Singolare, femminile - #023: What women want
Singolare, femminile
lo schermo delle donne
- di Alice Cucchetti e Ilaria Feole -
#023 - What women want
Ciao ,
questa è Singolare, femminile, un viaggio settimanale attraverso i film, le serie televisive, le autrici, le attrici che hanno fatto e stanno facendo la storia del cinema e della tv.
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Un cyborg ultramoderno e programmato per soddisfare ogni desiderio femminile è il protagonista di I'm Your Man di Maria Schrader (in sala dal 14 ottobre) che, tra satira e fantascienza, riflette sui cliché dell'ideale romantico e sulla rappresentazione cinematografica dell'amore.
La luce di una ventina di candele illumina il bagno, dove il pavimento è cosparso di petali e dal bordo della vasca piena di schiuma candida baluginano due calici di vino bianco. «È quello che il 93% delle donne tedesche desidera» afferma, seducente ma assertivo, Thomas, il compagno di Alma, davanti alla palese riluttanza della donna. "Compagno" in prova per tre settimane, al termine delle quali Alma è chiamata a esprimere un giudizio su di lui; perché Thomas, il protagonista di I'm Your Man, in sala dal 14 ottobre, è in realtà un sofisticatissimo robot dall'aspetto umano, programmato per soddisfare ogni esigenza e desiderio della sua partner umana. Il film, presentato in Concorso alla Berlinale 2021, è diretto da Maria Schrader, attrice e autrice tedesca che i fan della serie di spionaggio Deutschland ricorderanno nei panni della coriacea zia Lenora, ma che come regista ha firmato, tra le altre cose, la bella miniserie Unorthodox su Netflix, sulla fuga di una giovane donna dalla comunità ebrea ultra ortodossa di Brooklyn. I'm Your Man, che si muove sul territorio tra fantascienza, mélo e commedia satirica, ha per protagonista una donna apparentemente lontanissima dalla giovane Esty di quella serie: Alma è una donna single autonoma e benestante, affermata e stimata nella sua professione, libera. Proprio la sua autorevolezza, combinata col fatto di essere nubile, fanno sì che venga inserita nel comitato scientifico incaricato di dare un giudizio su quei robot di ultimissima generazione: quelle macchine perfette sono il futuro del "dating", potrebbero presto essere scelte come partner da molti tedeschi, e bisogna decretare se siano pericolose o affidabili, se meritino, per esempio, il diritto di sposarsi.
In modo molto più subdolo e offuscato dal privilegio, tuttavia, anche Alma è parte di un sistema culturale che costantemente incasella le donne, le controlla indirizzandone i bisogni, di esercitare una pressione sociale che ne determina successo o inadeguatezza. Thomas (interpretato con perfetta faccia di bronzo dal britannico Dan Stevens) ne è lo scintillante, vagamente inquietante emblema: nella sua scocca di cyborg, designato per corrispondere al presunto "uomo dei sogni" di Alma, c'è un'intelligenza artificiale in grado di adattarsi automaticamente ai desideri e alle richieste affettive, sessuali e intellettuali della partner, modellandosi su di lei per dare vita alla relazione ideale. Thomas è, in buona sostanza, l'incarnazione dell'algoritmo con cui quotidianamente ci confrontiamo sul web e sulle piattaforme: capisce cosa ti piace, e in base a quello modula la sua offerta. I bisogni, le ambizioni e le necessità di Alma sono quindi teoricamente decifrabili da una macchina progettata su ampia scala commerciale, tecnicamente prevedibili, anticipabili e pronti a essere soddisfatti sulla base dell'elaborazione di "file mentali" di milioni di donne. Ma davvero le sue speranze e i suoi sogni possono essere ricondotti a un algoritmo facilmente calcolabile? La relazione ideale "venduta" da Thomas e dai suoi fabbricatori ha, inizialmente, il sapore sintetico del romanticismo posticcio dei film sentimentali, dei romanzi Harmony, degli spot pubblicitari: petali di rosa e pancake per colazione, poesia spicciola che paragona gli occhi di Alma a splendidi laghi. Alma è vittima di una facile "targettizzazione", ovvero è stata individuata come facente parte di una fetta di società che si presume desideri proprio quelle cose, che sogni proprio un compagno di quel tipo; una standardizzazione del comparto relazionale e affettivo che si autoalimenta e spinge a non sentirsi realizzati se non si ottiene proprio quello che gli altri (apparentemente) già hanno. La storia perfetta. La coppia sorridente e spettinata davanti a un piatto di pancake con frutti di bosco la mattina. Camminare stretti sotto un solo ombrello. Una galleria Instagram di #relationshipgoals che riduce i bisogni fondanti dell'umano a spinte consumistiche. Un sistema vecchio come il capitalismo, che non hanno certo inventato Thomas e la sua fabbrica di cyborg da compagnia, e che è il cuore della macchina pubblicitaria: lo spiegava perfettamente Don Draper nel pilot di Mad Men, che l'amore «non esiste. Quello che chiami amore è stato inventato da gente come me per vendere più calze».
