Singolare, femminile - #010: VIVA 5EVER

Singolare, femminile
lo schermo delle donne
- di Alice Cucchetti e Ilaria Feole -
#010 - VIVA 5EVER
Ciao ,
questa è Singolare, femminile, un viaggio settimanale attraverso i film, le serie televisive, le autrici, le attrici che hanno fatto e stanno facendo la storia del cinema e della tv.
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Wannabe delle Spice Girls festeggia il 25° anno di età con un EP in uscita il 9 luglio, e negli Usa la nuova serie di Tina Fey, Girls5eva, satireggia lo showbiz riflettendo sull’eredità contemporanea del teen pop femminile. Lunga vita al girl power?

Come ha notato qualcuno, il giro di basso è lo stesso di Summer Nights, il celebre brano cantato da Olivia Newton-John e John Travolta in Grease. Quando parte, il ritmo è pressoché impossibile da ignorare, la voglia di muoversi a tempo è incontenibile. Nel video, però, niente gonne a ruota, chiodi in pelle e zuccherosa nostalgia anni 50: ci sono invece un hotel di lusso vagamente decadente, una piccola folla di eleganti ospiti dall’aria imbalsamata, e cinque ragazze rumorose in abiti sgargianti che irrompono cantando, ballando, saltellando e facendo casino.
Compie 25 anni Wannabe, il singolo con cui le Spice Girls debuttarono sulla scena musicale, ribaltandola; e col senno di poi è fin troppo facile leggere nell’incipit di quel video – diretto dal pubblicitario Johan Camitz in un unico pianosequenza – una trasparente precognizione di quel che verrà. Il 9 luglio, tra pochi giorni, le Spice Girls pubblicheranno un EP speciale di Wannabe, molto atteso dai fan anche perché oltre a vari remix dello storico brano ci sarà anche un inedito, una delle loro primissime canzoni, finora mai distribuita, Feed Your Love. Emblema e apoteosi del più puro teen pop anni 90, matrice di un’infinita genia di cloni a venire – che siano gruppi, dalle All Saints alle attuali Little Mix, o stelle solitarie, dalle ovvie Britney e Christina fino ad Ariana Grande – e apripista di un lungo periodo musicale fatto di hit algoritmiche e videoclip “iper plastificati”, si rischia di dimenticare che in quel 1996 l’irruzione sulla scena di Wannabe aveva avuto l’esatto opposto di un effetto omologante, ma anzi aveva scardinato svariate convenzioni in un panorama musicale mainstream quasi esclusivamente maschile che andava dalle vette delle boyband al dilagare del melanconico Brit Pop. Il successo inarrestabile delle Spice Girls si propagò – non a caso – soprattutto via video, perché più che delle canzoni (comunque innegabilmente orecchiabili: l’album d’esordio, Spice, ha una tracklist fatta di sole infallibili hit) era frutto della “personalità” urlata delle popstar, lampante fin dal primo sguardo: non erano cinque cantanti “intercambiabili”, magari inguainate in variazioni dello stesso costume; erano Ginger, Baby, Scary, Sporty e Posh (cioè Geri Halliwell, Emma Bunton, Melanie Brown, Melanie Chisolm e Victoria Adams, poi Beckham), soprannomi da supereroine, stili netti, esagerati e inconfondibili, una squadra pronta all’assalto, un set di personaggi definiti in cui ogni spettatore potesse identificarsi e/o scegliere la preferita.

