - La via del porno

«C’è stata una modifica nella legge sulle norme comunitarie». «E cos’è successo a queste norme?». «Pare che New York non ne abbia». Il dialogo tra Harvey, scafato regista di porno, e Eileen in arte Candy, prostituta senza pappone, è la perfetta sintesi di The Deuce, la magnifica serie con cui David Simon (con George Pelecanos), dopo The Wire, Treme e Show Me a Hero torna a raccontare un brandello d’America. Qui è la Grande mela, 1971: «Il migliore dei tempi, il peggiore dei tempi», per citare quel Racconto di due città che fa capolino come spettro dickensiano. In luogo della rivoluzione francese, quella del porno: Simon registra lo spostamento della vendita del sesso dalle strade all’interno. L’interno delle case chiuse, l’interno dei capannoni dove si girano hardcore male illuminati, l’interno delle sale dove il porno inizia a congiungersi col mainstream (nell’ultimo episodio, la première di Gola profonda) e l’interno delle cabine-video per fruitori solitari. Interni che dialogano coi marciapiedi della Quarantaduesima strada, in gergo (dispregiativo e poco traducibile) deuce, cuore lercio di Manhattan, via dei cinema grindhouse e dei pimp: magnaccia neri con capelli stirati, imprenditori/proprietari di ragazze in hot pants che arrivano in città per farsi vendere in porzioni da 40 dollari. Non c’è niente di erotico, niente di eccitante, nelle transazioni sessuali di questi corpi sul mercato: sono pezzi di un meccanismo, come le monetine dei distributori di sigarette su cui gli sgherri del boss fanno la cresta, parti di un tutto che risale, rivolo su rivolo, sempre a un altro padrone, a chi maneggia il denaro e/o la legge. Legge che, per tornare al succitato dialogo, New York non ha: alla no-go zone della Quarantaduesima (la zona franca in cui il crimine, di concerto con le forze dell’ordine, agisce indisturbato) corrisponde l’allentamento del buon costume, per la gioia di tutte le parti interessate. Come sempre nelle opere di Simon, c’è un sistema - che sia criminale, burocratico, legislativo - da cui gli individui sono masticati interi, indipendentemente dal loro livello di miseria o di potere. I personaggi di The Deuce non sono esemplari, non sono fari nel buio, né servono a rispecchiare lo sguardo dello spettatore sull’affresco storico di cui è testimone: sono pienamente parte della propria epoca, immersi fino al collo nella mentalità di cui il sistema si nutre. I papponi possono avere un cuore, ma con le puttane sanno di dover usare il rasoio; l’onesto barista vuole mantenersi tale finché la mala non gli fa comodo; la femminista figlia di papà crede di salvare le prostitute a suon di assegni; il poliziotto fa la soffiata alla reporter, ma poi non vuole metterci la faccia. E così via, in un coro scritto con la consueta maestria (monologhi di culto fin dal pilota, dove si spiega perché Nixon era il pimp dell’America) e interpretato da uno stuolo di volti simoniani dove brillano le new entry: un James Franco gemellare e una sublime Maggie Gyllenhaal, la voce dolente, i seni svuotati, gli occhi decisi a piantarsi dietro la macchina da presa, per vendere - è sua l’intuizione più importante della serie - l’idea del sesso.

ILARIA FEOLE



  • A proposito di sesso e sua rappresentazione sullo schermo: Karina Longworth ha dedicato la nuova stagione, attualmente in corso, del suo podcast sulle storie sommerse di Hollywood You Must Remember This al filone erotico degli anni 80, tutto da esplorare (in inglese).

  • Parte il 25 giugno, a Roma, la sesta edizione del Festival cinema d'iDEA - International Women's Film Festival diretto da Patrizia Fregonese de Filippo. In programma incontri, performance e proiezioni di lunghi e corti: tra i tanti titoli, le anteprime di A Bird Flew In di Kirsty Bell, del doc Quant di Sadie Frost, dedicato all'inventrice della minigonna, e del corto Penelope a Rebibbia realizzato da Bookciak Azione! 2021 insieme alle detenute. 

  • Nel consueto appuntamento della testata Variety “Actors on Actors”, dove sono gli attori a intervistare i colleghi, vi segnaliamo l’interessante dialogo tra due star televisive che condividono le origini coreane, la grande Sandra Oh di Grey’s Anatomy e Killing Eve e l’astro nascente di Squid Game Jung Ho-Yeon (in inglese).

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