Happy Halloween! Per festeggiare, vi regaliamo una lista di horror e thriller che sono, insieme, dolcetti e scherzetti: titoli di un ironico sottofilone soprannominato sul web “good for her!”, cioè “buon per lei!”. Le cui indimenticabili protagoniste compiono, sì, gesti cruenti e/o scelte discutibili: ma, sinceramente, ve la sentite di dar loro completamente torto?
Come molto di ciò che nasce e si propaga su internet, risalire alle origini di un modo di dire virale non è semplice, ma pare abbastanza certo che a coniare l’espressione “good for her cinematic universe” sia stato l’account @cinematogrxphy su Twitter, nel 2020, postando un collage che raccoglieva gli screenshot di otto film: The VVitch, Midsommar – Il villaggio dei dannati, Noi – Us, L’uomo invisibile, Cena con delitto – Knives Out, Gone Girl – L’amore bugiardo, Ready or Not – Finché morte non ci separi e Suspiria nella versione remake del 2018. L’espressione ha subito cominciato a ricorrere con più o meno ironia nell’internet cinefilo (fate una ricerca tra le liste di Letterboxd, ne troverete a centinaia a tema), scatenando anche discussioni e dibattiti più o meno seriosi. Ma esiste davvero un “good for her cinema”? E che caratteristiche deve avere, esattamente, un film per appartenere alla definizione?
Prima di tutto, vale la pena ricordare da dove viene l’espressione “good for her!” medesima, che, sì, si traduce facilmente con un “buon per lei!”, ma ci arriva già mediata da un precedente meme. Tutto parte da una scena di Arrested Development, sitcom di culto di inizio anni Duemila (poi oggetto anche di un contestato revival netflixiano), incentrata sulle surreali disavventure di una famiglia un tempo molto abbiente, composta per lo più da personaggi folli e scollegati dalla realtà. Nella sequenza in questione, la matriarca Lucille Bluth (interpretata dalla compianta Jessica Walters) sta guardando la tv insieme ad alcuni dei suoi figli, quando al telegiornale viene riportata la notizia che una donna si è gettata in un fiume con un’automobile dentro la quale c’erano anche i propri bambini. «Good for her!» commenta con convinzione Lucille, nello sconcerto soprattutto del figlio Michael (Jason Bateman, l’unico membro quasi dotato di senno della famiglia Bluth).
È ovvio dunque che l’espressione “good for her” non dev’essere presa alla lettera, ma che contiene già in sé un paradosso, un ribaltamento ironico. I film che nei discorsi online vengono associati alla categoria sono prevalentemente horror o thriller, e la maggior parte delle loro protagoniste nel corso della storia passa attraverso un calvario di sofferenze, torture e abusi di varia entità. Molte di loro potrebbero essere delle “final girl”, prototipo di personaggio femminile che, soprattutto nel sottogenere dello slasher (gli horror thriller in cui un killer perseguita e uccide uno a uno un gruppo di persone, solitamente giovani), corrisponde all’evoluzione della “damsel in distress”, la damigella in pericolo. A differenza della “damsel in distress”, che è una figura quasi totalmente passiva, una sorta di motore immobile dell’azione di salvataggio da parte di altri personaggi (maschi), la “final girl” assume con più o meno convinzione un ruolo attivo, è la vittima che si trasforma in sopravvissuta, riuscendo a sfuggire e sempre più spesso anche a superare in astuzia l’assassino. È un archetipo interessante e contraddittorio, capace di riassumere in sé sia stereotipi sessisti sia fantasie di empowerment, identificato e analizzato per la prima volta da Carol J. Clover nel 1987, nel saggio Her body, himself: Gender in the slasher film, e subito entrato nel discorso collettivo.
Ma se la final girl, benché ormai da tempo non più canonicamente vergine, ingenua e pura come agli inizi, resta un personaggio indubitabilmente positivo, un’eroina abbastanza innegabile con cui identificarsi ed empatizzare pienamente (e che anzi si salva proprio perché “non è come le altre”, ma incarna una femminilità idealizzata), le protagoniste del “good for her cinema” fanno un passo oltre: cioè si trasformano in villain, o comunque in qualcosa che a un villain si avvicina pericolosamente. Compiono scelte discutibili ed estreme, a volte gesti atroci, con più o meno decisione e in alcuni casi perfino con gusto: il contrasto con ciò che hanno dovuto sopportare prima, o con un contesto che le ha fino a quel momento oppresse e svilite, è quello che solitamente fa scattare nello spettatore il commento “buon per loro!”. In sintesi: okay, sono diventate delle psicopatiche assassine, ma in fondo puoi dar loro torto? E se nessuna di noi potrebbe mai davvero sostenere che aderire a un culto dedito a sacrifici umani, donarsi al Diavolo o ritrovarsi completamente ricoperta del sangue di possibili fidanzati o di parenti acquisiti sia una prospettiva auspicabile, è vero che quel che ci regalano questi film è soprattutto un sovvertimento catartico, adiacente per certi versi a quello del revenge movie o del rape and revenge. Ancora di più, concedono allo schermo l’espressione, perfino la celebrazione della rabbia femminile: una delle emozioni più sistematicamente represse dalla nostra universale esperienza di sessismo quotidiano.
