Singolare, femminile - #006: Una passione semplice
Singolare, femminile
lo schermo delle donne
- di Alice Cucchetti e Ilaria Feole -
#006 - Una passione semplice
Ciao ,
questa è Singolare, femminile, un viaggio settimanale attraverso i film, le serie televisive, le autrici, le attrici che hanno fatto e stanno facendo la storia del cinema e della tv.
***
Il 9 giugno si inaugura il Rendez-Vous - Festival del nuovo cinema francese, con un focus sulle cineaste d’Oltralpe: a breve nelle nostre sale due dei film presentati, Io, lui, lei e l’asino e L’amante russo, che raccontano in modo brillante e inedito l’ossessione amorosa dal punto di vista femminile.
«E mi chiedo se questo amore avrà un domani/Quando sono lontana da lui sento che perdo la testa» (Amoureuse, Veronique Sanson); «Tutto ciò che mi serviva era l'amore che mi davi/Tutto ciò che conoscevo/Eri solo tu» (Only You, Yazoo). Due voci di donna per due canzoni pop che trattano della medesima cosa: l'ossessione amorosa, quella che concentra tutte le fibre dell'essere sul pensiero di un'unica persona, che ottenebra la mente e rende prede di una febbre incontenibile, di un vuoto colmabile solo dall'amato. È la forma tipica dell'amore cinematografico, che quando non si declina nei toni lievi della rom com sul grande schermo assume il più delle volte quelli della passione travolgente; non di rado pronta a debordare dal mélo per sconfinare nei territori del noir e del thriller. La vittima dell'ossessione amorosa si smarrisce, si annichilisce, va in pezzi, perde la testa, e questo vortice al cinema funziona sempre benissimo; ma se si potesse ribaltare il punto di vista? Se l'ossessione divenisse un percorso di esplorazione di sé e, perfino, di arricchimento? È l'idea che accomuna due bei film firmati da registe francesi in arrivo nelle nostre sale con Kitchen Film e in programmazione al Rendez-vous - Festival del nuovo cinema francese, i due film da cui provengono le canzoni che abbiamo citato: sono Io, lui, lei e l'asino di Caroline Vignal (in sala dal 10 giugno) e L'amante russo di Danielle Arbid (in sala dal 17 giugno), due opere molto differenti tra loro ma entrambe incentrate sul viaggio (emotivo ed erotico, ma anche geografico) di donne perdutamente innamorate di uomini sposati e inaccessibili, due film in cui lo sguardo femminile sul tema della passione divorante funge da specchio demistificante e autoironico sul cliché del morire d'amore.
Prima di parlare di questi due film, vi invitiamo ad approfondire l'intero programma di Rendez-vous, che quest'anno dedica un focus alle Donne del cinema francese: il festival si svolge a Roma, al cinema Nuovo Sacher, dal 9 al 13 giugno, e due selezioni speciali saranno anche a Bologna, al cinema Lumière (dal 12 al 15 giugno), e a Torino, al cinema Massimo (dall'11 al 16 giugno), con la direzione artistica di Vanessa Tonnini; tra i film presentati in anteprima c'è anche Mandibules - Due uomini e una mosca (a cui abbiamo dedicato cover e cover story del numero di Film Tv in edicola) e tra le ospiti del focus al femminile c'è la diva Emmanuelle Béart. Donne del cinema francese è una rassegna piccola ma significativa, soprattutto perché testimonia della vitalità e della rilevanza delle cineaste nell'industria audiovisiva d'Oltralpe: un modello virtuoso, secondo il rapporto del CNC - Centre national du cinéma et de l'image animée (risalente al marzo 2021), che evidenzia come i film realizzati o co-realizzati dalle donne nel 2019 siano stati il 26% del totale (contro il 20% del 2010), un aumento dovuto soprattutto al crescente numero di opere prime e seconde. Con 606 film francesi, diretti o co-diretti da donne (usciti in sala tra il 2009 e il 2018), la Francia si colloca davanti ai paesi dell’Europa del Sud e alla Gran Bretagna in quanto a presenza di cineaste; il segno di un'industria più dinamica e capace di offrire più opportunità alle donne dietro la macchina da presa (anche se persiste un gap salariale e, secondo lo stesso rapporto, nel periodo 2010-2019, il budget medio dei film francesi realizzati da donne è stato inferiore di circa 2 milioni di euro rispetto a quello dei film firmati da uomini), dando vita a una nuova generazione di autrici.