Il video di Wannabe ha ancora un’innegabile attitudine punk, ed è vero che le Spice Girls sono state, per molti versi, la versione semplificata, levigata, resa commestibile a chiunque (e dunque inevitabilmente annacquata e depotenziata) delle esperienze underground punk rock di riot grrrl come le Bikini Kill, responsabili tra l’altro dell’invenzione del “girl power” (possiamo solo immaginare l’orrore che devono aver provato quella volta che Geri “Ginger Spice” Halliwell definì Margaret Thatcher la prima Spice della Storia). Ma ha un’attitudine punk anche perché – se è vero che le Spice Girls si sono formate grazie all’intuizione di due manager desiderosi di mettere insieme, tramite annunci e audizioni, una versione al femminile delle boyband dei primi anni 90 – il quintetto per sfondare, per farsi prendere sul serio dall’industria, aveva dovuto adottare la stessa tecnica che si vede nel video di Wannabe, o almeno così racconta la leggenda: irrompere forzatamente nelle sedi delle compagnie discografiche, obbligare gli executive ad ascoltare le loro esibizioni a cappella, insistere per conservare alcune personali intuizioni (come, appunto, quella di costruire le proprie maschere pubbliche sui propri caratteri). Abbandonata dopo meno di un anno la coppia di manager che le aveva “create”, le Spice Girls riescono a essere, contemporaneamente, il fenomeno costruito a tavolino e il risultato di un’urgenza genuina e incontenibile, con anche una certa carica anti establishment. Il video di Wannabe è il primo mattone di un destino irrevocabile: diventare il più grande successo commerciale britannico dopo i Beatles, e la band femminile più redditizia di sempre (circa 90 milioni di dischi venduti, più o meno, e un posto perennemente garantito nell’immaginario collettivo lo confermano).
Nel 2019, all’apice dell’onnipresente nostalgia che pervadeva ogni anfratto della pop culture pre pandemia, le Spice si sono riunite per un tour, e con progetti a lungo termine (per ora interrotti, appunto, dal COVID-19). La loro eredità e il concetto di “girl power” sono fenomeni sfuggenti, ambigui, ancora difficili da incasellare: da un lato c’è un femminismo di superficie, fatto di slogan al grado zero, indifferente alle complessità e soprattutto a un vero conflitto, facilmente imparentato con quello che gli anglofoni chiamano “lean in feminism” (dal bestseller della ex CEO di Facebook Sheryl Sandberg: un femminismo privilegiato, basato semplicemente sull’ottenere maggior potere e successo all’interno del sistema, senza sovvertirlo), e l’anticipazione di un periodo musicalmente superficiale e particolarmente difficile per le giovani donne nello showbiz; dall’altro lato restano un’energia incontenibile, un’attitudine sempre sottilmente anarchica evidenziata anche dai costumi camp e kitsch, dalla carica queer, dalle interviste chiassose che quasi sempre finiscono in caciara, da una portata di rottura, da un effetto di empowerment più sincero che innocuo.

Qualche settimana fa negli Stati Uniti è stata distribuita – su Peacock, la piattaforma streaming di NBC: non abbiamo ancora notizia di una messa in onda italiana – la nuova serie prodotta da Tina Fey: s’intitola Girls5eva, è creata da un’allieva di Fey (Meredith Scardino, già nella writers’ room di Unbreakable Kimmy Schmidt) e tra i produttori c’è anche il socio di sempre Robert Carlock. Le protagoniste si chiamano Dawn, Wickie, Summer e Gloria, e circa vent’anni fa, agli albori del nuovo millennio, hanno ottenuto un effimero ma stratosferico successo con la loro girl band, le Girls5eva, appunto. C’era anche una quinta componente, Ashley, che nel frattempo è morta; oggi Dawn (interpretata dalla vera popstar Sara Bareilles) vive tranquilla a Brooklyn con marito e figlio, e lavora nel ristorante di famiglia; Gloria (Paula Pell) è diventata una affermata dentista, dopo aver fatto finalmente coming out, essersi sposata e aver divorziato dalla moglie; la bionda e non troppo sveglia Summer (Busy Phillips in costante overacting) campa di rendita grazie allo status di celebrità minore condiviso con il marito, a sua volta fuoriuscito da una boyband (un sempre meraviglioso Andrew Rannells); e Wickie (Renée Elise Goldsberry, già superba Angelica nel musical Hamilton) finge contro ogni logica di essere ancora sulla cresta dell’onda, vivendo ben al di sopra dei propri mezzi e cercando disperatamente di mantenere un’immagine di successo sui social. Quando un giovanissimo rapper utilizza per caso un campione della loro hit più celebre, Famous 5eva, il quartetto si convince di avere un’altra chance nel mondo della musica, vent’anni dopo la prima volta.
Come già il maggior successo di Fey, 30 Rock, anche Girls5eva è una riuscita satira dello showbusiness in forma di commedia musicale. Dello stile di Tina Fey (che qui si ritaglia un cameo spassoso nel ruolo di... Dolly Parton!) ripropone gli esilaranti personaggi sopra le righe (qui è Goldsberry il tipico personaggio vanesio, narcisista e scollegato dalla realtà che in passato è venuto tanto bene a Jane Krakowski e a Tituss Burgess) e il ritmo elevato delle battute infarcite di citazioni pop. In un periodo in cui sembra finalmente essere in corso, da parte di stampa e addetti ai lavori statunitensi, una sessione di ripensamento collettivo della tremenda celebrity e tabloid culture degli anni zero (con l’eclatante caso di Britney Spears, di nuovo sulle prime pagine in questi giorni, a fare da testa d’ariete), Girls5eva rievoca in modo molto specifico un sottobosco anni zero fatto di manager loschi, tour de force promozionali, contratti capestro, belle speranze sfruttate e spremute all’inverosimile, come anche la sua evoluzione nell’attuale onnipresenza dei reality e talent show (l’approdo al tavolo dei giudici di un talent è considerato ormai un’ancora di salvezza ben più ambita di una canzone di successo; e d’altronde fu proprio il processo di selezione delle Spice Girls a contribuire all’idea dei primi talent in stile Pop Idol). Ma, soprattutto, la serie fa satira anche attraverso la musica, con tante divertenti e acute canzoni originali capaci di svelare tutti gli angoli ciechi della teen pop music: dall’assurdità nonsense di certi testi (a cominciare dall’intraducibile e tremendo gioco di parole del ritornello «we’re gonna be famous 5ever ‘cause 4ever is too short») alla soffocante eteronormatività dell’intero contesto fino al sessismo nemmeno troppo implicito nascosto nei doppi sensi di tutti i brani.
E contemporaneamente il percorso di ricostituzione delle Girls5eva, il loro riappropriarsi di un’immagine costruita per loro da altri, e soprattutto il rifiuto di scomparire nell’invisibilità che il sistema dell’intrattenimento hollywoodiano prevede per le donne over 40 recupera quel resistente filo di empowerment cui anche la lettura più cinica del fenomeno Spice Girls non riesce a rinunciare, zigzagando tra qualche scivolone stucchevole e qualche vetta sinceramente entusiasmante. Almeno la serie, un po’ come le Spice, ha già ottenuto la sua seconda stagione: viva forever, dunque. Anzi, 5ever. ALICE CUCCHETTI