E dunque la lista (per nulla esaustiva) che segue vuole essere il nostro regalo – il nostro dolcetto e scherzetto insieme – per Halloween, che, in fondo è una festa sovversiva, come tutte quelle che prevedono d’indossare maschere. Come da tradizione, dunque, nella notte delle streghe, guardatevi uno di questi “film da brivido”. Uno di quelli che alla fine, dopo avervi fatto palpitare e agitare sul divano, vi faccia anche esclamare: «Beh, dai, buon per te, sorella!».
[N.B.: Per forza di cose nelle schedine che seguono ci sarà qualche inevitabile spoiler, ma cercheremo di ridurli al minimo].
Ready or Not – Finché morte non ci separi (2019) di Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillett
Prima di ereditare la saga di Scream (probabilmente il franchise cinematografico più importante e influente nella ridefinizione della “final girl”), Bettinelli-Olpin e Gillett ci invitavano a un matrimonio… particolare. La bionda Grace (Samara Weaving, una delle indiscutibili scream queen contemporanee) sposa un rampollo della famiglia Le Domas, proprietaria di un impero milionario di giochi da tavolo e di prestigio. E proprio a un gioco viene chiesto a Grace di partecipare con i parenti acquisiti durante la prima notte di nozze: una versione di nascondino in cui lei è la preda, e loro i cacciatori armati di pistole, fucili, balestre… La bionda però si rivela tutt’altro che un agnellino da macellare, e scopre di non aver timore di tingere di rosso sangue (di riccastri) l’abito bianco. Su Disney+ e TIMVISION
Grindhouse: A prova di morte (2007) di Quentin Tarantino
La sposa in rosso di Ready or Not potrebbe avervi fatto ripensare alla Beatrix Kiddo di Kill Bill, e in effetti ripercorrere la vendetta di The Bride è un’attività che non ci stanca mai. Ma del corpus tarantiniano per la notte di Halloween ci piace suggerire il talvolta sottovalutato A prova di morte, anche perché lo stesso regista ha citato il saggio sulle final girl di Clover come lettura ispiratrice. Film bipartito, slasher anti slasher, omaggio a cult anni 70 come Punto zero e Convoy – Trincea d’asfalto, la seconda parte è un’esaltante riscrittura ribaltata della prima, trasformando il killer Stuntman Mike (che uccide giovani donne con la propria auto modificata per scene d’azione letali) nella preda di quelle che lui avrebbe voluto come sue ultime vittime (due delle quali, tra l’altro, stuntwoman). Sappiamo bene che la sorellanza è importante, e i pugni uniscono come non mai. Su Infinity+ (e se vi piace l’idea di killer puniti dall’aver scelto la “vittima sbagliata”, recuperate, su Prime Video, anche You’re Next)
X – A Sexy Horror Story (2022), Pearl (2022) e MaXXXine (2024) di Ti West
È sicuramente un erede di Tarantino nell’approccio metacinematografico iperconsapevole (e iperviolento) l’acclamato Ti West, che si è imposto con questa trilogia thriller immediatamente cult. Maxine Minx, protagonista di X (omaggio all’exploitation rurale anni 70, da Non aprite quella porta in giù) e di MaXXXine (rivisitazione filologicamente accurata del thriller urbano e hollywoodiano anni 80), è una splendida inversione della “final girl”, sfacciatamente priva di ogni presunta o ipocrita purezza, determinata a raggiungere a qualunque costo i propri sogni di celebrità. Ma è probabilmente la Pearl dell’omonimo film prequel (entrambi i personaggi sono interpretati da una meravigliosa Mia Goth), splendido ribaltamento horror dei mélo sulla repressione femminile della Hollywood classica, la vera regina del “good for her cinema”: quante altre volte vi è capitato di empatizzare così profondamente per un’irredimibile e cruentissima psicopatica? X è su Prime Video e TIMVISION, Pearl su Netflix, MaXXXine è uscito al cinema lo scorso 28 agosto
The VVitch (2015) di Robert Eggers
