Il prossimo weekend โ dal 22 al 24 settembre โ si svolge a Bologna lโedizione n. 15 del Some Prefer Cake. Per lโoccasione, ospitiamo a Singolare, femminile la critica e giornalista Federica Fabbiani, che del festival รจ programmer: ci regala unโappassionante panoramica sulla storia del cinema lesbico, e ci anticipa alcuni titoli da non perdere alla rassegna bolognese.
Mancano ormai pochi giorni alla 15ยช edizione di Some Prefer Cake, il festival internazionale di cinema lesbico che si tiene ogni anno al Nuovo Cinema Nosadella di Bologna. Dal 22 al 24 settembre un appuntamento imperdibile per una full immersion di visioni lesbiche declinate in molti modi: cinema, performance, arte, musica e libri. ร una vera e propria esperienza sensoriale, il che molto racconta dellโimportanza degli spazi fisici, beni comuni in costante erosione, e della necessitร di sentirsi โcomunitร โ. Perchรฉ questo รจ il vero senso di Some Prefer Cake: rendere vivo e pulsante uno spazio-tempo politico ed affettivo di incontro per lesbiche e per persone LGBTQ+ tutte. Ed รจ proprio โcomunitร โ la parola chiave che mi/ci condurrร in questo breve excursus della rappresentazione lesbica sugli schermi.
ร diventato molto difficile oggi parlare di rappresentazione lesbica, includendo in questa panoramica tutti i prodotti audiovisivi che passano sui vari schermi. Non solo cinema, ma anche serie tv/web. ร indubbio che ci siano state notevoli trasformazioni nellโinclusione del lesbismo nei vari contesti sociali e culturali, e molto ci siamo allontanate dalle etichette associate alle politiche identitarie dei movimenti di liberazione omosessuale degli anni 70 e 80. Senza contare che piรน recentemente le nozioni fluide e anti-normative della sessualitร queer hanno progressivamente sostituito quelle stesse categorie identitarie, soprattutto quella lesbica. Come osserva Clara Bradbury-Rance nel libro Lesbian Cinema After Queer Theory, per orientarsi meglio รจ necessario partire da tre considerazioni interconnesse: ยซIn primo luogo, che il lesbismo รจ piรน visibile sullo schermo oggi di quanto non lo sia mai stato; in secondo luogo, che nonostante questo, la discussione sulla presenza delle lesbiche sullo schermo รจ inficiata da confronti con vecchi modelli di rappresentazione; in terzo luogo, che la teoria queer ha acceso con forza la discussione sulla sessualitร negli ultimi tre decenni, ma ha contemporaneamente diminuito la rilevanza percepita del lesbismo come presenza politicaยป.
In sintesi le lesbiche sono decisamente molto visibili, ma rischiano di costituire rappresentazioni datate e di scarso peso politico. ร davvero cosรฌ? Qualche anno fa in un libro sul cinema lesbico (Sguardi che contano, Iacobelli editore) concludevo che: ยซDopo anni di visioni lesbiche, oggi (mi) rimane solo una domanda: il soggetto lesbica, al cinema, รจ ancora una soggettivitร politica?ยป. Una domanda che ancora considero legittima in considerazione di una rappresentazione spesso obsoleta, bloccata nel passato, avvinghiata al cappio del lieto fine.
Quanto piรน la lesbica รจ diventata visibile, tanto piรน รจ stata data (politicamente) per morta.
