Tra i prodotti più popolari di Netflix, si è appena conclusa, con la pubblicazione degli ultimi episodi, la terza annata di Bridgerton, serie in costume creata da Shonda Rhimes: la nostra guest Marta Corato ci conduce nell’esplorazione di temi, volti e sottotesti della serie.
Bridgerton è, secondo i nebulosi dati di visualizzazione delle piattaforme streaming, la quarta serie più vista su Netflix. È una “historical romance” tratta da una serie di libri dell’autrice Julia Quinn pubblicati tra il 2000 e il 2006; al centro di ogni volume, come replicato nella serie, c’è un diverso fratello o sorella dell’eponima famiglia Bridgerton. Già a scatola chiusa, questa è una serie “speciale”: è il primo prodotto della casa di produzione Shondaland a uscire su Netflix invece che su un canale televisivo tradizionale. Fondata da Shonda Rhimes, una delle più prolifiche e celebrate creatrici e produttrici televisive degli ultimi decenni, Shondaland aveva sfornato titoli come Grey's Anatomy, Scandal, How To Get Away With Murder. Nel 2017 Netflix ha fatto a Rhimes un’offerta che non poteva rifiutare per portare le sue nuove serie (un successo praticamente garantito visti i precedenti) sulla piattaforma.
In inglese, la parola “fluff” viene usata per descrivere “intrattenimento o scrittura percepiti come banali o superficiali”. Bridgerton è essenzialmente considerato fluff e, almeno nell’idea centrale, lo è: è una soap opera in costume, dove lo scopo di ogni stagione è far innamorare e tassativamente convolare a nozze la coppia centrale. Quella di essere robaccia un po’ stupida è una nomea che lega molti dei prodotti di Shonda Rhimes, e in generale viene affibbiata a praticamente tutto quello che viene visto come “da donne”. La letteratura rosa, da cui è appunto tratta la serie di Bridgerton, spesso viene considerata univocamente spazzatura, ignorando la complessità e varietà del genere. Bridgerton è certamente un prodotto di intrattenimento leggero. A ogni modo, la cosa davvero stupida e superficiale sarebbe non tenerlo in considerazione senza prima esaminarne il vasto successo e la capillarità di temi e idee che propone (attenzione: il testo che segue contiene spoiler riguardanti la trama di tutte le stagioni di Bridgerton!).
La serie è ambientata nell’alta società della Londra dell’età della reggenza (1811-1820), conosciuta come “the ton”. I nostri protagonisti sono tutti super-nobili che abbandonano le loro tenute estive e tornano nelle loro case londinesi per “la stagione” (generalmente da gennaio a luglio, in Bridgerton un affare esclusivamente primaverile), ovvero un periodo di balli e feste volti principalmente alla compravendita di mariti e mogli per i rampolli della buona società. Questa è un’epoca che chi ama Jane Austen conosce bene: le differenze di stile e tono tra Bridgerton e le sue opere sono innumerevoli, ma è utile pensare che il contenuto della serie è quello che facevano Darcy e i Bingley di Orgoglio e pregiudizio quando sparivano per mesi “a Londra”. Aiuta anche a distinguere i ricconi della nobiltà dalle famiglie benestanti ma non di rango, come i Bennet, che al massimo avrebbero partecipato ai balli “in campagna” e non avrebbero visto la stagione nemmeno da lontano. La principale differenza tra la bibliografia di Austen e Bridgerton è, naturalmente, il fatto che la seconda è selvaggiamente inaccurata dal punto di vista storico. Anzi: se becca qualcosa di storicamente accurato, è per pura coincidenza. A oggi, ci sono tre stagioni di Bridgerton, l’ultima delle quali si è conclusa la settimana scorsa, e una stagione della serie spinoff La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton (la quale è utile, se non necessaria, per capire alcuni eventi della terza annata della serie principale). La prima stagione segue le avventure della debuttante Daphne, quarta figlia e prima femmina della famiglia Bridgerton; la seconda mette al centro Anthony, primogenito e nuovo Lord Bridgerton; la terza passa a Colin, anche se la vera protagonista è l’eccellente Penelope Featherington.
