Singolare, femminile ♀ #038: Ogni volta è così

Singolare, femminile
lo schermo delle donne
- di Alice Cucchetti e Ilaria Feole -
#038 - Ogni volta è così
Ciao ,
questa è Singolare, femminile, un viaggio settimanale attraverso i film, le serie televisive, le autrici, le attrici che hanno fatto e stanno facendo la storia del cinema e della tv.
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Si è concluso un altro Festival di Sanremo: al di là degli ascolti impressionanti e dello scompiglio portato dal FantaSanremo, quanto è stato diverso dalle edizioni passate? Ne abbiamo parlato con Giulia Perona, co-autrice del progetto Senza rossetto e inviata all’Ariston per “Vanity Fair”.

Per più di una settimana lo fanno praticamente tutti, eppure non è semplice parlare del Festival di Sanremo. Anche solo i dati Auditel di quest’anno – numeri che il festival non toccava da quasi trent’anni: la finale è stata seguita da più di 13 milioni di telespettatori, sfiorando il 65% di share – danno l’esagerata misura di un oggetto senza eguali, e sono ancor più impressionanti se si considera quanto sia cambiato il panorama spettatoriale nell’ultimo decennio, in cui gli ascolti della tv lineare sono calati costantemente (anche quelli di mamma Rai1), gli abbonamenti delle piattaforme streaming sono cresciuti vertiginosamente, e ognuno sceglie il prodotto che preferisce, ritagliato dall’algoritmo sui suoi gusti, per guardarlo quando vuole e dove vuole… tranne quando arriva il momento del Festival della canzone italiana, che riunisce (quasi) tutti attorno al vecchio focolare tv.
E Sanremo riesce nell’impresa, ogni anno, di essere contemporaneamente ineludibile e vagamente deludente. Anche solo dal punto di vista tecnico-televisivo, e anche in un’edizione come questa che è apparsa sicuramente più coesa e ben rodata (la finale si è conclusa addirittura all’1.50!), ci stupiscono la scrittura sciatta, i siparietti imbarazzanti, il ritmo altalenante, la difficoltà di costruire una vera idea di spettacolo, nonostante il capitale di mezzi e di talenti a disposizione. Ci chiediamo se non c’entrino davvero le dimensioni pachidermiche di un colosso che, praticamente da solo, tiene in piedi l’intera industria televisiva italiana, e che esiste, allo stesso tempo, per tutti e per nessuno.
Abbiamo pensato di chiacchierarne con Giulia Perona, co-fondatrice insieme a Giulia Cuter del progetto Senza rossetto, appassionata spettatrice di Sanremo e da due anni inviata all’Ariston per “Vanity Fair”: l’ultimo numero della newsletter Senza rossetto – che potete leggere qui – contiene un’interessante intervista sullo stato della presenza femminile nell’industria discografica italiana. «Devo dire che, soprattutto da quest’ultimo punto di vista, non sono molto soddisfatta» ci dice Perona, appena tornata dalla riviera ligure, facendo un bilancio di questa edizione. «Basta anche solo contare: il numero di artiste in gara è stato decisamente minore rispetto ai colleghi uomini. Seguendolo per lavoro, dalla sala stampa, in certi momenti, soprattutto durante la prima serata, ho avuto la sensazione che sul palco si susseguissero solo maschi! Le co-conduttrici, invece, in alcuni momenti mi sono sembrate funzionare meglio che in passato: nessuno ha sentito la mancanza di Fiorello, e non essendoci stati neanche grandi ospiti internazionali, c’era un po’ più di spazio per loro, rispetto al solito; le ultime tre serate, quelle con Drusilla Foer, Maria Chiara Giannetta e Sabrina Ferilli sono andate un po’ meglio, mentre le prime due, con Ornella Muti e soprattutto con Lorena Cesarini – che era indiscutibilmente spaventata dal palco e dall’esperienza -, non sono state probabilmente seguite nel modo giusto dal punto di vista autoriale, le conduttrici non sono state accompagnate in un percorso che riesce a schiacciare anche chi ha una grande carriera alle spalle».
La sensazione, però, è che la direzione di Amadeus sia intrisa di un paternalismo atavico e inscalfibile, che sembra incapace di relazionarsi alle donne sul palco come a proprie pari, che siano cantanti, musiciste, ospiti o, appunto, co-conduttrici. Anche la scelta di affidare a queste ultime, in ogni serata, un singolo “monologo” su un preciso tema demolisce la volontà di mostrarle come artiste e professioniste a tutto tondo per ridurle a sole portatrici di un’istanza sociale. «Sono d’accordissimo, ed è un po’ il meccanismo che Ferilli ha cercato di smontare l’ultima sera» concorda Perona. «È come se, se sei una donna e ti trovi su quel palco, devi trovare anche un modo di giustificarlo, al di là della tua professione. E spesso rischi di prendere scelte sbagliate e pretestuose: come il monologo di Giannetta sulla disabilità, per esempio, che non ha dato voce a chi la disabilità la vive davvero… e, a conti fatti, per quanto riguarda la riuscita della performance di Giannetta, era del tutto innecessario, fino a quel momento si era dimostrata spigliata, preparata, divertente: che senso ha avuto il momento moraleggiante, per giunta su un tema che non la riguarda direttamente?». «Ma c’è qualcosa di rotto nel meccanismo alla base» continua Perona. «Quello per cui si scelgono cinque donne diverse, una per serata: come se una donna da sola non fosse in grado di sostenere il peso e la responsabilità di tutta la kermesse. Spero che l’anno prossimo qualcosa cambi: pare che Amadeus torni comunque, ma spero che abbandoni questa formula e si scelga una o anche più compagne di viaggio, ma per tutta la settimana».

