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Singolare, femminile ♀ #045: Praticamente imperfetta sotto ogni aspetto

Singolare, femminile
lo schermo delle donne
- di Alice Cucchetti e Ilaria Feole -
#045 - Praticamente imperfetta sotto ogni aspetto
Ciao ,
questa è Singolare, femminile, un viaggio settimanale attraverso i film, le serie televisive, le autrici, le attrici che hanno fatto e stanno facendo la storia del cinema e della tv.
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La quarta stagione di La fantastica signora Maisel porta sul palcoscenico il diritto di non essere "fantastici" e affronta alcuni nodi fondamentali dell'essere donna, ieri come oggi, tra insicurezze e sorellanze imperfette.

Midge è tornata: dopo oltre due anni di attesa, la quarta annata di La fantastica signora Maisel è ripartita esattamente da dove la terza si era interrotta, da quella pista d'aeroporto sulla quale i sogni di carriera internazionale della neodiva della stand up comedy newyorkese si erano infranti. E in questa stagione, Miriam Maisel esplora diverse amare sfumature di quello che, per molti aspetti, è un fallimento, la messa in crisi dell'assunto della serie, esplicitato sin dal titolo: Midge è fantastica, marvelous, nella messa in piega, nella scelta dei cappelli, nelle misure di fianchi e caviglie, nella scelta delle battute con cui far ridere una sala piena. In questa annata, Amy Sherman-Palladino e consorte esplorano un territorio nuovo: quello del diritto e della fatica di non essere fantastici.
Reduce dalla debacle della mancata tournée con Shy Baldwin, Midge vede la sua carriera a un punto morto, la sua incrollabile fiducia in se stessa minata in un modo che la scrittura della serie lascia trapelare in modo più sofisticato di quanto appaia di primo acchito: decisa a non accettare alcun ingaggio minore e a non fare mai più da spalla, Midge crea per sé regole insormontabili che finiscono per relegarla in un angolo ingrato. Il terrore di essere di nuovo umiliata la porta, anche inconsciamente, a scegliere l'anfratto meno visibile e meno pubblicizzabile di tutti per i suoi monologhi comici: un night club con esibizioni di spogliarelliste, un "titty bar" illegale dove Midge costruisce gradualmente uno spazio per sé, a dispetto della platea maschilista e della gestione dissennata del locale. Su questo fronte, Sherman-Palladino ha fatto di necessità virtù, adattando una stagione che doveva svolgersi in location internazionali all'emergenza pandemica che ha reso impossibile per la troupe e il cast spostarsi: il mondo di Midge è allora diventato sempre più piccolo, spesso chiuso in interni (nonostante, come sempre, la serie costruisca coreografie strabilianti e, in questa annata più che mai, pianisequenza virtuosistici), in modo perfettamente coerente con l'involuzione del suo personaggio, che si seppellisce lontano dagli occhi di tutti su un palcoscenico scalcagnato e clandestino. Lavorando a contatto con un variegato gruppo di spogliarelliste e artiste di burlesque, Midge pare inconsciamente assorbire una delle prime incomprensioni dimostrate dalla sua famiglia circa il suo mestiere di comica, paragonato dai genitori a quello di prostituta; un equivoco che riguarda anche le donne che su quel palco si spogliano, e che la serie disinnesca con intelligenza dando vita, puntata dopo puntata, a un cambiamento percettibile. Notte dopo notte, numero dopo numero, il night club diventa non più il luogo dove nascondersi, dove vergognarsi della propria attività; ma un posto dove ritrovare l'orgoglio per se stesse, per quanto imperfette o male in arnese. Così mentre Midge prende piede e si guadagna fiducia come intrattenitrice, portando nel locale un pubblico sempre più femminile, anche i numeri musicali delle spogliarelliste diventano sempre più sofisticati e liberatori, una celebrazione del corpo di donna che cambia di segno le esibizioni, rendendole assonanti con i monologhi sempre più sinceri e femministi di Midge.

L'ansia di essere perfetta e performante è, d'altronde, il più consistente ponte tra gli anni 60 (appena iniziati) della serie e il nostro presente: tema portante della vita di Midge e spettro con cui confrontarsi continuamente, in questa annata si riverbera su molteplici livelli, dalle casalinghe che costruiscono ardite impalcature di tupperware alla battitura a macchina supersonica di Imogene alle "zitelle" in cerca di marito presso la madre di Midge, divenuta vera artista dei matrimoni combinati. Il momento forse più significativo in questo senso è però quello che vede protagonista la futura first lady Jackie Kennedy, ospite d'onore di un evento di gala per il quale Midge viene ingaggiata (in uno dei pochi, e sempre disastrosi, tentativi di uscire dalla sua tana-night club): il "roast" della signora Maisel si fonda sull'apparente e inscalfibile, quasi insopportabile, perfezione di Jackie, una versione esasperata della perfezione di Midge medesima. Costantemente ben vestita, ben truccata, bene acconciata, sorridente e pacata, Jackie è un modello di donna irraggiungibile, che Midge mette affettuosamente alla berlina con devozione, sottolineando il divario inevitabile tra le foto impeccabili di Jackie sui giornali e la quotidianità di una donna ordinaria. Finché le sue battute salaci non toccano un tasto troppo dolente, quello dell'infedeltà del marito, lasciando Jackie in lacrime e aprendo nella superficie patinata della serie un improvviso squarcio di autentica sofferenza: la perfezione della first lady è un guscio protettivo, uno scudo raggiunto a costi altissimi, uno sforzo costante che non può proteggerla dalla concreta imperfezione della sua vita coniugale. E il prezzo da pagare per apparire sempre impeccabile è qualcosa che, lo sanno sia Midge sia Jackie, può lasciare esauste e smarrite.