E no, non รจ sempre e solo cosรฌ. Si puรฒ decisamente raccontare anche unโaltra storia di vita, di lotta e di resistenza, che consenta di tracciare un percorso che leghi le rappresentazioni del passato, quelle per intenderci in cui servivano veri e propri codici di decodifica per individuare la personaggia lesbica, ad alcuni prodotti audiovisivi di questi anni 20 del Duemila. Una storia che bypassa lo storytelling molto mainstream della storia dโamore tra donne, universale, che sia chiaro, e mai connotata da radicalitร politica, che pure รจ servito in un certo periodo storico a sollevare il morale di chi, osservando impietrita lo schermo, si sentiva scivolare nel baratro del pozzo di solitudine. Oltre lโeccezionalitร della singola che sfida norme e restrizioni dellโorizzonte patriarcale, per realizzare il sogno dโamore, unico, fusionale e indissolubile, che ben sappiamo da Lea Melandri quanto e come possa essere tossico. Anche quando รจ declinato unicamente al femminile. Unโaltra storia che racconti, oltre la coppia, la comunitร . Sono dโaccordo con Cรฉline Sciamma quando afferma che ยซquello che ci raccontano, che รจ meglio vivere in due, formando delle piccole unitร chiuse, รจ certo rassicurante, ma anche fondamentalmente contrario allโidea di comunitร . Per me รจ nei collettivi che si possono trovare i legami piรน autentici, piรน utili, profondi e anche piรน onesti rispetto a quelli che si creano in una storia dโamore o nelle famiglieยป (Architetture del desiderio, Asterisco editore). Non una personaggia lesbica, ma un gruppo di donne, tra cui prevale un senso di solidarietร reciproca, a volte dopo aspri dissidi e contrasti, che ben si oppone ai contesti oppressivi in cui, tra finzione e realtร , tutte viviamo. Che, dice ancora Sciamma, ยซlo spazio culturale e lo spazio della finzione non sono un posto sicuro per le donne. Siamo ancora in quella stessa struttura patriarcale che dobbiamo manomettere e nel quale le donne non si sono mai salvateยป. Non da sole, almeno.
Rintracciando le origini del cinema lesbico, ci si ritrova catapultate immediatamente allโinterno di spazi chiusi, principalmente collegi femminili o carceri. Luoghi di privazione e di sottrazione, in cui, eliminata per ovvie ragioni lโimpossibile competizione con il maschio, si aprivano, paradossalmente, spazi di possibilitร inconsuete per le personagge. Luoghi angusti e poco, pochissimo luminosi, allโinterno dei quali donne imperfette, fragili, un poโ sgangherate, si autodeterminavano in modo autonomo. Non piรน inchiodate al mero ruolo ancillare in funzione del personaggio, bensรฌ libere di essere se stesse, di aprirsi alle altre, di scoprire il valore di una relazione orizzontale. Dove prima cโera staticitร , si รจ aperto un varco verso unโevoluzione imprevista.
Puรฒ sembrare un gioco di parole senza senso, eppure la via di uscita dal giogo di una rappresentazione malevole era giร in quelle rappresentazioni, presente e in bella vista. Sappiamo che spesso lo sguardo era patologizzante, e non รจ sempre stato facile smarcarsi dalla vergogna dello stigma e della โcattivaโ rappresentazione. Molta critica cinematografica lesbica รจ spesso stata troppo in affanno nel rincorrere una diversa (leggasi positiva) rappresentazione del lesbismo che operasse in due sensi: โnoi buone per noiโ, quindi un possibile modello edificante per la spettatrice cui un mondo ancora analogico relegava in una deprimente stanza (vuota) solo per lei e, come sottolinea la critica cinematografica B. Ruby Rich, โnoi buone per loroโ, quindi una potenziale forma di rassicurazione al pubblico eterosessuale. Che sia chiaro, non รจ piacevole โvedersiโ sotto chiave nei collegi femminili o in qualche ameno spazio di reclusione, dove punizioni e sorveglianza continua minano ogni possibile visione di futuro, tuttavia รจ proprio da quegli spazi che si รจ manifestata la promessa di nuove opportunitร di vita lesbica. Sullo schermo e nella realtร .