All’inizio della serie, la “ton” è scossa da una novità: sono i pamphlet di Lady Whistledown, una scrittrice anonima che pubblica e distribuisce i segreti più intimi e il gossip più succoso dell’alta società. Chi è? Chi non è? Tutti, compresa la regina, sono curiosi di saperlo e di evitare il più a lungo possibile di diventare il soggetto dei suoi articoli. Lady Whistledown, con la voce della leggendaria Julie Andrews, è anche la voce narrante di Bridgerton: è l’onnisciente figura che dall’oscurità studia tutta la società. Al di là di quello che ci si può aspettare da una serie historical romance – gli intrighi amorosi, le scene di sesso, le feste danzanti – sin dalla prima stagione Bridgerton si è adoperata per avere elementi ricorrenti che ne sono diventati la cifra. Il primo è l’utilizzo di musica pop moderna rivisitata da un quartetto d’archi, da Taylor Swift a Whitney Houston, da Alanis Morissette a Rihanna. Il pinnacolo di questo è la versione regency di Give Me Everything di Pitbull. Il secondo è l’approccio a dir poco stravagante alla moda della reggenza. I costumi di Bridgerton sono solo vagamente ispirati alle silhouette dell’epoca, e li rivisitano con materiali totalmente moderni: paillette, fiori di plastica, tessuti ricamatissimi. I costumisti di Bridgerton hanno un’ossessione malsana per i corsetti rigidi, che all’epoca non venivano utilizzati. Per chi volesse entrare nel tunnel, alcuni contenuti comprensibili dai profani dell’argomento sono i video di Karolina Żebrowska (e relativi update per la seconda e terza stagione, più un bonus) e Mina Le, che spiegano il bello e il brutto dei costumi della serie.
L’elemento distintivo più importante è il fatto che la serie è ambientata in una società utopica post-razziale, in cui già da decenni Giorgio III ha sposato una donna nera (la regina Carlotta) e ha quindi sdoganato la presenza di persone non bianche nella ton. È una scelta interessante che quello di Bridgerton non sia semplicemente non-traditional casting, ma che sia parte esplicita della trama – addirittura il tema centrale di La regina Carlotta, che esplora l’arrivo della nobile nera Carlotta in un’Inghilterra profondamente segregata. È una scelta ulteriormente notevole nel contesto del tipo di prodotto che è Bridgerton: è un period drama, quasi sempre popolati interamente da persone bianche (o al massimo da persone nere in schiavitù), e un romance, un genere letterario storicamente molto caucasico, nonostante le cose stiano per fortuna cambiando rapidamente negli ultimi anni. Naturalmente, questo non potrebbe essere più lontano dalla realtà del Regno Unito, un paese che vive ancora dell’eredità dell’imperialismo ed è profondamente razzista. Un matrimonio tra una persona bianca e una persona nera non è certo sufficiente a “risolvere” il razzismo e l’inegualità, neanche se quelle persone sono il re e la regina: basti pensare alle conseguenze del matrimonio tra il principe Harry e Meghan Markle, nel 2018, non nel 1818. Mentre questa scelta riesce nel portare dell’apprezzata diversità sullo schermo, non è certo un concetto eseguito perfettamente: gli “eroi” della storia, i protagonisti, sono sempre bianchi. Le persone di colore, dal duca Simon alle sorelle Sharma, sono sempre comprimari. Sono anche gli unici che parlano di razza (specialmente Lady Danbury, che infatti ritroviamo giovane nel mondo segregato di La regina Carlotta) mentre i bianchi scorrazzano felici e ignari.
La serie di libri di Bridgerton è strettamente legata a storie d’amore eterosessuali; fino a poche settimane fa, l’unica storia d’amore gay era in La regina Carlotta, ed era la storia proibita tra i due valletti del re e della regina, Brimsley e Reynolds. Negli anni passati, la serie era stata piuttosto criticata per i ripetuti episodi di queerbaiting, la strategia con cui, per accattivare il pubblico, si accenna alla possibilità di rappresentazione di relazioni queer senza mai realmente approcciarle. Questo potrebbe non essere il caso in futuro, non solo perché nella terza stagione Benedict Bridgerton è finalmente parte di una throuple (una relazione poliamorosa che coinvolge tre persone) bisessuale dopo varie false partenze nelle scorse stagioni, ma anche perché l’autrice Julia Quinn ha dato il suo placet al modernizzare e inserire storyline queer. Se Bridgerton cerca di “aggiornare” la storia dal punto di vista delle politiche razziali e forse si sta allontanando anche dall’eterosessualità obbligatoria, rimane profondamente ancorato alle politiche di genere dell’era in cui è ambientato.
