Singolare, femminile ♀ #035: No, non si vergogna

Singolare, femminile
lo schermo delle donne
- di Alice Cucchetti e Ilaria Feole -
#035 - No, non si vergogna
Ciao ,
questa è Singolare, femminile, un viaggio settimanale attraverso i film, le serie televisive, le autrici, le attrici che hanno fatto e stanno facendo la storia del cinema e della tv.
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Avrebbe compiuto 100 anni il 17 gennaio Betty White, vera leggenda del piccolo schermo statunitense che si è spenta l'ultimo giorno del 2021. Una pioniera davanti e dietro la macchina da presa, che con ruoli memorabili ha saputo riscrivere le regole per molte donne nel mondo dello spettacolo.

«Betty White compie 100 anni!» titolava a caratteri cubitali, di fianco a una foto sorridente dell'attrice, il numero di "People Magazine" in bella mostra nelle edicole statunitensi il 31 dicembre, il giorno in cui la leggendaria icona dello spettacolo si è spenta, giusto un paio di settimane prima di arrivare davvero al traguardo del secolo tondo. I giornalisti di "People" avranno forse rimpianto amaramente di non aver rispettato certe tradizioni scaramantiche per una diva dall'età ragguardevole, e c'è anche chi li ha accusati di aver portato iella, ma Betty White, ci scommettiamo, avrebbe apprezzato l'ironia della sorte; e a giudicare dall'ondata di celebrazioni che hanno mosso il mondo dello spettacolo lo scorso 17 gennaio - il giorno in cui White avrebbe spento le 100 candeline - forse "People" tutto sommato aveva ragione: Betty non è morta, e la festa per i suoi 100 anni se l'è meritata.
Vera e propria pioniera del piccolo schermo, White si era però fatta le ossa in radio, perché ritenuta «non abbastanza fotogenica» (qualcosa di simile accadde anche a Lucille Ball, come raccontato in Being the Ricardos; le due erano amiche nella vita reale, e condivisero la soddisfazione per aver fatto passi da gigante in un'industria dominata dagli uomini), ma proprio il fatto di essere un tipo femminile non aderente agli standard dell'epoca è stato anche il motore di una carriera da Guinness dei Primati, costruita su ruoli fuori dagli schemi e sulla presa per i fondelli di cliché come quello della casalinga modello.

White è stata, tanto per cominciare, la prima donna a produrre una sitcom: era il 1953 e Life with Elizabeth, show sul quale la trentunenne Betty aveva inedito controllo creativo, metteva in scena la classica coppia americana da villetta con lo steccato bianco, quella che abbiamo imparato a riconoscere da Lucy ed io a WandaVision, ma con White nei panni di una moglie tutt'altro che impeccabile, le cui sortite bizzarre e stralunate portavano regolarmente all'esasperazione del coniuge e al tormentone della serie. Ovvero il momento in cui, di fronte alla frustrazione del marito, in ogni puntata il narratore si rivolgeva alla protagonista: «Elizabeth, ma non ti vergogni?». Frase alla quale Betty White rispondeva fingendo dapprima di annuire, per poi scuotere maliziosamente la testa, sorridendo, per dire che no, non si vergognava affatto. Quella di White è stata una rivoluzione sorridente, che ha usato il suo talento comico e solare - dunque "rassicurante" e non fatale - per riscrivere le regole per le donne nello showbusiness. (Regole che White riscrisse anche nel privato: nel 1949 divorziò dal suo secondo marito, l'impresario Lane Allen, perché lui ambiva a mettere su famiglia, mentre lei voleva dedicarsi alla carriera e non desiderava avere figli).
L'anno dopo, il 1954, nel suo varietà The Betty White Show ottenne di ingaggiare una donna tra i registi della trasmissione e ospitò il celebre ballerino afroamericano di tip tap Arthur Duncan, scelta che, nei razzisti Stati Uniti ancora all'alba della desegregazione, le attirò critiche e polemiche. Alle quali White rispose con una frase che fece la storia: «Mi dispiace, ma lui rimane. Fatevene una ragione». Diede a Duncan ancora più spazio in onda, anche se pagò caro l'aver lacerato l'ipocrisia a stelle strisce del piccolo schermo: molti grandi sponsor si ritirarono dallo show, che infine fu cancellato dalla NBC qualche mese dopo.
Ogni tassello della carriera di White ha infranto barriere più o meno implicite per la cultura statunitense, soprattutto in merito alla rappresentazione del femminile sullo schermo: uno dei suoi personaggi più celebri è stata la memorabile Sue Ann Nivens della sitcom Mary Tyler Moore, star televisiva dalla lingua biforcuta il cui alter ego pubblico è una stucchevole, perfetta casalinga col grembiule, ma che nella vita reale è cinica, divoratrice di uomini e spesso semplicemente perfida (senza di lei, probabilmente, non avremmo avuto la Karen di Will & Grace, per dirne una). Scritta per apparire solo in un paio di episodi, Sue Ann finì per restare presenza fissa nel cast, facendo vincere a White un paio dei suoi otto Emmy messi in fila in carriera.
Di segno totalmente opposto l'altra icona interpretata da White sul piccolo schermo, quella che è rimasta la favorita per diverse generazioni di spettatori, ossia la Rose di Cuori senza età: la sitcom anni 80 su quattro arzille pensionate di Miami (tutte le stagioni sono disponibili su Disney+) la vedeva nei panni della più ingenua e sempliciotta del gruppo, in contrasto coi caratteri più maliziosi e progressisti delle compagne; fu anche, però, uno dei primissimi personaggi mainstream a parlare sugli schermi americani dell'AIDS e della strage che l'epidemia stava causando in quegli anni. Nello stesso periodo, la poliedrica White si affermò come la regina dei quiz televisivi - grazie al successo del gioco Just Men, che le valse il primo Emmy mai ricevuto da una donna per la conduzione di un quiz -, altro settore tradizionalmente riservato agli uomini, non solo negli Stati Uniti.