Sul n° 30 del 2015, sei anni fa, provavamo a mappare il nuovo scenario della comicità cine-televisiva statunitense, finalmente sempre più ricca di nomi femminili. A partire proprio da quello di Tina Fey, che nel frattempo è diventato sempre più potente a Hollywood.

Funny Girls
Chissà cosa si dicono ora, se esiste un aldilà, Jerry Lewis e Lucille Ball: il primo ha sostenuto fino alla fine che no, dispiace, ma le donne non fanno ridere; la seconda ha fatto sganasciare, dal 1951 al 1957, milioni di americani (e non) con Lucy ed io, comedy imprescindibile per la tv tutta. È vero, quello di cinema, tv e media it’s a man’s man’s man’s world, come cantava James Brown: provate, per esempio, a stilare una lista di creatori di serie e a infilarci dentro qualche nome femminile. Difficile, soprattutto in campo drama, ma nel macro-format della comedy (sarà perché ritenuta una “sorella minore”? Oppure perché da sempre laboratorio più sperimentale?) da qualche anno suona un’altra musica: non solo interpreti, ma anche autrici, produttrici, showrunner, stand up comedian, star abili nella gestione del profilo pubblico, scrittrici di bestseller e maître à penser, le donne hanno conquistato il piccolo schermo per poi puntare serenamente al grande (da Le amiche della sposa al prossimo Ghostbusters). E fuori dal recinto limitante della rom com: tra le ragazze spopola una comicità corporea, sboccata, diretta e scorretta, qualcuno direbbe volgare. Spesso femminista, sì, ma soprattutto spassosa: perché una buona battuta non ha genere, basta che funzioni.
Tina Fey
«Per far ridere un gruppo di comici basta spingere una vecchia giù dalle scale». Prima donna a essere nominata capo degli autori al Saturday Night Live (dove ha furoreggiato anche con un’irresistibile imitazione di Sarah Palin), autrice del teen cult Mean Girls, ricoperta di Emmy e Golden Globe per la sua serie 30 Rock (ispirata al dietro le quinte del SNL, Tina impersonava la protagonista Liz Lemon, accanto ad Alec Baldwin). L’ultima chicca firmata Fey è l’esilarante comedy Netflix Unbreakable Kimmy Schmidt, ma i fan attendono anche il suo prossimo film da co-protagonista, con Amy Poehler: Le sorelle perfette.
Amy Poehler
«Ho sempre sognato di diventare Amy Poehler da grande»: parola di Amy Poehler medesima, nel suo memoir bestseller Yes Please, e già mantra di miriadi di fan. Cresciuta al leggendario club Second City di Chicago, amica del cuore di Tina Fey e sua collega al Saturday Night Live durante gli anni della rinascita e poi nelle edizioni dei Golden Globe più esilaranti dell’ultimo decennio. Ha scritto e interpretato Parks and Recreation per sei stagioni, ha dato la voce originale a Joy, protagonista di Inside Out, e presto sarà nella miniserie Netflix Wet Hot American Summer: First Day of Camp.
Garfunkel and Oates
«Tipo Glee, ma con battute sconce»: Riki Lindhome e Kate Micucci, in arte Garfunkel and Oates, descrivono così l’unica breve stagione dello show che porta il loro stesso nome. Attrici presenti da anni in tv (non solo in veste comica), sono anche un duo musicale affermato (hanno scritto brani, tra gli altri, per Scrubs e The Big Bang Theory). Cercate le loro esibizioni su YouTube, gioiellini folk di chitarra & ukulele & caustica ironia.
Lena Dunham