Nonostante non manchino i protagonisti maschili, la loro posizione di potere è intatta: da loro dipendono denaro, titoli, decisioni. Salvo rare eccezioni, le donne, per quanto possano avere potere, sono sempre alla loro mercé: si pensi a Lady Bridgerton, matriarca della famiglia, assoggettata alle decisioni di suo figlio. Le ragazze – un termine non usato a caso, visto che le debuttanti avevano in genere 17 o 18 anni – sono le protagoniste della storia e, mentre chi guarda ha il privilegio di conoscere i loro pensieri e desideri più intimi, anche nella realtà della serie sono oggetti da presentare alla regina per il marchio di approvazione e poi vendere al migliore acquirente. Torniamo ancora una volta a Jane Austen: in un famoso passaggio di Orgoglio e pregiudizio, Darcy elenca le caratteristiche di una donna compiuta.
Una donna deve avere una conoscenza approfondita della musica, del canto, del disegno, della danza, di tutte le lingue moderne, per meritare di essere definita tale; e oltre a tutto questo, deve possedere un certo non so che nell'aria e nel modo di camminare, nel tono della voce, nel modo di parlare e nelle espressioni, altrimenti la parola sarà meritata solo a metà. […] e a tutto ciò deve aggiungere ancora qualcosa di più sostanziale, nel miglioramento della sua mente attraverso abbondanti letture.
È con queste premesse che nei primi minuti della prima stagione incontriamo le debuttanti, in particolare la mite Daphne Bridgerton (Phoebe Dynevor): agghindata per le feste, viene portata al cospetto della regina Carlotta per sancire il suo debutto in società, e stabilire allo stesso tempo il suo valore sul mercato matrimoniale. Daphne viene immediatamente inquadrata come il diamante della stagione, cioè la fanciulla più pregevole in termini di grazia, bellezza e “compiutezza”. È l’introduzione perfetta al mondo di Bridgerton: vuole giocare secondo le regole e “vincere” un marito, senza rinunciare a trovare la felicità. Grazie a lei, chi non è familiare con la reggenza impara come funziona la stagione, il corteggiamento, e quale è il ruolo della donna in questa società.
La sua controparte è senza dubbio Marina Thompson (Ruby Barker), la distante cugina dei Featherington che nella prima stagione viene mandata a Londra a trovare marito. L’incantevole Marina attrae molti pretendenti e in particolare fa innamorare di sé Colin Bridgerton. La sua trama è un esempio perfetto di come la modernità di Bridgerton sia spesso annullata da una bussola morale totalmente tradizionale: Marina è incinta di un altro uomo, quindi per forza di cose, nonostante la serie le mostri della compassione, è una svergognata che sta cercando di rovinare la vita di un giovane uomo innocente. Marina ha certamente i suoi guizzi di crudeltà, nel tramare per uscire dalla sua posizione scandalosa: di certo non si merita però di essere dipinta come una creatura maligna, come invece succede. Per fortuna, alla fine la sua “cattiveria” non viene punita: riesce comunque ad avere il suo lieto fine.
Non si può dire lo stesso della spettacolare e orribile Cressida Cowper (Jessica Madsen). Per le prime due stagioni, Cressida è semplicemente una stronza; è la debuttante più meschina, quella che semina pettegolezzi e cattiverie a piè sospinto, che boicotta attivamente le altre ragazze. È solo nella terza stagione che scopriamo che viene da una famiglia incredibilmente oppressiva con un padre terrificante, e che in fondo soffre del fatto di non essere mai stata in grado di fare amicizia. Purtroppo, neanche una breve finestra sulla sua umanità può aiutarla; i suoi tentativi di essere “buona” sono timidi e fallimentari, le sue scelte tornano in fretta a essere crudeli, e per questo alla fine non riesce a salvarsi dal destino infame di essere spedita a venire “rieducata” dalla zia in Galles.
La terza stagione ci porta anche al debutto in società dell’adorabile Francesca Bridgerton (Hannah Dodd, nelle prime due stagioni Ruby Stokes), la terza figlia femmina della famiglia Bridgerton. Questa non è la sua stagione: l’adattamento del suo libro verrà più avanti. Ad ogni modo, assistiamo non solo al suo debutto in società, ma anche al suo corteggiamento e infine matrimonio con Lord Kilmartin. Quello a cui assistiamo è anche un tentativo un po’ bizzarro di non codificare ufficialmente Francesca come neurodivergente – ma forse come timida? Taciturna? Semplicemente strana? – mentre viene presentata come tale.