In una carriera pressoché inesauribile, gli anni 10 sono stati per la novantenne White una vera rinascita: complice uno spot dello Snickers (dove interpretava un giocatore di football stravolto dalla fame) e l'apparizione in Ricatto d'amore nei panni di una nonna dai bollenti spiriti, il pubblico americano si ricordò di colpo del suo talento e White diventò un idolo dei social network, riaccendendo anche per le generazioni più giovani la dimensione leggendaria della sua icona; proprio da Facebook, e da una petizione online arrivata a raccogliere quasi un milione di firme, si è originata la sua partecipazione come conduttrice al Saturday Night Live nel 2010, dove ha duettato senza freni con i comici dello show. Nel suo monologo di apertura ringraziò i fan per l'impegno profuso affermando che fino a quel momento aveva ignorato cosa fosse Facebook e «ora che lo so, mi pare una gran perdita di tempo». Manco a dirlo, vinse un Emmy anche per quell'episodio, e in questi giorni Tina Fey, Bill Hader e molti altri hanno ricordato la sua incrollabile professionalità anche di fronte ai ritmi massacranti del SNL. A 88 anni, White finiva le prove alle quattro del mattino e si ripresentava puntuale alle nove del "giorno dopo", affermando che un hotdog e un Martini in albergo l'avevano rimessa subito in forma.
La sua convinzione che non si fosse mai troppo vecchi per nulla l'ha resa indaffaratissima nell'ultimo decennio della sua formidabile carriera, con ruoli dalle soap (Beautiful!) alle comedy (Hot in Cleveland), innumerevoli camei (Community, 30 Rock, Bones) e uno show interamente dedicato alla superiorità degli anziani sui giovani, la serie di candid camera Betty White's Off their Rocker, dove White e altri interpreti agé si prendono gioco di generazioni più fresche con scherzi in pubblico. Nei panni di adorabile sciroccata, di moglie disastrosa, di donna matura e sessualmente vorace, di spalla, di comica, di villain, di «vecchia, sì, ma ancora sexy», White ha fatto del suo tormentone delle origini un manifesto: no, non si vergognava, mai, di niente. ILARIA FEOLE


All’altra pioniera delle sitcom citata in queste righe, Lucille Ball, è dedicato il biopic ora su Prime Video, Being the Ricardos di Aaron Sorkin, dove la comica statunitense è interpretata dalla diva Nicole Kidman. Vi proponiamo qui la recensione del film, pubblicata su Film Tv n° 01/2022, e vi diamo appuntamento sul prossimo numero di Film Tv, in edicola dal 25 gennaio, per un approfondimento su Ball.