ร cosรฌ nel primo film lesbico del 1931, Mรคdchen in Uniform (Ragazze in uniforme) di Leontine Sagan. Come scrive B. Ruby Rich nel libro Chick Flicks - Theories and Memories of the Feminist Film Movement, un testo del 1998 che ancora attende una traduzione italiana, se si vuole capire del tutto questo film, bisogna tenere presente la societร allโinterno della quale fu realizzato. Era lโambiente della Repubblica di Weimar, la Berlino con moltissimi bar โ se ne contavano 50 lesbici in quel periodo โ e varie riviste gay e lesbiche, quindi una cittร dalla tolleranza sociale diffusa che ben camuffava le varie restrizioni legali (che si sarebbero presto trasformate in repressione, spesso senza scampo). Il film si concentra sulla relazione tra due donne. Manuela, una quattordicenne che viene mandata dal padre in un collegio femminile, e Frรคulein von Bernburg, una delle insegnanti della scuola, la piรน amata per i suoi metodi educativi compassionevoli e molto materni, assai distanti quindi dai rigidi codici prussiani della scuola. Che รจ appunto un ambiente che poco concede ai sentimenti, improntato a un rigore militaresco e autoritario dalla preside, convinta che la disciplina e la fame rafforzino il carattere delle giovani, il cui unico scopo nella vita รจ diventare madri di soldati. Tutte le alunne hanno una cotta per Frรคulein von Bernburg, ma lโinfatuazione di Manuela รจ piรน appassionata, e alza il livello della tensione omoerotica che pervade la scuola annunciando pubblicamente di amare lโinsegnante. Ubriaca e vestita da uomo dopo una performance teatrale, Manuela brinderร allโamore di e per Frรคulein von Bernburg. Manuela รจ la minaccia lesbica ed รจ pronta a sacrificarsi, lanciandosi dalla tromba delle scale. Ma la regista inserisce un elemento inedito, la forza di coesione e solidarietร delle compagne, una forma germinale di collettivo, che si oppone alla condanna dellโignominia lesbica.
Non la singola personaggia, ma un gruppo di donne variamente rappresentato nelle tante differenze di genere, orientamento, etร e, nei casi migliori, etnia, รจ dato dai film sulle carceri femminili, detti anche WIP (women in prison). Un genere a tratti anche molto prolifico, che passa a mani basse il test di Bechdel, e di cui ho avuto lโoccasione di approfondire per un articolo sulla rivista โLeggendariaโ (Leggendaria 157 โ Corpi reclusi). Un numero elevatissimo di titoli, soprattutto per quel che riguarda la cinematografia americana, e anche un nutrito elenco di saggi critici, principalmente di studiose femministe dโoltreoceano, che analizzano lโarco temporale in cui questi film sono stati concepiti e girati e la loro ricaduta sociale, reale o auspicata. Suzanne Bouclin, docente universitaria canadese che si occupa di giurisprudenza femminista, ha analizzato il modo in cui questi film mostrano al pubblico le ยซmolteplici forme di emarginazione, esclusione sociale e oppressione che sperimentano le donne criminalizzateยป. Anche nella consapevolezza che, spesso, dentro o fuori dal carcere, la donna non รจ mai veramente libera. Ovviamente sono molti gli stereotipi deleteri (la donna bianca inizialmente ingenua e ingiustamente condannata, la lesbica butch predatoria, la povera malata di mente, le non bianche criminalizzate) che, fino agli anni 2000 circa, hanno sottratto valore a questo tipo di rappresentazione; forte scarto con la realtร detentiva femminile con conseguente inefficacia nel denunciare la violenza intrinseca dellโistituzione carceraria. Secondo Judith Mayne, critica cinematografica femminista americana, ci sono alcuni elementi positivi di cui tener conto nellโanalisi dei film women in prison; impossibile negare lโattenzione ossessiva sul corpo della donna, in carcere (piรน che altrove) sottomesso al regime massimo di osservazione gerarchica e sorveglianza continua. Tuttavia, osserva Mayne, questi film presentano legami femminili forti, non patologizzano, almeno non sempre, la rabbia delle donne, danno forma e visione a comunitร femminili altrimenti poco esplorate dal cinema. E soprattutto mostrano qualcosa di inedito: ยซLa possibilitร che le donne osservino altre donne [โฆ]. Invero ciรฒ che colpisce nei film WIP รจ la marginalitร sostanziale degli uomini in molte delle trame, e come la sorveglianza coinvolga donne che guardano donne, donne che sorvegliano altre donne, donne che reificano altre donne. E questo รจ uno dei pochi generi in cui il lesbismo non รจ unโanomalia [โฆ]. Certo molti film WIP virano verso una pornografia softcore, e ci puรฒ essere il male gaze allโopera in queste rappresentazioni del lesbismo. Ma voglio suggerire che cโรจ qualcosa di piรน โ che i film WIP offrono unโopportunitร di andare oltre la rigida dicotomia dellโuomo che scruta la donna e di capire la complessitร dei modi in cui le donne, attraverso le linee di divisione di sessualitร e razza, vedono le altre donneยป.