Da un punto di vista delle esibizioni musicali, però, anche se in numero minore, le artiste in gara hanno lasciato quasi tutte il segno, esibendo un ventaglio di personalità molto variegato, e anche stili estremamente diversi, dalla disco militante di La rappresentante di lista all’energia camp di Ditonellapiaga e Rettore, dalla raffinatezza di Elisa (arrivata meritatamente seconda) alla solidarietà femminile portata in scena da Emma e Francesca Michielin (che ha diretto l’orchestra, unica donna quest’anno). «Sì, e quasi tutte con performance di altissimo livello! Ditonellapiaga e Rettore erano le mie preferite, con una carica incredibile e una canzone orecchiabile, e naturalmente Donatella Rettore è un’icona inarrivabile… Anche Emma e Francesca Michielin mi sono piaciute molto, anche se a livello musicale non è proprio il mio stile: potrà sembrare banale mostrare la collaborazione tra due donne, ma è uno stereotipo che ci portiamo dietro, costantemente, quello secondo cui non saremmo in grado di lavorare insieme perché sempre inevitabilmente in competizione. E infatti, mentre Emma e Michielin sul palco venivano giustamente elogiate per la loro manifestazione di sorellanza, fuori scena si accumulavano i gossip sulla presunta rivalità tra Rettore e Ditonellapiaga… non so nemmeno cosa ci sia di vero, ogni volta che mi è capitato in questi giorni di vederle fuori dal palco e di intervistarle sembravano in assoluta armonia… Ma forse lì c’entra anche la volontà, come ogni anno, di trovare il “melodramma” per “movimentare” un po’ la narrazione del festival».
Quest’anno il rapporto del Festival con i social network si è fatto ancora più intenso, esemplificato nell’esplosione del Fantasanremo, un gioco di scommesse online legato ai risultati dei cantanti in gara e a quello che accadeva sul palco: moltissimi artisti, consapevoli della cosa, hanno scelto di assecondarla, per far guadagnare punti ai giocatori a casa («quest’anno a Sanremo, all’Ariston e anche per le strade, si respirava ovunque una gioia palpabile di essere lì» ci racconta Perona. «Come se dopo la pandemia ci fosse voglia di una festa, e la festa fosse proprio il ritorno a Sanremo: ho la sensazione che questa gioia sia dilagata anche oltre la città, passando dai social e dal pubblico a casa, e anche per questo ci sono stati questi ascolti stratosferici e tutto questo coinvolgimento»). Da iniziale carica “sovversiva”, che portava scompiglio in un contesto impomatato, pure il Fantasanremo è stato, nell’arco di sole cinque serate, assorbito in fretta dalla ritualità del Festival. E in un certo senso è esemplificativo della dinamica ripetitiva con cui molti spettatori, soprattutto quelli più giovani e consapevoli, finiscono per seguire la kermesse: con eccitazione e grandi aspettative, perché finalmente si parlerà di temi che sulla tv generalista e davanti al 60% di share non vengono mai trattati; con inevitabile delusione, frustrazione o rabbia, quando puntualmente proprio quei temi vengono trattati con superficialità, incompetenza o anche solo semplice e moraleggiante inefficacia (il caso più lampante, oltre al già citato “monologo sulla disabilità”, è stato probabilmente il momento antirazzista scaraventato con tutto il suo peso di enorme responsabilità sulle spalle emozionatissime di Lorena Cesarini, la prima attrice afrodiscendente a calcare il palco dell’Ariston come co-conduttrice).