Il momento di gelo all'evento per Jackie è anche emblematico di un altro tema cruciale che scorre parallelo per tutta la stagione: la fallita "sorellanza", la difficoltà di essere empatiche e solidali tra donne. Vessata dagli articoli di L. Roy Dunham, che si prende gioco del fallimento della sua carriera con corsivi crudeli e sbeffeggianti, Midge decide finalmente di incontrare il giornalista per provare a riguadagnare la sua credibilità, ma quando arriva alla redazione scopre con sbigottimento che dietro lo pseudonimo c'è una donna (interpretata dall'attrice transessuale Hari Nef). La quale, imperturbabile, le spiega che quegli articoli sono per lei una miniera, un modo per conquistarsi rispetto e autorevolezza da parte dei colleghi in un mondo inesorabilmente dominato dai maschi («it's a man's world» affermava afflitta Midge, rivolta alla figlia, già nel primo episodio di questa annata). L. Roy non ha alcun interesse a tendere una mano verso Midge, a mostrare empatia o solidarietà, perché è troppo impegnata a navigare nel medesimo mare, tra i medesimi squali, e stare a galla è la priorità assoluta. Un altro esempio lampante proviene dal fallito tentativo di Midge di tenersi il posto di "scaldapubblico" nello show televisivo della rinata Sophie Lennon. Chiamata a intrattenere la platea prima dell'inizio della trasmissione, Midge svolge, come sempre, un ottimo lavoro: talmente ottimo da attirare l'invidia cocente di Sophie, che si intrufola nel suo slot per cercare di dimostrare di essere più amata di lei dagli spettatori, e le due finiscono per ridursi a un grumo di rabbia e veleno da sputare l'una contro l'altra in battute sempre più violente, perdendo completamente di vista lo scopo di intrattenere il pubblico e, soprattutto, smarrendo la possibilità di una collaborazione proficua tra donne che lavorano nello stesso campo. Due esempi - giostrati dalla messa in scena della serie con la consueta, godibilissima eleganza da sophisticated comedy, il cui fraseggio nella scrittura non ha troppi pari nella serialità odierna - della competizione sotterranea che mina alla base il supporto reciproco tra donne, in fondo riverberato anche nel sempre più complesso legame tra Midge e sua madre Rose; impegnata, anche quest'ultima, nel costruirsi una nuova carriera, si sente ostacolata dal mestiere della figlia, che giudica riprovevole, e in una clamorosa sequenza di ipnosi (tra i momenti migliori della stagione) si ritrova a impersonare Midge, ripetendone passo passo la routine comica nell'imbarazzo di tutti. Un modo surreale per ricordare alle due donne che non sono nemiche, che in fondo lottano per la stessa cosa, e che entrambe hanno diritto a legittimare il proprio ruolo in un ambito professionale.
In definitiva, anche in un'annata a tratti "in minore", rimaneggiata da cima a fondo per far fronte all'emergenza COVID e con qualche conseguente ceduta nell'usuale impeccabile ritmo della serie, La fantastica signora Maisel resta un prodotto capace di intercettare e problematizzare temi che, sotto la confezione irresistibile e la tavolozza perfettamente coordinata, risuonano potentemente attuali. Attendiamo la quinta annata, che sarà ufficialmente l'ultima, per congedarci dal notevole percorso di Midge. ILARIA FEOLE


In questa annata di La fantastica signora Maisel, per la gioia dei fan nostalgici, hanno fatto capolino molte guest star (tra cui, in ruoli gustosissimi, Kelly Bishop e Milo Ventimiglia) provenienti dal precedente grande successo di Amy Sherman-Palladino, Una mamma per amica alias Gilmore Girls. Vi riproponiamo il Serial Graffiti apparso su Film Tv n° 46/2016.