Tornando indietro di una stagione, tanto televisiva quanto matrimoniale, Kate ed Edwina Sharma (Simone Ashley e Charithra Chandran), nella società post-razziale di Bridgerton, sono le prime vere outsider: sono arrivate a Londra per la prima volta dopo essere cresciute a Bombay. Mentre, come Daphne, la squisita Edwina vuole essere completamente assimilata alla società, Kate non ha alcuna intenzione di stare alle regole: vuole diventare la zia zitella, continuare ad avere una vita indipendente, girare a cavallo e non rendere conto a nessun uomo. A differenza della ribellione adolescenziale di Eloise, questa è la posizione di una donna adulta: Kate ha 26 anni. Sappiamo che non sarà così – Kate finirà per sposare Anthony Bridgerton – ma è interessante vedere l’alta società dal suo punto di vista, almeno per un po’.
Le altre sorelle che è impossibile dimenticare sono le orribili Prudence e Philippa Featherington (Bessie Carter e Harriet Cains); le due funzionano spesso come comic relief, vestite (di proposito) in maniere assolutamente improbabili, ma non mancano di essere oggettivamente perfide, specialmente verso la terza sorella Featherington, Penelope. Penelope Featherington (Nicola Coughlan) ed Eloise Bridgerton (Claudia Jessie) sono le protagoniste per eccellenza della serie. Mentre gli altri personaggi entrano ed escono di scena, acquistano e perdono importanza, Eloise e Penelope rimangono sempre al centro della narrazione di Bridgerton: le sorti degli altri spesso dipendono da loro e l’unica trama davvero trasversale, il fil rouge della serie, è il loro rapporto e tutto ciò che lo rinforza o minaccia.
Le due sono amiche per la pelle da sempre: condividono il disinteresse per il mercato matrimoniale e la passione per la lettura. Mentre a Eloise viene permesso di godersi ancora un po’ l’infanzia, Penelope viene costretta a debuttare in società con le sue sorelle all’inizio della prima stagione. Penelope ha un grosso segreto, che verrà rivelato a chi guarda alla fine della prima stagione, a Eloise nella seconda stagione, e a tutta la “ton” alla fine della terza: è proprio lei Lady Whistledown, la misteriosa autrice di pamphlet di gossip che diventano l’ossessione e la delizia dell’alta società londinese. Il fatto di essere “brutta” e indesiderabile permette a Penelope di fare da tappezzeria e di ascoltare inosservata i segreti scambiati tra altri nobili, ma anche tra i membri della loro servitù. Gode di questo per diverso tempo: non si vuole sposare e preferisce nascondersi che venire schernita insieme alla sua ridicola famiglia. È il suo modo, in un mondo che la ingabbia, di trovare la propria libertà ed esprimere se stessa.
Eloise è sia la sua migliore amica sia la sua più acerrima nemica: nel corso delle prime due stagioni, il suo unico obiettivo nella vita diventa scoprire l’identità di Lady Whistledown, sotto ordine della regina. Eloise è, anche se in maniera a volte problematica, il personaggio di Bridgerton che si avvicina più dichiaratamente all’idea moderna di femminismo. Sin dalla prima stagione, si oppone fermamente a sposarsi; vuole andare all’università e studiare. Vuole testualmente «qualcosa di diverso». Nel suo tentativo di scoprire l’identità di Lady Whistledown, forma un rapporto con lo stampatore Theo Sharpe (Calam Lynch). Eloise, da una posizione di privilegio, si considera una pari di Theo, non rendendosi conto che quando lei torna alla sua vita dorata, lui continua a essere un uomo di una classe inferiore. Non sembra recepire il messaggio quando lui le fa notare che l’ha solo usato per «sentirsi meglio riguardo ai vantaggi immeritati che ha dalla nascita». Nell’ultima puntata della seconda stagione, finalmente Eloise si rende conto che la sua migliore amica è Lady Whistledown ascoltandola spettegolare durante un ballo; questo incrina la loro amicizia in maniera apparentemente irreparabile, tanto che, mentre nella terza stagione la relazione romantica è quella tra Penelope e Colin, quella con più tensione e sofferenza è sicuramente quella tra Penelope e Eloise, che si mancano da morire e non fanno altro che pensare l’una alla felicità e benessere dell’altra.