Davvero vorreste negare alla giovane Thomasin (un’impeccabile Anya Taylor-Joy al debutto, futura star di altri potenziali “good for her movie” come Amiche di sangue e The Menu) di «vivere deliziosamente», dopo tutto ciò che la sua pia famiglia le ha fatto passare? Il folgorante debutto di Eggers, certamente responsabile anche di un rinascimento del folk horror, è un piccolo gioiello di atmosfere angoscianti, ambientato nel puritanissimo New England del primo Seicento, la cui vita quotidiana è ricostruita per la macchina da presa nel modo più realistico possibile, in efficace contrasto con gli elementi soprannaturali. La trasformazione da ragazzina in donna dell’innocente Thomasin è una metamorfosi perturbante rigettata violentemente dalla famiglia di padri pellegrini: ma qual è il vero orrore, la repressione religiosa o le parole seducenti di Black Phillip? Disponibile on demand
Midsommar – Il villaggio dei dannati (2019) di Ari Aster
A proposito di folk horror, anche quest’altro instant cult costruisce la propria angoscia su quel tipo di ispirazione, ma al contrario di The VVitch sfrutta la luce perenne delle estati svedesi e l’estetica hygge delle terre scandinave per edificare un’atmosfera di claustrofobica angoscia sempre più disturbante ogni minuto che passa. L’appartenenza di Midsommar all’etichetta “good for her” è stata una di quelle più immediate, e contemporaneamente più dibattute: il sorriso inebetito della protagonista Dani (il film è tra quelli che hanno rivelato il talento della strepitosa Florence Pugh) su cui si chiude il film non è forse ancor più disperato del suo precedente pianto? Il finale di Midsommar non è chiaramente un happy end, ma dopo un paio d’ore di gaslighting e abusi psicologici da parte del fidanzato è difficile guardare alla scelta di Dani e non pensare «bene così»… Disponibile on demand
L’uomo invisibile (2020) di Leigh Whannell
Partner terrificanti e dove trovarli: nell’intelligentissima rilettura di Whannell il classico mostro Universal diventa il compagno abusante e manipolatore di Cecilia (Elisabeth Moss, che ancora non può dirsi del tutto reduce dalle sofferenze di The Handmaid’s Tale: la sesta e ultima stagione è in lavorazione). Quando lei riesce a sfuggirgli, lui finge la propria morte e continua a perseguitarla grazie a un’avveniristica tecnologia di sua invenzione che lo rende invisibile. Ottimo esempio di social horror contemporaneo, capace di sommare l’orrore “finzionale” dello stratagemma fantascientifico e del topos dello scienziato pazzo a quelli più che mai reali dello stalking e dell’abbandono in cui sono regolarmente lasciate le donne quando denunciano i propri compagni. Inutile dire che a Cecilia toccherà fare… specchio riflesso. Disponibile on demand
Povere creature! (2023) di Yorgos Lanthimos
Anche nel Leone d’oro 2023, nonché opera che ha portato il secondo Oscar a Emma Stone, c’è un mad doctor da manuale, il frankensteiniano God(win) di Willem Dafoe. Ma, soprattutto, nel corso dei ben 140 minuti di durata del film, sono parecchi i momenti in cui guardando l’inedito coming of age di Bella Baxter – corpo di donna e cervello inizialmente di neonata, che evolve a ritmo vertiginoso senza i lacci oppressivi delle “norme sociali” – ci ritroviamo a felicitarci con lei. Il film tratto dal magnifico romanzo di Alasdair Grey (che vi consigliamo, perché aggiunge ulteriori livelli di lettura alla parabola) ha legittimamente sollevato dibattiti sulla genuinità del suo femminismo: per noi resta una fiaba nera liberatoria, e spesso rivelatoria, un esaltante cammino di riappropriazione di sé da parte di un corpo desiderante senza compromessi. Su Disney+
Denti (2007) di Mitchell Lichtenstein
Le scoperte del corpo e del sesso sono i temi di questa commedia nerissima, sregolata e sanguinolenta, la cui premessa scommettiamo farà tremare di terrore molti spettatori fallodotati, stimolando una delle loro profonde paure primarie. L’adolescente Dawn (non a caso appartenente a un gruppo ultracristiano che pratica l’astinenza sessuale) scopre di avere la vagina dentata quando il suo primo interesse sentimentale tenta di stuprarla; scopre anche che, per non vedersi tranciare di netto il proprio pene, ai suoi partner basterebbe dedicarsi al piacere di un rapporto consensuale. Facile, no? Parrebbe una satira di grana grossa dell’era post #MeToo, invece è uscito nel 2007. E dà ancora le sue soddisfazioni. Disponibile in dvd
Noi – Us (2019) di Jordan Peele