Torniamo alle nostre (anti)eroine innamorate: il Rendez-vous si apre il 9 giugno con Io, lui, lei e l'asino, in originale Antoinette dans les Cévennes, commedia che in Francia ha avuto grande successo ed è stata premiata col César 2021 per la migliore protagonista, Laure Calamy. È proprio lei, nell'incipit del film, a eseguire la canzone Amoureuse di Veronique Sanson, un classico francese degli anni 70; un brano passionale su un amore impossibile, che Antoinette/Calamy suona con veemenza alla tastiera, accompagnata dal piccolo coro dei suoi allievi di quinta elementare. La sequenza dichiara subito il registro comico e autoironico del film: messe in bocca ai bimbi, stonati e del tutto inconsapevoli del peso specifico di quella drammatica dichiarazione d'amore, le parole di Amoureuse sono stranianti e buffe, svuotate dell'elemento passionale e di colpo palesate nella loro mancanza di aderenza alla vita reale. Caroline Vignal, che con questo film è tornata al cinema dopo vent'anni passati fra teatro e tv, demistifica la patina autodistruttiva e seduttiva dell'amore melodrammatico applicando un punto di vista che renda visibile il bluff, il cliché, l'automatismo. La protagonista, Antoinette, ha una relazione clandestina col papà di una delle sue piccole allieve; quando l'uomo la lascia sola per andare in vacanza nelle Cevenne insieme a moglie e pargola, Antoinette si concede un momento per sentirsi morire di solitudine, poi parte di corsa per raggiungerlo nella stessa località, all'insaputa della famigliola. Il viaggio sarà rocambolesco ed esilarante, e nonostante il titolo italiano sia affollatissimo, il merito di Vignal è proprio di posizionare saldamente al centro la "malata" d'amore, Antoinette, cui la prova magnifica di Laure Calamy - attrice soprattutto brillante e comica, ma qui con una gamma molto più ampia - regala tutta la complessità e le sfumature di una donna alle prese con la consapevolezza di un desiderio impossibile. Il viaggio di Antoinette si trasforma in una sorta di monologo interiore, quasi una seduta di psicoterapia, dove l'asino Patrick funge da muto interlocutore in grado di metterla davanti a ciò che quell'amore malandato rappresenta per lei, per la sua percezione di sé, del suo corpo, della sua identità di donna. Lui, l'oggetto d'amore, non è che un satellite, personaggio di contorno che non viene realmente approfondito: lo sguardo resta puntato su Antoinette e sul suo inatteso percorso di scoperta di sé.
Qualcosa di molto simile avviene, con modalità diverse, in L'amante russo della franco-libanese Danielle Arbid; anche qui il titolo italiano "tradisce" l'intento mettendo brutalmente al centro lui, l'oggetto dell'ossessione, mentre il titolo originale del film è Passion simple, come l'opera di autofiction di Annie Ernaux da cui è tratto. L'amante, infatti, non è che un corpo, un ideale, un prolungamento carnale dei fantasmi erotici della protagonista, Hélène: Arbid ha scelto di farlo interpretare dal ballerino russo Sergei Polunin, alla sua prima volta in un ruolo d'attore tout court e non danzatore. Un corpo attoriale volutamente poco espressivo, seducente ma quasi privo di anima, la cui pelle istoriata di tatuaggi (uno dei tratti che hanno reso celebre questo enfant terrible del balletto) diventa un involucro ipnotizzante ed eroticamente irresistibile proprio nella sua superficialità e incomprensibilità. La storia di Hélène è quella di un'ossessione che si nutre di fugaci incontri sessuali, filmati da Arbid con naturalezza e senza coreografare l'atto in modo cinematograficamente convenzionale; ma è soprattutto l'aura di questa passione ad aleggiare intorno a Hélène in tutte le altre scene del film. La regista gira con grande precisione sensoriale, lasciando affondare Hélène nel ricordo tattile dell'amante, nell'odore del suo corpo, nel calore che si imprime anche attraverso i vestiti; più che un film sul sesso, L'amante russo è un film sulla persistenza di esso nella memoria, sull'invasione dell'eros nelle altre sfere del quotidiano. Anche in questo caso, l'attrice protagonista è l'elemento chiave per completare il punto di vista dell'autrice: Lætitia Dosch, meravigliosa rivelazione di Montparnasse - Femminile singolare, è un'attrice brillante che sa far trapelare, nell'abisso di desiderio di Hélène, una costante punta di comicità, di grottesco, di consapevolezza dell'assurdità del tutto. Mentre si dimentica appuntamenti e persone, mentre quasi investe il figlio per rispondere a un SMS, mentre si rintana a letto come un'adolescente dal cuore spezzato, Hélène conserva un che di comico, la capacità di ridere o di farci ridere delle potenzialità distruttive di un amore (perché non c'è niente di più ridicolo, quando lo si guarda bene, di un amore tragico); la colonna sonora amplifica questa sensazione, con brani pop che esasperano la differenza tra l'amore cantato e l'amore fatto di orgasmi rubati e telefoni smantellati per la rabbia, e Only You (nella versione "natalizia" a cappella dei Flying Pickets) diventa un ironico carillon in contrasto con la realtà. La prova di Dosch, sfumata e intensa, e la sua fisicità non convenzionale, filmata da Arbid con sguardo complice, trascina per un'ora e mezza dentro la testa di una donna alle prese col senso e con le conseguenze del proprio desiderio, un desiderio che, in luogo di condurla a perdizione e smarrimento, le fa scoprire di sé qualcosa di nuovo; invece di mandarla in pezzi, le mostra altri e inattesi, anche ingombranti pezzi di sé. ILARIA FEOLE
Annie Ernaux è una delle più importanti scrittrici francesi contemporanee, i cui testi di autofiction, incentrati sulla sua personale esperienza e sulla sua famiglia, hanno tracciato ritratti potenti e molto influenti del ruolo della donna e del femminismo attraverso un secolo di storia. In Italia è stato di recente pubblicato il suo testo La donna gelata; qui la recensione pubblicata su Film Tv n° 14/2021.