Non cโรจ stato molto accordo da parte della critica nel valutare il genere WIP. Tropi e convenzioni di molti di questi film, pur nella diversitร delle trame e della caratterizzazione delle personagge, li hanno relegati in un angolo assai angusto che รจ poi quello delle donne sullo schermo. Molto laterali, ai margini di quel centro che รจ lโuomo, a chi puรฒ interessare una storia di donne, molto spesso lesbiche? Considerati tendenzialmente offensivi e stereotipati, solo la messa in onda di alcune serie tv a partire dagli anni Duemila โ Bad Girls (1999โ2006), Wentworth (2013 โ 2021), Orange Is the New Black (2013โ19) โ hanno cortocircuitato lโattenzione di critica e pubblico, avviando, almeno negli Stati Uniti, anche un dibattito sullo stato detentivo reale delle detenute, la violenza gratuita cui sono soggette, le disuguaglianze sistemiche che le opprimono. Non si tratta piรน, almeno non soltanto, di intrattenere spettatrici e spettatori con un format accattivante, lanciando qua e lร qualche giudizio moraleggiante, e ipersessualizzando le personagge, rendendole feticci desiderabili per lo spettatore maschio. In Orange Is the New Black, ideata da Jenji Kohan, per esempio, pur concentrando lโazione su una protagonista โ Piper Chapman โ che รจ bianca, giovane, bella e benestante, la trama include donne di diverse etnie e nazionalitร , vari orientamenti sessuali e di genere, generazioni diverse, raccontando storie fuori dai radar di molte e molti. ยซSecondo lโattivista anti-carceraria Victoria Law, che ha applaudito Orange Is the New Black perchรฉ riflette la situazione della vita reale delle detenute, questa serie ha catapultato lโincarcerazione delle donne nella coscienza della cultura popolare. Anche se la serie ovviamente non rivoluzionerร il sistema carcerario [โฆ]. Tuttavia, sta raccontando storie diverse su donne incarcerate a persone che altrimenti non intercettano le esperienze di donne emarginate [โฆ]. Dobbiamo inserire i film e le serie televisive del WIP come parte di un arsenale, insieme allโattivismo di base, alla teoria critica, alla mobilitazione politica e alla ricerca empirica. Questi film svolgono ruoli diversi, ma non meno rilevanti, nella lotta per porre fine allโincarcerazione di massa delle donneยป (Suzanne Bouclin, Women, Film, and Law: Cinematic Representations of Female Incarceration, UBC Press).
Forme di solidarietร diffusa, aggregazioni non strutturate basate su condizioni di vita comune, momentanee e, soprattutto, coatte. Fino a Go Fish. Finalmente, dopo tanta attesa, il piacere della spettatrice viene investito e si ร ncora a unโintera comunitร lesbica. Go Fish, il cui titolo significa sostanzialmente โandare a donneโ, รจ un film del 1994 per la regia di Rose Troche e la sceneggiatura di Guinevere Turner, che interpreta la parte di Max, cappello da baseball, abiti larghi e voce narrante del diario in cui (ci) dice del desiderio di avere una storia dโamore โveraโ. Go Fish รจ uno dei pochi film lesbici a essere annoverato allโinterno della corrente del new queer cinema, fortunatissima espressione coniata da B. Ruby Rich in un articolo sul โVillage Voiceโ nel 1992, e presto diventato il manifesto del nuovo cinema lesbico. Attingendo a piene mani dalla comunitร lesbica di Chicago, Troche e Turner scrivono una storia convincente e verosimile con un budget di appena 91 mila dollari, girato in bianco e nero con attrici non professioniste in 45 giorni. Il film racconta le vite di un gruppo di lesbiche: Ely e Daria dividono lโappartamento e hanno come amica comune Kia, che sta con Evy, che divide lโappartamento con Max. Kia, Evy e Daria sono convinte che Max e Ely siano fatte lโuna per lโaltra e che potrebbero mettersi insieme: una commedia romantica e divertente in cui รจ naturale essere lesbiche. Nessun dramma legato alla diversitร , ma โsoloโ una sessualitร vissuta in libertร e con gioia. Diversitร che รจ anche diversitร tra le lesbiche; corpi diversi, non conformi, forse solo lโetร ha poche sfumature. ร interessante come nel film essere lesbica non costituisca unโidentitร rigida e, seppur resistendo attivamente allโeteronormativitร egemonica, non cade nella trappola di un orientamento sessuale inevitabile. Si apre quindi la strada a una produzione dai requisiti originali, che nasce da una comune esigenza di provare percorsi inesplorati, guardando e interpretando la realtร da altri punti di vista. ร lo sguardo che cambia e che porta una sensibilitร differente con una nuova o altra percezione della sessualitร , che lascia molto spazio alla fisicitร e ai corpi incarnati di un intero gruppo di amiche: un โcinema del desiderioโ che, con uno sguardo e pulsioni lesbiche, introduce un inedito linguaggio erotico.