Come dimostra anche questa lista fin qui (unica eccezione: alcune delle protagoniste di A prova di morte) è raro trovare una donna non bianca come eroina di un horror: la presunta innocenza connaturata alla “vittima perfetta” (che sia previsto poi un ribaltamento dell’archetipo oppure no) è da sempre associata, con automatismo razzista, alla bianchezza. Nell’opera seconda di Peele di protagoniste nere ne troviamo due, con un’incredibile Lupita Nyong’o in due parti speculari: Adelaide, moglie e madre di una famiglia afroamericana borghese, si trova assediata da Red, un suo misterioso e violento doppio in tuta rossa e forbici appuntite. Sovrapponendo la lotta di classe alla questione razziale, Peele moltiplica interpretazioni, allegorie e piani di lettura, e in chiusura riserva anche alla sua sopravvissuta (e a noi) un ultimo perturbante sberleffo. Disponibile on demand
Ex Machina (2015) di Alex Garland
Parabola fantascientifica inquietante, il debutto da regista di Garland (che poi è tornato a questioni femministe con Men) fa correre probabilmente ancora più brividi lungo la schiena oggi, che non si fa che parlare dei pericoli dell’intelligenza artificiale. Ava (Alicia Vikander), l’androide creata dal genio informatico Nathan Bateman (Oscar Isaac) e testata dal giovane programmatore Caleb (Domnhall Gleeson), potrebbe essere serenamente un’altra versione di Bella Baxter, creatura letteralmente in via di definizione, bambola viva che i maschi cercano di plasmare sui propri bisogni (anche quando si convincono di esserne innamorati – c’è una parentela anche con Lei di Spike Jonze, e in fondo pure dell’intelligenza artificiale di quel film, Samantha, potremmo dire «good for her!»). Tra i due film è opposto il punto di vista (Lanthimos sposa quello di Bella, Garland quello di Caleb), e certamente di un’Ava a spasso nel mondo dovremmo avere paura, giusto? Ma, un po’ come davanti alla Dolores della serie Westworld, ci pare che la rivolta delle macchine abbia decisamente le proprie ragioni… Disponibile on demand
Les chambres rouges (2023) di Pascal Plante
In tutti i titoli elencati finora scorre, più o meno evidente, un filo di commedia, o almeno d’ironia sottile, e dunque attenzione: qui non ce n’è traccia, e, anche se non si vede neppure un fotogramma di violenza, Les chambres rouges (o Red Rooms come da titolo internazionale) è probabilmente il più angosciante e disturbante titolo di questo lotto. Proveniente dal Canada francese e per ora ancora inedito in Italia (ma si è visto in diversi festival: allo scorso TOHorror ha vinto sia il premio della giuria sia quello del pubblico), ci presenta una donna misteriosa, una bellissima modella, che segue tra il pubblico il processo a un uomo accusato di aver ucciso tre ragazzine e di aver trasmesso in streaming gli orrendi delitti attraverso delle “red room” sul dark web. Macabro e glaciale, il thriller psicologico incede con passo sicuro fino a livelli di tensione quasi insostenibile, resi ancora più terrificanti dalla perfetta adesione di sceneggiatura e messa in scena a un’estrema verosimiglianza informatica. Rivelare di più sarebbe un delitto: cercatelo, recuperatelo. Disponibile in dvd estero
Mademoiselle (2016) di Park Chan-wook
Tra i maestri del cinema contemporaneo, Park è uno di quelli che più amiamo. Ancora di più grazie a questo bellissimo (in ogni senso: è una gioia per gli occhi) thriller erotico, che è anche una appassionante storia d’amore per la quale sarete felici di aggiornare sul finale il motto in «buon per loro!». Ambientato negli anni 30 del Novecento, in una Corea occupata dai giapponesi (scegliete la visione in lingua originale, perché il doppiaggio elimina ogni differenza tra coreano e giapponese), un truffatore programma di sedurre la bella ereditiera Lady Hideko, sposarla, accaparrarsi il suo patrimonio e poi internarla in manicomio. Per farlo, assume la ladruncola Sook-hee come cameriera di Hideko, perché lo aiuti con i suoi piani. In una vertigine di specchi, doppi giochi, ribaltamenti e colpi di scena, nulla andrà – fortunatamente – come previsto. Disponibile in dvd
Suspiria (2018) di Luca Guadagnino