I'm Your Man riflette quindi sull'idea di amore romantico così come si propaga dai media alle aspettative di spettatori/consumatori, creando una serie di caselle che sembra indispensabile spuntare: quando Alma si confida affranta con Thomas, parla di quelle «cose che non hai e ti rendono triste, e che nemmeno sapevi di volere». Intorno a lei, esempi di donna che hanno ottenuto ciò che lei non ha, e che Alma si sente spinta a cercare di ottenere suo malgrado: un'altra ricercatrice firma, tre mesi prima di lei, esattamente lo stesso studio sui caratteri cuneiformi a cui lei lavorava da anni; un'altra donna dà al suo ex compagno il figlio che tempo prima avevano cercato insieme. A rendere I'm Your Man più acuto e interessante di altri prodotti che si muovono nello stesso, sempre un po' ambiguo, solco di smantellamento dell'ideale romantico (ambiguo perché molto spesso finisce per rinforzare inesorabilmente i cliché dapprima derisi), come per esempio l'intelligente commedia Non è romantico?, è proprio l'aspetto "fantascientifico" in chiave filosofica e umanista. Alma cede progressivamente all'idea di avere Thomas al suo fianco, parla con lui, discute e si confronta, rendendosi poi conto, in un momento di crisi, di una verità drammatica: se Thomas è programmato per rispondere alle sue necessità, se è modellato sui suoi schemi mentali, quello che sta facendo è in realtà parlare con se stessa. È sola, ancora più sola in questa epifania. È una rivelazione che mette la narrazione in una luce diversa da tante altre love story umano-robot, e che ci pare più significativa grazie all'inversione dei ruoli di genere applicata in I'm Your Man: nella maggioranza dei casi questo tipo di narrativa è stata applicata al cinema con protagonisti un uomo umano e una donna artificiale, da La fabbrica delle mogli a Lei di Spike Jonze a Ex machina (per citare solo alcuni dei numerosi esempi), con donne costruite su misura per assecondare l'ego del creatore o del consumatore. Lo stesso vale per Alma, che però realizza con un certo orrore che Thomas non è che un'estensione di sé, un prodotto fatto talmente su misura da non lasciare spazio per il conflitto, per la crescita, per il dubbio; un androide che si comporta proprio come gli algoritmi dei social network, confermando tutto quello di cui già siamo convinti e filtrando via da noi le opinioni contrarie o dissonanti.
Cosa vuole, allora, Alma? Vuole ciò che vogliono il 93% delle donne tedesche? E quel 93%, dove avrà preso l'idea di desiderare proprio quella vasca, proprio quell'amore romantico, proprio quelle calze? Quel temibile algoritmo, in fondo, non siamo che noi stessi, siamo noi ad alimentarlo, e in I'm Your Man Alma compie un vero e proprio tentativo di "fuga dall'algoritmo", di rifiuto coatto di tutto ciò che è stato prefabbricato con lo scopo di compiacere il gusto della consumatrice, ma come si fugge da se stessi? Pure se con qualche incertezza narrativa, il film di Maria Schrader compie esattamente questo arco: quello di una protagonista che detesta essere incasellata dalla visione altrui, che arriva a domandarsi se non sia lei a nutrire e assecondare quella visione, a riconoscere il suo sforzo quasi irrazionale di poter essere "normale", e che infine approda là dove tutto è cominciato, ovvero a se stessa, a un ricordo d'infanzia, all'affetto per quel sé bambino che l'algoritmo non ha ancora travolto, alla comprensione e all'accettazione di ciò che inevitabilmente proiettiamo sugli altri. ILARIA FEOLE
Anna Winger è la co-creatrice di Deutschland 83-86-89, serie di cui Maria Schrader è protagonista, e della miniserie Unorthodox, dove Schrader è invece passata dall’altro lato della macchina da presa, firmando la regia di tutti e quattro gli episodi. Vi riproponiamo la recensione dal n° 16/2020.
Unorthodox
Williamsburg, Brooklyn. Qui vive una comunità ebreo-ortodossa originaria dell’Europa dell’est che parla ancora yiddish. La giovane sposa Esty deve sottostare alle regole: una moglie concepisce figli ma per esempio non può studiare musica, la sua passione. Sentendosi soffocare Esty scappa, fugge a Berlino, sulle tracce della madre ribelle. Inseguita dal marito e da suo cugino, una specie di “golem” che risolve problemi. Miniserie targata Netflix interamente realizzata da donne: le produttrici Anna Winger e Alexa Karolinski, alla regia l’attrice Maria Schrader, soggetto di Deborah Feldman dalla sua autobiografia. E infine la protagonista Shira Haas, autentica rivelazione. Le quattro puntate di Unorthodox si ricollegano a un filone di rilettura della narrazione ebraica molto critico nei confronti della cultura ortodossa, con forse meno forza iconoclasta rispetto a film come La sposa promessa di Rama Burshtein o il durissimo M di Yolande Zauberman (su tutt’altro tema) favorendo invece il linguaggio più accessibile della serialità. Di storie simili in contesti differenti se ne sono viste a centinaia, qui l’eccezionalità è data dalla definizione dei personaggi e dalla natura della comunità, apparentemente fuori dal tempo e invece - questo è il problema - irrimediabilmente prigioniera di un tempo preciso che non passa mai. Non ci sono “cattivi”. Neanche Moishe (il “golem”), men che meno il marito, persecutore suo malgrado. Tutti si adeguano a ritualità ancestrali, della cui origine nessuno conserva il ricordo; solo due ragazze di generazioni diverse si ribellano, facendo crollare il castello di carte.
MAURO GERVASINI
[pubblicato su Film Tv n° 16/2020]
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