Particolarmente interessante per lโanalisi di come la comunitร abbia a tratti cortocircuitato la rappresentazione sugli schermi schivando la favola (lesbica) dellโamore universale รจ il film, purtroppo ma non a caso poco noto, Itty Bitty Titty Committee (2007), per la regia di Jamie Babbit. Ne parla in maniera estesa B. Ruby Rich nel libro New Queer Cinema: The Directorโs Cut, anche questo purtroppo mai tradotto in italiano. Il film racconta la storia di Anna e del suo โrisveglioโ politico (e sentimentale) quando entra in contatto con un gruppo di attiviste radicali lesbofemministe che combatte il sessismo della societร maschilista americana. Molti gli elementi di interesse: la guerrilla art, il conflitto con il femminismo della seconda ondata, piรน incline al dialogo con le istituzioni, le dinamiche di gruppo e la costruzione di una diversa idea di comunitร . La fonte, come analizza Rich, รจ il film cult Born in Flames (1983) di Lizzie Borden per rivitalizzare i giorni grintosi ed eccitanti del cinema lesbico-femminista degli esordi. Non quindi il solito racconto sullo stile di vita di un gruppo di giovanissime, ma il resoconto puntuale e senza sconti della rabbia e della capacitร di reazione che tanto avevano caratterizzato i movimenti lesbofemministi negli anni 70 e nei primi anni 80. Born in Flames era il modello perfetto. Borden lavorava a New York in un momento storico di grandi contraddizioni e conflitti: cโerano il movimento di liberazione delle donne, lโepidemia di AIDS in crescita devastante, le lotte delle lesbiche per ottenere visibilitร e diritto di parola (autonoma rispetto alle femministe), la politica di Reagan. Uno scenario politico e sociale molto diverso per Babbit che ha girato il film nel 2006 per rappresentare azioni e reazioni di un gruppo di lesbiche che vivono in un mondo post punk, pansessuale, anarchico, comunitario, anticapitalista. ยซBabbitยป, scrive Rich, ยซha preso a cuore la lezione di Born in Flamesยป. Una troupe quasi interamente femminile, una colonna sonora ugualmente coinvolgente, un Super 8 e i 16 mm per emulare i formati di produzione di Borden e di altri registi indipendenti dellโepoca, una produzione a basso budget come giร era accaduto nel new queer cinema. ยซE naturalmente cโรจ il titolo, impossibile da nascondere (ma anche da tradurre, ndr), brandito come una spada infuocata di fronte al film stesso, che avverte tutti e tutte su cosa aspettarsi. [โฆ]. Babbit richiama poi unโintera serie di nomi nel film, un tuffo nel passato, come se avesse sintetizzato un mixtape di greatest hits lesbiche e femministe nelle forme, nella politica e nei sottotesti della sua sceneggiatura, nel tentativo di far vivere e respirare di nuovo idee un tempo potenti. La decodifica del suo film diventa un grande gioco per la spettatrice e un processo di illuminazione, una sorta di illuminazione lesbofemminista subculturaleยป.