«Devo lavorare, e poi ho un impegno per cena, e poi sono occupata a diventare ciò che sono». Fan appassionati e altrettanto determinati detrattori: Girls, serie scritta, diretta, prodotta (con Judd Apatow) e interpretata dalla giovane Lena Dunham non lascia indifferenti. Figlia d’arte (di fotografa e pittore) newyorkese, autrice del film indie Tiny Furniture e del bestseller Non sono quel tipo di ragazza, Dunham racconta i ventenni d’oggi tra risate a denti stretti che frantumano il cuore.
Mindy Kaling
«È il XXsecolo! Le donne hanno figli e lavorano! Cioè: le donne ricche». La sua The Mindy Project (di cui è autrice, interprete e produttrice) è stata la prima sitcom con protagonista una donna di origini indiane. Kaling viene dalla writers room di The Office e il “TIME” l’ha inserita tra le 100 persone più influenti del mondo.
Amy Schumer
«Avere una vagina è un duro lavoro». In Usa è la donna del momento: la sua sketch series Inside Amy Schumer è alla terza stagione di consenso quasi unanime ed è appena approdato nelle sale Un disastro di ragazza, da lei scritto e interpretato, diretto da Judd Apatow. E non c’è tabù, fisico o sociale, che possa fermarla.
Glazer and Jacobson
«Ogni animale di ogni film che abbiamo amato da bambini? Probabilmente ora è morto». Ventenni che cercano la propria strada a New York: la premessa di Broad City sembra la stessa di Girls, ma il risultato è molto diverso, molto meno cupo e più scanzonato. Le protagoniste Ilana Glazer e Abbi Jacobson impersonano due amiche espertissime nell’arte del cazzeggio. E, a giudicare dal successo di critica, sono la next big thing della comedy Usa.
Nahnatchka Khan
Dalla Disney è passata agli script di American Dad, e poi alla sua prima comedy da autrice e showrunner: Non fidarti della str*** dell’interno 23, è durata solo due stagioni, ma ha portato una ventata di freschezza nella tv in chiaro statunitense. Ora Khan è autrice della sua seconda serie personale, Fresh Off the Boat.
Jenji Kohan
Creando e curando Weeds, dal 2005 al 2012, si può dire che abbia precorso i tempi. L’exploit di Orange is the New Black, serie di punta della piattaforma Netflix, ambientata in un carcere femminile e premiatissima, è una lieta conferma. Ora è al lavoro su una miniserie, The Devil You Know, che racconta il processo alle streghe di Salem.
Elizabeth Meriwether
Autrice dello script di Amici, amanti e..., Meriwether (classe 1981) è anche la responsabile del successo di New Girl, comedy con protagonista l’adorabile goffaggine di Zooey Deschanel e Jake Johnson, di cui è creatrice e showrunner. Già drammaturga, fa parte di The Fempire, un gruppo di scrittrici di commedie che comprende anche Diablo Cody (Juno, Young Adult).
[pubblicato su Film Tv n° 49/2014]

È partita il 24 giugno l’ottava edizione di FeelMare, rassegna di cinema itinerante su Apecar, che proseguirà per circa 30 tappe, durante l’estate. Tra i titoli di un ciclo dedicato al Cinema delle donne c’è Miss Marx. Tutto il programma su Facebook. Dall’8 al 18 luglio, la settima edizione del Cagliari Film Festival ha come tema Sguardi e storie di donne.
Dopo essere uscito on demand su Infinity a marzo, è ora in programmazione in alcune sale italiane Il terribile inganno, documentario di Maria Arena su NonUnaDiMeno. L’avevamo recensito sul n° 10/2021.
Ancora una volta, non una segnalazione prettamente serial-cinematografica, ma è arrivato luglio e quest’anno sono 20 anni dal G8 di Genova 2001: vi consigliamo caldamente il podcast Limoni, prodotto da “Internazionale” e creato e condotto da Annalisa Camilli.
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