La voragine della memoria
Annie Ernaux ci ha insegnato che i ricordi in letteratura hanno la forma giustificata e fitta di una breve porzione di testo che scorre. Le sue parole, più che narrarlo, il ricordo lo guardano: da sopra, da sotto, da dentro, fino a che non sanno più da che parte prenderlo ed è allora che, improvvisamente, le parole si bloccano. Noi lettori vediamo il buco: una voragine bianca, la saltiamo con gli occhi, un nuovo ricordo viene in nostro soccorso e la lettura riprende quieta, almeno fino alla prossima voragine. Frequentandola, scopriamo che Ernaux la voragine ce la racconterà in un altro libro, o forse l’ha già raccontata nel precedente. La sua voce, a tratti sprezzante, a tratti rassicurante, non dà mai l’impressione di non sapere dove condurci. In fondo è autobiografia, come potrebbe non sapere dove andare? Ma in La donna gelata (L’orma Editore, pp. 192, € 17, traduzione italiana di Lorenzo Flabbi) c’è qualcosa di diverso. Basta guardarlo il libro, basta sfogliarlo: niente buchi, niente bianco, di voragini non ce n’è. Anzi, il testo - e il tempo - segue una linea più o meno diritta e, a parte qualche salto, la vicenda prosegue limpida dall’inizio alla fine. Almeno fino all’ultima pagina. È qui che Ernaux ha concentrato le voragini. Perché della bambina, poi ragazza, poi donna, poi moglie, poi insegnante, poi madre, alla fine resta solo un volto. Un volto irriconoscibile, la voragine stessa che Ernaux esplorerà per i quarant’anni a venire - e che noi abbiamo alle spalle poiché l’edizione Gallimard è del 1981 - facendo la sua vita a pezzi, alla ricerca di un tempo perduto, riacciuffato e poi perduto di nuovo. In fondo è autobiografia, come potrebbe non sapere come è andata? CAROLINA CRESPI
[pubblicato su Film Tv n° 14/2021]
Il 10 giugno saranno presentate le nomination ai Diversity Media Award 2021, insieme alla ricerca annuale sulla rappresentazione dei temi di genere e identità di genere, età, orientamento sessuale e affettivo, disabilità ed etnia, nei media italiani, condotta da Diversity in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia.
Il Festival di Cannes 2021, in programma dal 6 al 17 luglio, segna quest’anno una presenza record di film diretti o co-diretti da donne, con 18 titoli sui totali 63; il Concorso resta però a schiacciante maggioranza maschile, con solo quattro cineaste in gara. Ne riparleremo.
La retrospettiva di MUBI dedicata ad Angela Schanelec si arricchisce con l’arrivo dell’ultimo titolo firmato dalla regista tedesca nel 2019, I Was at Home But: avevamo parlato del suo cinema del disorientamento sul n° 47/2020.
Ci vediamo la prossima settimana con un nuovo appuntamento di Singolare, femminile! Se ci vuoi segnalare qualcosa oppure semplicemente lasciare un messaggio relativo a questa newsletter, puoi scriverci all'indirizzo info@filmtv.press. Ciao!
Se Singolare, femminile ti è piaciuta, inoltra la mail a qualcuno che possa essere interessato, è facile, ci si iscrive a questo indirizzo. Grazie!