Nonostante qualche tentativo, anche riuscito, รจ indubbio che la spinta propulsiva del new queer cinema รจ finita da tempo e ha lasciato spazio ad altre narrative, qualcuna omologata, altre ancora dissidenti, tuttavia lo sguardo obliquo di quel periodo si รจ parecchio raddrizzato. Anche se lโobiettivo di allora non era certo lโaccettabilitร da parte della societร e, soprattutto, del mercato, appare evidente oggi che questa รจ lโereditร lasciata in sorte alle nuove generazioni. Oggi molte personagge lesbiche transitano con alterne fortune sugli schermi, e tante si sono โnormalizzateโ. Le storie dโamore sono ormai universali, e poco รจ rimasto di una potente e disturbante radicalitร . Bella presenza, glamour quel tanto che basta, classe medio-alta, astenersi perditempo. Le vecchie sfide si sono dissolte nellโomonormativitร e si รจ a lungo passate a storie tendenzialmente di coppia, qualcosa che molto placa le ansie del โe vissero per sempre felici e contenteโ. Un passaggio ambiguo รจ stato fatto con The L Word, che ben rappresenta una comunitร lesbica ma, appiattendone la rappresentazione in termini di classe, etnia ed etร , molto si affida a una narrativa romantica omonormata. Al di lร dei tanti difetti che si possono ascrivere a questa serie televisiva, alcuni dei quali trasportati anche nel recente revival The L Word: Generation Q, vorrei soffermarmi proprio sulla dimensione collettiva che tanto si concentra attorno a un luogo preciso: il bar The Planet (diventerร Danaโs nel sequel Generation Q). Lo spazio si apre, si esce dai luoghi chiusi e insalubri di collegi e prigioni, e ci si avventura finalmente nel mondo. Luoghi di incontro, di socializzazione, di formazione di comunitร . In questo senso i bar sono stati fin dai primi anni 50 luoghi politici e non a caso sono stati proprio dei bar a segnare lโinizio del movimento LGBT. Non uno solo come spesso viene ricordato, ma due: la Comptonโs Cafeteria di San Francisco che nel 1966 determinรฒ, come sottolinea la studiosa Susan Stryker, il debutto della comunitร transgender sul palcoscenico della storia politica americana, e lo Stonewall Inn di New York davanti al quale nel 1969 la butch Stormรฉ DeLarverie e la trans Sylvia Rivera diedero il via alla rivolta. Spazi che si sono aperti, spazi che si sono di nuovo chiusi (nel senso che sono state definitivamente abbassate molte di quelle saracinesche), spazi comuni che รจ importante tornare a occupare per dare luogo a esperienze di resistenza e sovversione, tanto per citare bell hooks.
Di bar lesbici e spazi di comunitร ha parlato il documentario di Alexis Clements All Weโve Got, proiettato durante lโedizione 2020 di Some Prefer Cake. Da Brooklyn, New York, dove vive la regista, a Oklahoma City e San Antonio, in Texas, il documentario esplora gli spazi e le comunitร lesbiche per capire meglio perchรฉ รจ importante avere un posto tutto per sรฉ, meglio se fuori casa. Lo scenario รจ sconfortante: negli Stati Uniti dal 2010 hanno chiuso piรน di 100 bar, librerie e spazi comunitari. E se anche qualcuna รจ riuscita a rimanere aperta contro qualsiasi pronostico, รจ come se la comunitร si configurasse in qualcosa di sfuggente, di cui ancora non si comprende appieno il valore e lโimportanza e a capire come e dove e quando tornare a renderla viva e propositiva. Lo so, lo sappiamo che la parola โlesbicaโ crea sempre un poโ di malumore, ma la si puรฒ continuare a usare e rivendicare aprendo la spazio a tutte le soggettivitร , rendendo gli spazi plurali e transfemministi. Soprattutto adesso in questi tempi bui di politiche familiste e revisioniste. Anche in Italia dove permangono realtร feconde che esistono e resistono. Se per il passato รจ impossibile non ricordare, e ne cito solo due, gli storici Cicip & Ciciap, circolo separatista di Milano fondato da Nadia Riva e Daniela Pellegrini, e Zanzibar, locale romano per sole donne fondato da Nicola Sivieri e Tiziana Mazzi, su cui รจ possibile vedere il documentario Zanzibar. Una storia dโamore per la regia di Francesca Manieri e Monica Pietrangeli. Per il presente penso, e ne cito a memoria solo alcuni, a luoghi di ritrovo che alle volte sono bar, come il Pop di Milano, alle volte sono librerie e spazi di socialitร diffusa, come la libreria Tuba a Roma o Nora Book & Coffee a Torino, o librerie come la Libreria delle donne di Bologna, Antigone (a Milano e Roma), o ancora circoli, come il Cassero, il Maurice, il Mieli. E appunto i festival del cinema LGBTQ+. A questo tema ho dedicato Gli spazi son desideri, una puntata del mio podcast sul cinema lesbico Reno, 1959.