Mentre nella generazione del mercato nuziale non mancano i protagonisti maschili (in particolare i fratelli Bridgerton), in quella precedente le protagoniste sono quasi esclusivamente le donne. Lady Violet Bridgerton, madre di tutti i figli di cui sopra, è rimasta recentemente vedova. Lo è anche, ma da praticamente tutta la vita, Lady Agatha Danbury, il fulcro nonché la matchmaker #1 dell’alta società. Lo diventa nel corso della serie anche la “cattiva” Lady Featherington. La regina Carlotta ha un marito notoriamente (e storicamente, per una volta) pazzo, quindi essenzialmente regna da sola. Fino a un certo punto, il loro ruolo è solo quello di tenere figure materne o spietate matrigne: incoraggiare i figli a trovare il vero amore, o spronarli a darsi una mossa e uscire di casa. È decisamente un pregio di Bridgerton riuscire a trovare un modo di far diventare queste donne più di vetuste manovratrici: gradualmente, cominciano ad avere personalità, desideri, rimpianti totalmente indipendenti dai loro figli.
Bridgerton si concentra sugli strati più alti della società britannica. Questo lo differenzia da altre serie in costume molto popolari, come Downton Abbey o Su e giù per le scale, dove anche la servitù era protagonista. Neanche i ricchi di Bridgerton però esistono in un vuoto: attorno a loro trottolano decine di cameriere, servitori e maggiordomi senza nome. Nelle rare volte che escono dalla loro bolla, incontrano persone comuni, persone che devono lavorare per vivere. C’è Theo Sharpe, ma anche Siena Rosso (Sabrina Bartlett), la cantante d’opera che veniva mantenuta da Anthony Bridgerton e che si trova su una strada quando lui decide di scaricarla. Ci sono Rose, la cameriera e confidente di Daphne, ma anche Coral, la servitrice di Agatha Danbury da giovane. Entrambe sono personaggi marginali, di cui non sappiamo nulla, che hanno però un ruolo assolutamente essenziale nella vita delle loro datrici di lavoro.
Assolutamente cruciale è anche Mrs Varley (Lorraine Ashbourne), la governante e tuttofare di casa Featherington; sia nelle sue malefatte sia nei suoi momenti di bontà, rimane una delle pochissime persone “povere” di cui viene mostrato almeno un briciolo di interiorità. Uno di questi rari casi è la modista di tutta l’alta società, Madame Genevieve Delacroix (Kathryn Drysdale) che, a dispetto del nome, fa solo finta di essere francese per essere più attraente ai suoi clienti. Madame Delacroix è a lungo l’unica a conoscere e proteggere l’identità segreta di Penelope; è anche una delle amanti di Benedict Bridgerton, e un’amica di Siena. Nelle sue varie vesti, abbiamo modo di conoscerla più di qualsiasi altro personaggio non nobile.
È un peccato che alla storia interessantissima di Alice Mondrich (Emma Naomi) venga dato pochissimo respiro e che, in qualche modo, le sue scene siano sempre un’interruzione di qualcosa di più succoso. Alice e la sua famiglia sono gli unici finora a vedere entrambi i lati della società: per le prime due stagioni sono persone che lavorano, e aprono addirittura un club per gentiluomini a Mayfair. In circostanze fortuite, nella terza annata il loro primogenito riceve un titolo nobiliare, trasformando completamente la loro vita. Alice è una persona normale, il cui marito era un pugile, che deve imparare a comportarsi da lady e a gestire le aspettative e i capricci della società.
Per ora, l’interesse verso Bridgerton e il suo universo esteso è altissimo; se continuasse a essere un prodotto popolare e rispettasse la serie originale, mancherebbero almeno altre cinque stagioni (Benedict, Eloise, Francesca, Gregory e Hyacinth Bridgerton – sì, i loro nomi vanno in ordine alfabetico), più vari libri e cicli di romanzi secondari. Se c’è una cosa che gli showrunner e creatori di questa serie hanno dimostrato, è di saper imparare dai propri pasticci e correggere il tiro; sarà interessante vedere se e come la serie continuerà a evolversi nei prossimi anni, in particolare se si riuscirà a estendere effettivamente lo sguardo oltre i confini dei super-ricchi, visto che i personaggi giusti per farlo ci sono già. MARTA CORATO
La recensione della terza annata di Bridgerton sarà su Film Tv n. 27, in edicola dal 2 luglio; nel frattempo, vi riproponiamo la recensione della prima stagione, dal n. 52/2020.