«È una vera contraddizione. Stiamo parlando del programma più importante della tv italiana, un pachiderma “pesantissimo”, quasi inamovibile. Ci sono dei piccolissimi passi avanti che, visti da un certo punto di vista, sembrano quasi incredibili, e guardati invece dalla nostra prospettiva più consapevole, più contemporanea, più “leggera”, nel migliore dei casi non sono abbastanza. Poi non è tutto uguale, il monologo di Drusilla Foer per esempio secondo me è stato molto buono: ma è anche vero che è stato fatto da una persona di grande esperienza, abituata a stare davanti a un grande pubblico, e che probabilmente è riuscita a collaborare bene con il comparto autoriale. Dipende anche moltissimo da chi fa e da chi dice cosa, e come. Io tendo comunque a essere ottimista: sarebbe bello svecchiare il festival (e anche farlo finire ben prima dell’1 di notte!), però è meno semplice di quello che sembra, siamo pur sempre su Rai1 e basta pensare a come ha floppato Alessandro Cattelan col suo show in prima serata qualche mese fa per capire che cambiare le cose è complicato».
Come inviata di “Vanity Fair”, Giulia Perona ha guardato Sanremo dalla mitica sala stampa, l’area riservata ai giornalisti che contribuiscono anche con il proprio voto a determinare il vincitore del Festival. «Stare in sala stampa, soprattutto quest’anno che eravamo tutti vaccinati, è stato molto bello, anche perché puoi incontrare delle vere leggende del giornalismo. C’è una divisione gerarchica dei posti: nelle prime file ci sono i quotidiani e le testate più forti, poi, dietro, tutti gli altri. Quando si vota l’eccitazione è palpabile, si cerca di capire che aria tira magari per convergere su alcuni nomi e non disperdere troppo le preferenze… Insomma, c’è una bellissima atmosfera». Anche il giornalismo musicale, però, è ancora contraddistinto da una maggioranza di firme maschili, soprattutto tra i critici. «Sì, è vero, anche se dipende molto dalle testate: “Vanity Fair” è molto femminile anche nella composizione della redazione, ma soprattutto nei quotidiani il divario è ancora evidente. E c’è da dire che il gender gap è aumentato e favorito anche dal precariato sempre più diffuso nel nostro settore: anche le nuovi voci critiche e giornalistiche che emergono fanno fatica a trovare spazio e soprattutto sicurezza lavorativa». ALICE CUCCHETTI


Ci ha lasciate il 2 febbraio la straordinaria Monica Vitti: difficilmente le parole riescono a contenerla, ma sul numero di Film Tv in edicola (con copertina dedicata) trovate un bellissimo testo con filmografia firmato da Emanuela Martini. Su filmtv.it, invece, vi invitiamo a recuperare questo articolo di Matteo Marelli. Qui sotto vi riproponiamo il Corpo a cuore a partire da Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca scritto da Ilaria Feole per il n° 42/2018 di Film Tv.

Dramma della gelosia - Tutti i particolari in cronaca
Adelaide si innamora di Oreste, muratore già sposato. Ma poi conosce il pizzaiolo Nello, e non sa più chi scegliere. Ora lo chiamerebbero femminicidio, quello di Ciafrocchi Adelaide, uccisa dall’«amoroso» Nardi Oreste nel giorno delle sue nozze con Serafini Nello. E quanti sganassoni si becca Monica Vitti, malmenata e ingiuriata con un gusto del politicamente scorretto che ora, al cinema, non azzarderebbe più nessuno. Adelaide incarna, lividi compresi, il carattere grottesco del film di Scola, la cifra in bilico tra melodramma e farsa con cui il regista fotografava senza pietà un’Italia-pattumiera: chi se non Vitti, passata con nonchalance dall’incomunicabilità di Antonioni alla comicità, anche triviale (fu lei l’unica donna a poter ambire al titolo di “quinto colonnello” della commedia all’italiana), poteva essere questa donna divisa in due? Il suo timbro inimitabile, roco e sensuale, contiene in parti uguali risa e lacrime, e un fondo di inquietudine magnetica: una voce ossimorica, come la sua bellezza felina ma buffa. Un paradosso di donna. In bocca a lei tutto pareva credibile, comico e tragico senza che importasse la differenza: poteva dire «Mi fanno male i capelli», poteva rendere passionale e disperata la sbalestrata dichiarazione di Adelaide: «Amo riamata Serafini Nello e lo appartengo». E sapeva raccontare il desiderio solo col volto, con quegli occhi di brace, accendendo di eros perfino il triangolo sbilenco con Mastroianni e Giannini. Un’attrice moderna, spesso più di qualsiasi altra cosa le stesse attorno nel film.
ILARIA FEOLE

Se non lo conoscete, vi invitiamo a scoprire il progetto Senza rossetto, realizzato da Giulia Perona (che abbiamo intervistato in questo numero) e da Giulia Cuter: iniziato, in occasione del 2 giugno 2016 (il 70ennale del primo voto alle donne in Italia), è una conversazione che si propone di smontare gli stereotipi di genere, e si compone di un podcast (che ha ospitato anche racconti inediti di Bianca Pitzorno, Violetta Bellocchio, Elena Stancanelli, Carolina Capria…), di una newsletter (a cadenza bisettimanale) e di un libro (Le ragazze stanno bene, edito da HarperCollins).
Le nomination agli Oscar 2022 (che verranno assegnati il prossimo 27 marzo) fanno segnare anche quest’anno un incredibile (nel senso: è incredibile aver dovuto aspettare fino al 2022 perché accadesse) record femminile: Jane Campion è la prima donna a ricevere, per la seconda volta in carriera, una nomination per la regia, con il suo Il potere del cane (che potete vedere su Netflix, e di cui vi avevamo parlato nel ).
Se c’è una professione cinematografica ancora quasi esclusivamente in mani maschili è la direzione della fotografia. In questo interessante e ricco articolo sul sito della Criterion, pubblicato in occasione della rassegna Female Gaze sulla piattaforma streaming Criterion Channel, cinque direttrici della fotografia raccontano la propria esperienza e la propria visione. [in inglese]

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