La questione รจ riuscire a stare al passo con i tempi, seguire il flusso delle trasformazioni. ร quel che accade in Work in Progress, in tutto due stagioni prodotte da Showtime tra il 2019 e il 2021, nata da unโidea di Abby McEnany, al suo esordio in televisione alla non tenera etร di 51 anni. Work in Progress non si concentra solo sulla storia dโamore: non la coppia, ma appunto la comunitร emerge come spazio fisico e mentale indispensabile per affrontare gioie e dolori di chi si sente spesso fuori posto. Una comunitร resistente, dissidente, in continua trasformazione. Sembra ancora di sentirlo lo slogan delle lotte LGBT degli anni 90: ยซWe are here, we are queer, get used to itยป. ร unโeco che risuona ancora forte e chiara in Work in Progress anche se molto รจ cambiato, e per fortuna. Quanto รจ cambiato McEnany non lo spiega a parole con un qualche monologo noioso e didascalico, ma lo mostra in molti modi diversi, tutti assai avvincenti. Anche tu, spettatrice, se lo ricordi, quel passato proiettato sullo schermo, e lo hai vissuto con un certo entusiasmo, non puoi non provare una forte attrazione per questo presente dinamico, aperto, irriverente. Un esempio? Seconda puntata della prima stagione: Abby e il suo compagno trans Chris, vanno in un locale una sera, un locale queer, punto di ritrovo della variegatissima comunitร di Chris. Abby ha la sensazione di esserci giร stata anche se non ricorda il nome: era un bar per lesbiche, nessun* ricorda neppure che sia esistito, e le serve un aiuto dai suoi dettagliatissimi diari per riacchiapparne il nome; ma ha dei flashback: lei, le sue amiche, le tante avventure. Le cose cambiano, gli ambienti si trasformano, le comunitร evolvono; il punto รจ riuscire a trasformarsi, stare al passo con il cambiamento di sรฉ, delle relazioni, di tutto quello che ci circonda.
Vorrei chiudere questa breve e fin troppo sintetica carrellata con qualche anticipazione di Some Prefer Cake 2023 che molto si allineano al tema della comunitร e ai molti modi possibili di rappresentarla. Il 22 settembre alle 21 verrร proiettato La amiga de mi amiga, film del 2022 della regista spagnola Zaida Carmona. ร una commedia, molto autobiografica, che sulla comunitร lesbica di Barcellona, vera e propria celebrazione dellโessere lesbiche e queer oggi. Oltre le ascendenze dichiarate โ รric Rohmer in primis, da qui anche il titolo โ impossibile non pensare anche a Go Fish, alla chart di The L Word, alle difficoltร del vivere di Work in Progress. Una rete di amiche in continuo movimento e trasformazione emotiva che sono giร comunitร per la condivisione di uno stile di vita gioioso e mai scevro da implicazioni sociali e politiche. Che poi la domanda รจ: le cinque o sei relazioni con le amanti che si alternano e si incrociano in continuazione costituiscono una base possibile per un collettivo o sono solo relazioni poliamorose senza connessione reale? Come ha dichiarato Cardona: ยซPer me era importante girare un film in cui ci riprendessimo un poโ e celebrassimo la nostra identitร . Ci sono molti film a tema lesbico che amo, anche se sono drammatici. ร normale allโinterno dellโidentitร LGTBIQ+ trovare esperienze problematiche e dolorose, ma volevo creare qualcosa in cui ci divertissimo e dove le personagge facessero a volte la cosa sbagliata. Sembra che dobbiamo sempre creare personaggi esemplari e che il trauma giustifichi la loro identitร . Volevo mantenere il tutto leggero pur rimanendo attivista. Ci divertiamo e possiamo anche disturbareยป.