Bridgerton
Shonda Rhimes è - almeno dal 2005, dall’inizio dell’imperituro successo di Grey’s Anatomy - la regina della prima serata generalista Usa; è più che mai ovvio, dunque, che sia stata cooptata dal progressivo processo di “generalistizzazione” di Netflix, con un accordo milionario. Meno ovvio, forse, è questo suo primo progetto per la piattaforma, all’apparenza lontano, nel tempo, nello spazio e nello stile, dalle sue consuete eroine americanissime e contemporanee, professionalmente toste ma sentimentalmente tormentate. Bridgerton, creata da Chris Van Dusen (pupillo di Rhimes fin dalle prime stagioni di Grey’s e tra i coordinatori di Scandal), è ambientata nella Londra dell’era Regency (i primi anni dell’Ottocento), e coerentemente sembra adagiarsi su trame austeniane: la giovane Daphne Bridgerton - prima rampolla di una famiglia bene, con madre vedova e ben sette tra fratelli e sorelle - fa il suo ingresso in società e comincia le competitive manovre per la caccia al marito. Durante le quali stringe un patto segreto con l’odiato (e affascinante) duca Simon Basset, ambito e impenitente scapolo: si fingeranno innamorati e, come inevitabilmente accade, s’innamoreranno davvero. Ma Bridgerton non è tratto da Jane Austen, bensì da una fortunata (all’estero: in Italia arriva solo ora, sulla scorta della serie) saga letteraria, pubblicata da Julia Quinn nel primo decennio del nuovo millennio, appartenente a un sottofilone preciso e codificato, quello appunto del romance (il tanto bistrattato “romanzo rosa”) stretto tra i corsetti e gli intrighi matrimoniali del primo Ottocento. Qualcosa che chiameremmo “guilty pleasure” se la definizione non fosse ormai obsoleta, e che proprio per questo si scopre più che mai “rhimesiano” (del resto non è neppure la sua prima incursione nel costume drama, anche se le precedenti, Gilded Lilys e Still Star-Crossed, hanno avuto vita breve): la produttrice sposa la propria sensibilità per l’intrattenimento puro - il ritmo incalzante, le trame che danno assuefazione, il gusto per un ironico sensazionalismo - con le opportunità dello streaming; cioè un budget stellare, perfetto per indulgere in un’opulenta fantasia di colori pastello, pizzi, sete e cascate di fiori, gioielli e candelabri scintillanti, giardini curatissimi, parchi rigogliosi e labirinti, e una grande quantità di feste sontuose, almeno una a episodio. Ma anche, soprattutto, l’eliminazione di ogni censura, che consente di portare alla luce quello che in questo tipo di vicende è un sottotesto sempre presente, ma mai esplicitato: il sesso. Bridgerton è così soprattutto l’educazione erotica della giovane Daphne, con conseguenze inaspettatamente politiche: è anche nella totale asimmetria dell’esplorazione del desiderio e della conoscenza del corpo che si svela l’immenso squilibrio di potere tra uomini e donne, in un mondo tanto ossessionato da apparenza e reputazione. I voluti anacronismi - dalle scelte di casting alle cover al violino di successi pop - sono solo altre sfumature dello spirito profondamente contemporaneo di questa travolgente fantasticheria. ALICE CUCCHETTI
A proposito di serie in costume sulla società britannica tratte da saghe letterarie: su Raiplay sono arrivati da pochi giorni nuovi episodi dello show BBC Malory Towers, teen drama (ispirato ai romanzi per ragazzi di Enid Blyton) ambientato in un collegio inglese degli anni 40.
Per conoscere meglio la talentuosa protagonista della stagione 3 di Bridgerton, l’irlandese Nicola Coughlan, vi consigliamo questa densa intervista su IndieWire [in inglese]
Arriva il 21 giugno su MUBI l’ultimo film della grande regista francese Catherine Breillat, Ancora un’estate - Last Summer, ritratto al femminile provocatorio e acuto; ne avevamo parlato sul n. 96 della newsletter.
La madre nobile di Bridgerton non è Austen ma Georgette Heyer, la regina del regency. Consiglio Sophy la grande e Frederica: c'è una mongolfiera anche lì, che però viene usata per far avanzare la trama. In Bridgerton si parla molto ma il ritmo latita