Singolare, femminile ♀ #041: La ragazza dei due secoli
Singolare, femminile
lo schermo delle donne
- di Alice Cucchetti e Ilaria Feole -
#041 - La ragazza dei due secoli
Ciao ,
questa è Singolare, femminile, un viaggio settimanale attraverso i film, le serie televisive, le autrici, le attrici che hanno fatto e stanno facendo la storia del cinema e della tv.
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È in tour nelle sale Il mondo a scatti, ultimo film della grande Cecilia Mangini, prima documentarista italiana, fotografa e figura chiave del cinema del reale, scomparsa un anno fa. Ne abbiamo parlato col suo sodale Paolo Pisanelli, co-regista del film.
Se ne è andata poco più di un anno fa Cecilia Mangini, il 21 gennaio 2021. Aveva 93 anni, 70 dei quali passati, fino alla fine, con un obiettivo tra le mani. Fotografa, prima documentarista donna in Italia, animatrice culturale, giornalista e sceneggiatrice, Mangini è stata per il cinema del reale italiano una pioniera, come, nelle parole di Roberto Silvestri, «Maya Deren per l’underground Usa o Agnès Varda per la nouvelle vague», autrice di lavori fondamentali come All’armi, siam fascisti! (co-firmato col marito e collaboratore Lino del Fra) ed Essere donne, la cui valenza politica e antropologica nell’inquadrare il cambiamento e le contraddizioni dell’Italia è ancora oggi attuale e illuminante. In questi giorni è in tour nelle sale italiane il suo ultimo film, uscito postumo, Il mondo a scatti: un vero e proprio (auto)ritratto che parte dalla passione di Mangini per la fotografia, il suo primo approccio con linguaggio delle immagini, per ripercorrere un'intera vita e una carriera che attraversano il XX e il XXI secolo del cinema. Il film sarà a Milano, all'Anteo, oggi mercoledì 2 marzo, per poi , come già Due scatole dimenticate - Un viaggio in Vietnam, è stato co-diretto da Paolo Pisanelli, fotografo, filmmaker e direttore della Festa di cinema del reale del Salento, legato a Mangini da un'amicizia cominciata nei primi anni zero; l'abbiamo incontrato per parlare del loro lavoro insieme e dell'eredità di Cecilia.
A colpirmi di Il mondo a scatti è che, nonostante ci arrivi, giocoforza, come una sorta di testamento di Cecilia Mangini, è un'opera vitalissima e ironica, piena di energia e di invenzioni.
Sì, perché l'idea di un testamento era proprio quello che a me e Cecilia non piaceva, non volevamo realizzare quello. Lei stessa, poi, era solita prendere le sue parole con una certa ironia, non si sentiva mai né di pontificare né di essere una maestra, non le piaceva proprio essere chiamata «maestra». Ed era una ribelle per natura: basti vedere le sequenze girate a Teheran, dove si arrabbia per l’obbligo per le donne di dover indossare il velo, lo mette controvoglia, e non può tacere questo fastidio.
Sentendo parlare Mangini nel film, quando racconta della sua attenzione ai marginali e agli ultimi, mi è venuto in mente che si potrebbe definirla una femminista intersezionale ante litteram.
Cecilia ci teneva a dire che non si identificava come una femminista, perché lei non era per i diritti delle donne ma per i diritti delle persone. Anche il suo Essere donne, che viene sempre ripescato in occasione dell'8 marzo, è un film che le fu commissionato dal Partito comunista e in cui Cecilia lavorava a livello politico sulla rappresentazione della classe operaia, parlando anche dei diritti delle donne. Aveva scelto per il commento sonoro del corto la voce di un uomo, e anche il testo era stato scritto da un giornalista, Felice Chilanti, e per questo fu criticata, ma a lei piacevano quell’autore e quella voce; non si faceva scrupoli né questioni di quote rosa. La sua principale preoccupazione erano, prima di tutto, i diritti di tutte le persone, che fossero ragazzi di vita, ragazzi di borgata, donne, operai, o Maria, la contadina del corto Maria e i giorni. Cecilia si definiva una anarchica anticolonialista, così le piaceva.