Being the Ricardos
«Di rosso mia moglie ha solo i capelli, e non sono veri nemmeno quelli!» così diceva Desi Arnaz per fugare l’ombra dell’appartenenza della consorte e sodale Lucille Ball al partito comunista: era il 1953 e la notizia, lanciata in radio mentre il maccartismo falciava carriere, pendeva come una spada di Damocle sul destino della coppia più amata d’America. Sorkin, per la sua opera terza da regista, condensa con licenza poetica in una sola, cruciale settimana non soltanto il caos creato dall’accusa di essere sul lato sbagliato della Guerra fredda, ma anche i sospetti di Lucille sull’infedeltà di Desi e la decisione del duo di modellare la nuova stagione di Lucy ed io sulla reale gravidanza di Ball, in un’epoca in cui mostrare in tv una donna incinta era impensabile. Sette giorni, dalla lettura del copione alla registrazione, per realizzare un singolo episodio di Lucy ed io, la serie che scolpì i canoni della sitcom e modificò le abitudini del pubblico statunitense; sette giorni per convincere l’America che Lucille Ball non era comunista (si era iscritta al partito, in gioventù, come tributo al nonno sinistrorso); sette giorni per salvare un matrimonio in crisi. Una struttura a orologeria in cui il Sorkin scrittore sguazza, muovendosi in territori doppiamente congeniali: quelli della serialità televisiva di cui è stato nome fondamentale dagli anni zero, e quelli della meta-serialità, ossia il disvelamento del backstage caotico e straripante di egomaniaci che sta dietro alla creazione di un prodotto di qualità, già esplorato in Studio 60 on the Sunset Strip e in The Newsroom. Parte del fascino di Being the Ricardos sta proprio nella rappresentazione galoppante ed enfatica della lavorazione della sitcom seminale di cui - il film parla chiaro - Ball era vera e propria autrice, con l’ultima parola sui dettagli della messa in scena; Nicole Kidman (nel ruolo che molti volevano di Debra Messing e che per qualche mese è stato di Cate Blanchett) porta in dote l’assertività della sua statura divistica, mettendo subito Lucille (brillante, sarcastica, lungimirante) nel rango degli altri geni sorkiniani un po’ sprezzanti e infallibilmente più avanti del proprio tempo, da Mark Zuckerberg a Steve Jobs. Una donna geniale in uno showbusiness che non era (lo sarà mai?) pronto a riconoscerla come tale, e che Sorkin (sceneggiatore migliore del regista che sta provando a diventare) cesella con intelligenza: determinata e contraddittoria, ambiziosa, scartata dalla RKO perché «troppo vecchia» (a 39 anni...), costretta a sentirsi spiegare che non è il caso di palesare in pubblico il proprio ruolo dominante rispetto al marito, sottoposta allo scrutinio incessante del pubblico (cruciale in questo senso la figura speculare della co-protagonista della sitcom, la “bruttina” Vivian Vance) eppure desiderosa di una normalità e serenità familiare che non poteva vivere se non nella finzione di Lucy ed io. Condannata ad avere l’amore perfetto solo dentro una sitcom, come nella struggente WandaVision, la miniserie Marvel che da Lucille Ball partiva; e il cerchio si chiude.
ILARIA FEOLE

E ancora su Lucille Ball: l’attrice e autrice comica Amy Poehler, da qualche anno anche regista cinematografica, ha debuttato nel documentario con Lucy and Desi, incentrato proprio su Ball e sul consorte e compagno di set Desi Arnaz, che sarà presentato al Sundance Festival 2022, in partenza il 20 gennaio e nuovamente costretto a svolgersi in un’edizione solo online a causa delle restrizioni pandemiche.
Torniamo sul tema del divario di genere nell’industria audiovisiva con la collaborazione tra la 24 ore Business School (Il Sole 24 ore) e WIFTMI - Women in Film Television & Media Italia, associazione no profit che promuove la parità di genere e l’abbattimento dei pregiudizi, che ha presentato una ricerca (in inglese; dati aggiornati al 2018) sulla presenza di donne alla regia di lunghi e cortometraggi.
Per la prima volta è una donna la presidente del Sindacato nazionale critici cinematografici italiani: Cristiana Paternò, vicedirettrice di “8 1/2”, è stata eletta a capo del nuovo direttivo del SNCCI lo scorso 15 gennaio.

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