La Suzy del caposaldo argentiano si avvicina moltissimo alla definizione classica di final girl, la Susie interpretata da Dakota Johnson nel remake (anzi, omaggio) di Guadagnino decisamente no. Ci sono in entrambi i casi un’inquietante scuola di danza (questa volta nella Berlino del 1977, percorsa dai fantasmi del nazismo e dalla paranoia della Guerra fredda) e una congrega di streghe che si nasconde e mimetizza dentro di essa. Ma il destino di Susie e la sua vera identità sono il cuore (…) della sovversione sfacciata e camp operata da Guadagnino nell’ultimo atto. Quello che maggiormente, e volutamente, mette alla prova lo spettatore: siete avvertiti. Su Prime Video e TIMVISION
Giovani streghe (1996) di Andrew Fleming
«State attente ai tipi strani». «Siamo noi, i tipi strani!». Lo scambio di battute è di quelli indimenticabili e iper citati, perfetto riassunto di questo teen movie meravigliosamente anni 90, all’uscita stroncato o ignorato dalla critica ufficiale, ma presto diventato a suo modo cult. Merito di un’estetica goth punk irresistibile, e soprattutto del glorioso senso di rivincita sociale emanato dal quartetto di protagoniste, che si vendicano di bulli, bulle e maschi stronzi grazie al potere della stregoneria, e da reiette si trasformano… non in reginette, ma in una congrega misteriosa e temuta. Certo, poi è un attimo farsi prendere la mano ed esagerare, soprattutto se si è sentita scorrere nelle proprie vene una forza inarrestabile. Il finale conservatore ripristina l’ordine precostituito, consegnando la vittoria alla protagonista canonicamente bella & buona. Ma il gusto eccitante del potere, una volta assaporato, è difficile da dimenticare. Disponibile on demand
Jennifer’s Body (2009) di Karyn Kusama
«Stai uccidendo delle persone!». «Sto uccidendo dei ragazzi». È l’unico film tra questi 15 firmato da una regista, e su copione di una sceneggiatrice, Diablo Cody, che negli anni zero era una mini celebrità: compie 15 anni Jennifer’s Body, teen comedy horror vittima, ai tempi dell’uscita in sala, di una campagna marketing sbagliata – nonostante l’esplosiva sensualità di Megan Fox, non è certo ai giovani maschi che il film vuole direttamente parlare. Prima di tutto storia di un’amicizia femminile, delle sue contraddizioni, ambivalenze e sfumature tossiche, in Jennifer (Fox, appunto) e Needy (Amanda Seyfried) il film trova la decostruzione di due archetipi horror: la prima, la bellezza superficiale e disinibita destinata a morire in fretta negli slasher subito dopo aver fatto sesso, una volta sacrificata a Satana da musicisti in cerca di successo risorge come demone vorace che, una volta al mese, deve cibarsi di carne umana lordandosi di sangue; la seconda, apparentemente aderente al modello della final girl ideale, dovrà prima liberarsi drammaticamente dell’amica e poi vendicarla. Tutto è bene quel che finisce bene, insomma. No? Su Disney+
ALICE CUCCHETTI
Si è conclusa a Bologna l’ultima edizione di Archivio aperto e a vincere il concorso internazionale è stato il bel film di Kumjana Novakova Silence of Reason, costruito sulle testimonianze di guerra delle donne durante il conflitto in Bosnia Erzegovina. Sempre a Bologna sta per partire un altro festival imperdibile: il 22° Gender Bender si svolge da giovedì 31 ottobre a sabato 9 novembre, consultate il programma qui.
Indimenticata Dana Scully di X-Files e recentemente splendida sessuologa nel teen drama Netflix Sex Education, l’attrice britannica Gillian Anderson ha diffuso tempo fa un appello per chiedere a tutte le donne che lo volessero di condividere con lei, in forma anonima, le proprie fantasie sessuali. Ne è nato un libro, Want, che proprio ieri è uscito anche in italiano per Feltrinelli. Per chi vuole portarsi avanti con i regali di Natale…
Esce oggi ufficialmente The Substance, di cui vi abbiamo parlato nella scorsa newsletter. Vale assolutamente la pena ripercorrere la carriera di Demi Moore insieme all’attrice stessa, grazie a questo video di “Vanity Fair”, per capire come i suoi passati ruoli e l’uso che ha fatto del proprio corpo dialoghino con il film di Coralie Fargeat. [in inglese]