Come è nato il vostro sodalizio?
È capitato che Mirko Grasso, storico e critico, mi disse che stava per editare un libro su una regista che «ha fatto un lavoro con Pasolini sul canto funebre a Martano»: stava parlando di Cecilia e del suo corto Stendalì - Suonano ancora. E dal momento che la Festa di cinema del reale, che io dirigo, si svolgeva a non tanti chilometri da Martano, nel Salento, ho pensato di invitarla al festival, ho invitato Goffredo Fofi e ho imbastito una retrospettiva di suoi cortometraggi. Così è nata un'amicizia fortissima, che ci ha portato in giro per il mondo, fino a Montréal e a Teheran, come si vede anche in Il mondo a scatti.
Il film è dedicato a un lato meno noto dell’attività di Mangini, quello di fotografa.
Cecilia è stata tante cose: organizzatrice di eventi culturali, animatrice di circoli FICC, fotografa, giornalista, critica, cineasta, sceneggiatrice. Lei diceva sempre: «ho vissuto tante vite, e certe cose non le ricordo più», e una di queste vite è stata quella di fotografa di strada e di set cinematografici. In Italia è stata tra le prime fotografe di strada, allora erano al massimo in 6 o 7 a scattare per strada. Anche io vengo da quell’esperienza e il suo lavoro mi ha subito appassionato, nel 2016 ho organizzato a Bari una grande mostra antologica con tante sue foto “volanti”, appese a fili di nylon, come si vede nel film. Un’altra mostra, Cecilia Mangini - Visioni e passioni, è visitabile ora a Bari, fino al 7 marzo, al palazzo del consiglio regionale. Come curatore di quelle mostre, cercavo di fare ordine nei suoi reportage ed era una continua scoperta, soprattutto quando sono arrivato a quelle due scatole dimenticate sul Vietnam. Cecilia aveva realizzato un reportage incredibile, era l’unica fotografa donna italiana in quella guerra, e avrebbe voluto realizzare un documentario sul Vietnam ma non fu possibile. La delusione fu tale che il reportage fotografico rimase lì inutilizzato, in qualche modo dimenticato, finché non l’abbiamo riscoperto e da lì sono nati il nostro corto Le Vietnam sera libre e il mediometraggio Due scatole dimenticate - Un viaggio in Vietnam, che hanno girato il mondo. Negli ultimi anni Cecilia, dopo un lungo periodo in cui era stata quasi dimenticata, aveva vissuto una nuova esplosione di notorietà, soprattutto nel mondo francofono. Gli ultimi viaggi che abbiamo fatto insieme sono stati quelli a Rotterdam e a Spilimbergo, ed era una bellezza vederla così felice di viaggiare e incontrare persone.
Che cosa significava per lei essere “la prima documentarista italiana”?
Che doveva sempre faticare il doppio, perché per anni era l’unica donna in quel mestiere: diceva sempre che doveva dimostrare di essere forte come un maschio, se non di più. Ma per lei era una sfida da vincere, col suo caratteraccio di toscana/pugliese, aveva una forza di volontà incredibile e una grande intelligenza. È raro incontrare persone che avessero quel vocabolario, Cecilia con la sua precisione e la sua competenza mi ha proprio “aperto” la testa. In questo senso credo che fosse perfetto il parallelismo tra lei e Deledda, alla quale abbiamo dedicato il mediometraggio Grazia Deledda, la rivoluzionaria; è un titolo che ha voluto Cecilia, nel girare in Sardegna io mi sono dedicato più ai paesaggi, lei invece all’archivio, perché i libri erano una sua grande passione, aveva una biblioteca incredibile.
In Il mondo a scatti c’è un frammento folgorante in cui Mangini dialoga con Agnès Varda: si conoscevano bene?