Le ragazze sono tornate
Quando Dean, fidanzatino di Rory, viene iniziato ai rituali serali di casa Gilmore, le ragazze stanno guardando la storica sitcom The Donna Reed Show. Dean, confuso dall’entusiasmo, chiede ingenuamente: «Quindi... è una commedia?». «È uno stile di vita», lo corregge Rory; «È un vero e proprio credo» sintetizza Lorelai. Il dialogo, non a caso usato per promuovere la stagione revival di Una mamma per amica, intitolata Di nuovo insieme e composta da quattro tv movie di un’ora e mezza ciascuno (disponibili su Netflix dal 25 novembre 2016: il cast al completo è tornato, eccezion fatta per il compianto Edward Herrmann; dal trailer intuiamo già che assisteremo al funerale di Richard), si applica perfettamente allo stesso Una mamma per amica, Gilmore Girls in originale. Un universo compatto di citazionismo pop, personaggi adorabili e logorroici, coppie scoppiate e matrimoni mancati, caratteri di contorno eccentrici, ambientazioni americane fino al midollo (la tavola calda, il paesello del New England dove tutti si conoscono, la high school con le gare di dibattito...), talmente compatto da generare un culto in cui i profani non sono ammessi - dove per profano intendiamo chiunque almeno una volta abbia pronunciato la frase «è una serie da femmine» o l’altrettanto inammissibile obiezione «se Rory e Lorelai mangiano cibo spazzatura ogni giorno, com’è che hanno il fisico di due modelle?». Questioni senza senso, perché Amy Sherman-Palladino ha creato non solo l’immaginario paese di Stars Hollow, fondato nel 1779 nel Connecticut, ma un intero mondo diventato oggetto di culto, in patria come in Italia, dove vanta fan agguerriti: chi scrive ricorda la reazione, al limite dell’insurrezione popolare, alla sostituzione della doppiatrice storica di Rory, Myriam Catania, con Federica De Bortoli, per alcuni episodi della sesta stagione (Italia 1 si premurò addirittura di mandare un messaggio in sovrimpressione per confortare i fan che Catania sarebbe tornata). A fare della serie un prodotto unico nel suo genere è soprattutto la scrittura: sette stagioni e 153 episodi di elettrizzante, solidissima screwball comedy, in quantità oggettivamente anomale per una serie tv. I copioni di Una mamma per amica erano infatti più lunghi quasi del 60% di una normale puntata, grazie anche al ritmo mitragliante delle battute recitate da Lauren Graham e Alexis Bledel, che rendevano gli episodi densissimi e così dialogati da far invidia ad Aaron Sorkin. Qualcuno (anche questo definisce un “cult”) si è preso la briga di contare i riferimenti pop, citati o comparsi nella serie: 284 film, 168 serie tv, 359 band, musicisti e canzoni. Stars Hollow sarà anche irreale, ma Lorelai e Rory si nutrivano della stessa cultura di cui si era nutrita la loro creatrice (Sherman-Palladino annovera tra le sue ispirazioni I Jefferson e Buffy) e parlavano (molto, molto velocemente) allo spettatore di cose che conosceva, o era curioso di scoprire. Proprio la fusione esaltante fra il mondo fittizio - fatto di improbabili sagre di primavera, di implausibili quantità di caffeina e di bislacchi personaggi di contorno - e l’universo reale in cui le ragazze Gilmore si muovevano (al termine della settima stagione, Rory partiva per seguire da giornalista la campagna elettorale di Obama), ha fatto la fortuna della serie. Che altro non è se non un doppio romanzo di formazione di cui nessun fan vorrebbe mai leggere la fine: quattro episodi, già lo sappiamo, non basteranno.
ILARIA FEOLE

Il 27 marzo si è svolta la Notte degli Oscar: guastata dall’ingiustificabile intervento violento di Will Smith nei confronti del presentatore Chris Rock, la serata ha visto trionfare I segni del cuore, diretto dalla regista statunitense Sian Hader, mentre la neozelandese Jane Campion è (solo) la terza donna nella storia dell’Oscar a vincere come migliore regista (per Il potere del cane). Una serata storica per le donne dell’industria, che sarà ricordata esclusivamente per la rissa tra due uomini: se ne parla anche qua [in inglese].
La regista ucraina Daria Onyshchenko ha ritirato al Bif&st di Bari il Premio Federico Fellini che il festival ha deciso di conferire ai cineasti del suo paese; l’autrice ha presentato fuori concorso il suo film The Forgotten.
Abbiamo amato il nuovo film Pixar, Red, che pure sta facendo discutere genitori di mezzo mondo sull’opportunità di affrontare in un cartone animato per ragazzi temi come il ciclo mestruale e lo scombussolamento ormonale. Incredibile ma vero. Ne riparleremo, intanto vi suggeriamo il punto di vista del “New York Times” [in inglese].

Ci vediamo tra due settimane, dopo una breve pausa, esattamente il 13 aprile, con Singolare, femminile! Se ci vuoi segnalare qualcosa oppure semplicemente lasciare un messaggio relativo a questa newsletter, puoi scriverci all'indirizzo info@filmtv.press. Ciao e buon anno!
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