Il 23 settembre alle 16.30 รจ la volta di La collina dove ruggiscono le leonesse (2021), esordio alla regia dellโattrice franco-kosovara Luร na Bajrami. Ambientato in Kosovo, รจ una storia di autodeterminazione fuori dai soliti schemi e senza cedimenti vittimistici di tre giovanissime ragazze โ Qui, Li e Jeta โ alle prese con sogni e desideri che si scontrano con un ambiente fortemente oppressivo e maschilista. Un ritratto di gruppo con sfumature thriller per una costante ricerca di libertร che per le donne non รจ ancora scontata. Se lโobiettivo รจ andarsene, unico spiraglio per la realizzazione di sรฉ e delle proprie aspirazioni personali, non รจ detto che nel frattempo non si possa vivere e godere della forza che lo stare insieme crea e riproduce. Il film intreccia amicizia, sorellanza e lesbismo in modo molto efficace e mai banale, configurando forme di legami femminili stratificati che non si escludono a vicenda. E che a modo loro costituiscono una piccola comunitร resistente.
Molte possibilitร di rappresentazione, un forte desiderio: essere e sentirsi parte di una comunitร che molto guarda al futuro e che sente forte anche il legame con la memoria. Non รจ un caso infatti che la programmazione di Some Prefer Cake si sia spesso concentrata sulla relazione tra identitร , spazi e memoria, attraverso un lavoro di indagine da parte di molte registe sulle storie personali per fare emergere il senso di una collettivitร . Ed รจ per questo che concludo con il cortometraggio che apre questa edizione del festival: Luki, unโanimazione di Marta Bencich e prodotto da Vivo Film. Le origini e la vita di Luki Massa, fondatrice, proprio con Marta, del festival Some Prefer Cake, che ha dedicato la vita a ยซcelebrare la ricchezza del cinema lesbicoยป. FEDERICA FABBIANI
Federica Fabbiani รจ giornalista e scrittrice. Attenta studiosa di cinema e tv attraverso lo sguardo della critica lesbica, ha firmato i libri Sguardi che contano (Iacobelli editore) e Zapping di una femminista seriale (Ledizioni), e ha curato Architetture del desiderio โ Il cinema di Cรฉline Sciamma (Asterisco edizioni, con Chiara Zanini). Collabora con la rivista โLeggendariaโ e conduce il podcast sul cinema lesbico Reno, 1959. ร programmer del festival bolognese Some Prefer Cake, che questโanno si svolge dal 22 al 24 settembre: trovate la selezione di questa edizione qui.
Uno dei film piรน chiacchierati dellโestate รจ Bottoms, lโopera seconda di Emma Seligman, lโautrice di Shiva Baby, che torna a collaborare con la protagonista di quel film, Rachel Sennott, e con la Ayo Edebiri di The Bear. Definito da molti un ยซFight Club queerยป (oltre che in commedia), sul film la regista ha rilasciato unโinteressante intervista al New Yorker (e, con le sue attrici, ha posato sulla copertina del New York Magazine) [in inglese].
Sul sito di Literary Hub, fino al 18 ottobre, sarร pubblicato ogni settimana un cortometraggio su Ursula K. LeGuin. Il primo โ in cui lโautrice racconta la propria esperienza di aborto illegale โ potete vederlo a questo link [in inglese].
ร ripartita per lโultima tranche di episodi la serie Erotic 90s del nostro amato podcast sulle storie segrete o dimenticate di Hollywood You Must Remember This. Insieme alla precedente Erotic 80s, ripercorre gli anni 80 e 90 del cinema americano attraverso la rappresentazione dellโerotismo, improvvisamente piรน โliberaโ rispetto ai decenni precedent: una lente che rivela moltissimo dei rapporti tra i generi e della loro trasformazione nellโimmaginario popolare. Forse ci torneremo su, nel frattempo lโautrice parla di questo suo ultimo progetto, e del podcast in generale, qui [in inglese].