No, per niente: le ho fatte incontrare io! È successo alla Festa di cinema del reale, qualche anno fa. Varda non conosceva i film di Cecilia, anche a causa della difficile reperibilità di alcuni titoli, né Cecilia sapeva molto del lavoro di documentarista di Agnès, conosceva meglio i suoi film di finzione. Erano due donne eccezionali, abbiamo scherzato e riso nonostante il timore reverenziale che Varda poteva ispirare, in realtà era molto simpatica, ed entrambe erano di una generosità unica. Ho avuto una grande fortuna nel poter fare amicizia con due persone così, e da loro ho assorbito qualcosa, l'amore per le immagini: entrambe erano fotografe poi diventate cineaste, che è stato anche il mio percorso. Anzi, io nel mezzo sono passato pure per le sequenze fotografiche, qualcosa che anche Cecilia Mangini ha frequentato: da giovane ha lavorato molto sulle sequenze per riviste come “Rotosei” e “Cinema nuovo”, le commissionavano dei racconti per immagini, di cui a volte scriveva anche il testo. Diceva che per lei era stata una palestra fondamentale.
Per un lungo periodo però, tra gli anni 80 e 90, Mangini è stata assente dal cinema del reale.
Come raccontava sempre lei, si era arrivati a un punto in cui realizzare documentari in Italia era diventato antieconomico, ma Cecilia non ha mai smesso di lavorare nel cinema: è diventata sceneggiatrice e aiuto regista e soprattutto è sempre rimasta collaboratrice di suo marito Lino del Fra. Erano indissolubili, una coppia fortissima nella vita e nel lavoro, i film li firmava singolarmente l’uno o l’altra, ma in realtà hanno sempre collaborato. Quando è morto Lino, nel 1997, sono stati anni bui per lei.
Il mondo a scatti è anche, in minima parte, un COVID movie, dove si racconta il primo lockdown.
Per Cecilia è stata molto dura, soprattutto perché ha dovuto fermarsi, ed era una donna attivissima. Insieme, l’abbiamo un po' messo in scena questo COVID, io ho registrato le nostre telefonate, a volte senza neanche dirglielo, ma lei sapeva bene di non potersi fidare di me, perché sono un accumulatore di materiale... Quando siamo usciti lei guardava la città e appena si poteva cercavamo di andare a riconquistare un po' di spazio di libertà. Come dice nel film, era «un animale sociale», per lei era fondamentale incontrare le persone. ILARIA FEOLE
Vi riproponiamo il ritratto di Cecilia Mangini firmato da Roberto Silvestri alla scomparsa della leggendaria regista, il 21 gennaio 2021, apparso sul numero 4/2021 di Film Tv.
Cecilia Mangini, la rivoluzionaria
«Nulla è semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze. Quello che conta, soprattutto, è la lucidità critica che distrugge le parole e le convenzioni, e va a fondo nelle cose, dentro la loro segreta e inalienabile verità». Pasolini lo scrive nel 1961 rispondendo a “Vie nuove” a un lettore che gli chiede del fratello Guido, morto da partigiano della brigata Osoppo per mano di partigiani comunisti titini, in disaccordo sui confini tra Italia e Jugoslavia. Ma queste frasi, «distruggere parole e convenzioni», «andare a fondo delle cose», e questa data, che ha il sapore agrodolce del Boom per pochi e dei socialisti al governo, spiegano anche quale è stata l’importanza tagliente e l’idea-forza (della natura) di Cecilia Mangini e della sua generazione maledetta di cineasti non falsari (il suo compagno Lino Del Fra, e Gianfranco Mingozzi, Gian Vittorio Baldi, Ansano Giannarelli, Gianni Amico, Alberto Grifi, Vittorio De Seta, Silvano Agosti, Franco Piavoli. Pasolini si sa come è finito). Porre lo sguardo della cinepresa leggera (e suono in diretta) solo dove non si può e non si deve. L’emarginato (La canta delle marane), l’arcaico (Stendalì - Suonano ancora), il traumatizzato (Brindisi ’65, Tommaso) non fanno spettacolo, fanno Storia. Futuro. Con quali armi? Poesia, antropologia (Ernesto De Martino), sociologia, Gramsci, rabbia per diseguaglianze macroscopiche (Essere donne, visibile su patrimonio.aamod.it e sul canale YouTube dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico)... E una determinazione contagiante, veloce, devastante. Ipnotizzava, Cecilia, occhi loquaci, bocca indomita e alla mano. «Io sono una documentarista perché sono libertaria» spiegava «più libera di chi fa film di finzione, perché il documentario è un genere povero, mantiene una permeabilità alle sorprese della realtà che la finzione, vincolata al denaro, non si può permettere. È lo sguardo che cattura la verità, acchiappa ciò che è unico, disappanna gli sguardi e le menti, è la placenta del cinema vero, la riserva del talento, dell’immaginazione, della fantasia, della tecnica: di tutto quello che fa il cinema». Cecilia Mangini, pugliese di nascita (Mola di Bari), poi fiorentina e romana, la prima documentarista italiana critica del reale, nel 1958 aveva esordito coinvolgendo (telefonicamente, non lo conosceva) proprio Pasolini, per il cortometraggio di borgata Ignoti alla città. Ed è stata vittima esemplare, mai risentita, della paranoia di uno Stato terrorizzato dalle immagini non controllate. La dittatura aveva già cancellato per 20 anni quel che non fosse apologia del vincente. E proprio sulla base dei materiali di repertorio Luce, naturalmente per gran parte “tabù”, Mangini, Del Fra e il testo di Franco Fortini avevano spiegato perché (All’armi siam fascisti!, su Prime Video). Un progetto anti coloniale sulla Libia di Mangini-Del Fra fu proibito per intervento diretto dell’Esercito democratico. Il ventennio Dc, fino alla legge Corona sul cinema, costrinse i documentaristi al corto invisibile o li ricattò con i premi qualità, sorta di censura camuffata. Gli anni 80 e 90 cancellano il documentario dai finanziamenti pubblici. Rondi lo espelle perfino dalla Mostra di Venezia. Non fosse per la Francia che lo re-impone in sede di co-produzioni, non rifiorirebbe. Oggi è linfa vitale del nostro miglior cinema (Marcello, Rosi, Frammartino, Guadagnino, Minervini...). Ovvio che Cecilia Mangini sia diventata il simbolo della resistenza all’iconoclastia di Stato. Davide Barletti e Lorenzo Conte nel 2010 e la concittadina Mariangela Barbanente nel 2013 le dedicano i ritratti Non c’era nessuna signora a quel tavolo e In viaggio con Cecilia. Paolo Pisanelli l’accompagna nel mondo a presentare film e mostre fotografiche. Poi, con Due scatole dimenticate - Un viaggio in Vietnam (2020) riaffiora il suo passato da fotoreporter “vietcong”. Con Pisanelli progettava, in Sardegna, un Grazia Deledda, la rivoluzionaria. Cecilia Mangini, alle scaturigini del “cinema del reale”, è morta il 21 gennaio 2021 a 93 anni, vitale e progettuale fino all’ultimo respiro. Una pioniera, come Elvira Notari per il neorealismo, Lorenza Mazzetti per il free cinema, Maya Deren per l’underground Usa, Agnès Varda per la nouvelle vague.
ROBERTO SILVESTRI
Esce nelle sale italiane il 7 marzo, alla vigIlia della Giornata internazionale della donna, il documentario Be My Voice di Nahid Persson, sull’attivista iraniana Masih Alinejead, divenuta simbolo e portavoce della ribellione delle donne all’hijab forzato.
Altre ribelli su MUBI: l’8 marzo arriva sulla piattaforma In Between - Libere, disobbedienti, innamorate di Maysaloun Hamoud, ritratto corale di tre donne palestinesi di estrazione e cultura differenti alle prese con la ricerca dell’indipendenza.
L’offensiva mossa dalla Russia all’Ucraina mette a repentaglio la vita e i diritti dei civili, acuendo drammaticamente le difficoltà e i rischi per le minoranze. L’attivista georgiana Nino Ugrekhelidze ha stilato su Twitter un elenco di associazioni di orientamento queer e femminista che è possibile sostenere per dare il proprio supporto alla popolazione ucraina.
Ci vediamo la settimana prossima con Singolare, femminile! Se ci vuoi segnalare qualcosa oppure semplicemente lasciare un messaggio relativo a questa newsletter, puoi scriverci all'indirizzo info@filmtv.press. Ciao e buon anno!
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